Italo Calvino, le parole sono un atto di ribellione

Italo Calvino, le parole sono un atto di ribellione
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Italo Calvino, scrittore italiano che tutti abbiamo incontrato almeno una volta, perché costretti sui banchi di scuola a leggere Il Barone rampante, il 15 ottobre ha compiuto 100 anni. Un centenario che non lo vede in tour per l’Italia o nelle scuole americane, che non permette candeline e dirette o repost.

Parliamo ancora una volta di un uomo che ha saputo stravolgere il modo di fare scrittura vivendo nella scala di grigio: quasi invisibile, in una comfort zone poco incline all’invasione dei media dell’epoca. Tante interviste video e poche parole; un uomo che aveva paura di non poter ritrattare, cancellare o modificare quanto detto e che per questo preferiva scrivere.

Ritratto di Italo Calvino

Di lui si è detto di tutto, creando un mito che finirà per annientare il suo ricordo come è successo proprio con quelli considerati grandi scrittori, uomini e donne, italiani.

Da libraia e lettrice delle sue storie, non posso che condividere con voi qualche breve analisi.

Come una cottura a bassa temperatura

Avete messo in forno l’impasto per una torta che dovrà crescere. L’entusiasmo vi porta ad aprire lo sportello, dando aria all’impasto in cottura e facendo crollare tutto. Ecco, il centenario di Calvino può trasformare la sua scoperta in questo, un ammasso di cose che manderanno all’aria tutto l’entusiasmo.

Le sue storie si cuociono a bassa temperatura, lentamente. Senza un tempo specifico ma lentamente, così da avere parole con un sapore percepibile, che possono arrivarvi dentro davvero, non di quelle che scivolano via, senza lasciare nulla.

Non significa che se vi ingozzate di storie è un male, ma pensateci un attimo: il linguaggio è cambiato. Le parole possono sembrare polverose, quasi a trascinarsi.

Libroterapia e Calvino

Ogni storia che porta la sua firma è un atto di ribellione. Città che non esistono, animali antropomorfizzati e universi che si attraggono e si raccontano con formule matematiche; ragazzini che vivono su alberi, soldati a metà che si danno la caccia, coppie che raccontano la difficoltà nell’amarsi, quel portarsi dietro montagne che finisce per stancare.

Uno si aspetta la meraviglia, l’illuminazione e invece trova solo pezzi di immagini a formare uno squarcio. Ecco, in quello spaccato ci sono il genio e la sensibilità di Italo Calvino.

Le sue storie non curano il male di vivere né vi faranno passare la paura di arrampicarvi. Non comincerete nemmeno a vedere il mondo con uno sguardo più colorato e positivo. Possibile però, che una lettura vi faccia sentire compresi e al sicuro davanti a quell’orizzonte infinito fatto di linguaggi che non riusciamo a decodificare.

Il potere dell’assenza

Torniamo un momento su Gli amori difficili.

Certo il costo da pagare è alto ma dobbiamo accettarlo: non poterci distinguere dai tanti segnali che passano per questa via, ognuno con un suo significato che resta nascosto e indecifrabile perché fuori di qui non c’è più nessuno capace di riceverci e d’intenderci.

Ecco, questo estratto della novella L’avventura di un automobilista non è forse nel suo complesso attuale, seppur con qualcosa che ci spinge a dire che è roba vecchia? Questi, che ad oggi possiamo definire racconti d’amore, sono per qualcuno racconti di realtà, di abitudine; per altri un dipinto di ciò che crediamo amore e scopriamo essere assenza. Siamo assenti a noi stessi e al sentimento.

Calvino e De Giorgi

Ogni personaggio sembra aver preso vita da una nostra cellula, un pezzetto di noi in ogni storia. Sono tutti fermi, quasi impassibili, attori che hanno perso le parole – e forse anche la passione. Sono avventure di corsari impantanati tra la voglia di scoprire il mondo e la presa di coscienza che si, la vita è faticosa. C’è anche una coppia che sembra ancora non conoscersi, per Calvino non fa sconti: l’ironia e l’amarezza sono due delle linee che passano per un punto, non c’è dialogo né condivisione.

Elide lavava i piatti, riguardava la casa da cima a fondo, le cose che aveva fatto il marito, scuotendo il capo. Ora lui correva le strade buie, tra i radi fanali, forse era già dopo il gasometro. Elide andava a letto, spegneva la luce. Dalla propria parte, coricata, strisciava un piede verso il posto di suo marito, per cercare il calore di lui, ma ogni volta s’accorgeva che dove dormiva lei era più caldo, segno che anche Arturo aveva dormito lì, e ne provava una grande tenerezza

Ecco, per esempio, perché la bassa temperatura, ci aiuta a digerire queste immagini. Sono realmente violente.

Essere armatura: e dentro il vuoto

Italo Calvino è in grado di andare oltre quella noia di coppia perché con Il cavaliere inesistente si apre un’immensa riflessione che tocca i punti più disparati. Fate una ricerca su Google, una cosa semplicissima: quali temi affronta il cavaliere inesistente, scrivete così. Vi ritroverete a leggere ricerca dell’identità, passione, senso della vita, raggiungimento di un ideale e depersonalizzazione. Anche qui, durante la lettura, emergerà quello che più serve al lettore, in quel preciso momento. Agilulfo sarà la vostra nemesi o la vostra copia. Gurdulù potrebbe essere l’amico che tutti hanno, il buffone di corte che sembra vivere meglio di noi o magari incarnare ciò che non vorreste mai essere per poi ammettere a voi stessi proprio l’opposto.

Così sempre corre il giovane verso la donna: ma è davvero amore per lei a spingerlo? o non è amore soprattutto di sé, ricerca d’una certezza d’esserci che solo la donna gli può dare? Corre e s’innamora il giovane, insicuro di sé, felice e disperato, e per lui la donna è quella che certamente c’è, e lei sola può dargli quella prova. Ma la donna anche lei c’è e non c’è: eccola di fronte a lui, trepidante anch’essa, insicura, come fa il giovane a non capirlo? Cosa importa chi tra i due è il forte e chi il debole? Sono pari. Ma il giovane non lo sa perché non vuole saperlo: quella di cui ha fame è la donna che c’è, la donna certa. Lei invece sa più cose; o meno; comunque sa cose diverse; ora è un diverso modo d’essere che cerca; fanno insieme una gara di arcieri; lei lo sgrida e non l’apprezza; lui non sa che è per gioco.

Il castello – l’impatto di un libro, Jorge Méndez Blake

Non c’è una sola chiave di lettura, pur trattandosi di una storia autoconclusiva che sembra spiegare per filo e per segno tutto quello che il lettore deve imparare con la solita solfa della morale. Cosa lega un racconto, una favola o un romanzo al lettore che si lancia con entusiasmo, quasi fosse una missione da compiere, su quelle parole?

Il bisogno dell’ovvio, per esempio. Perché è ovvio che magari vi sentite legati da regole ferree e non riuscite a esprimere il motivo per cui non vi stanno bene. Senza le parole, come riusciamo a farci capire?

Fu il 15 di giugno del 1767 che Cosimo Piovasco di Rondò, mio fratello, sedette per l’ultima volta in mezzo a noi. Ricordo come fosse oggi. Eravamo nella sala da pranzo della nostra villa d’Ombrosa, le finestre inquadravano i folti rami del grande elce del parco. Era mezzogiorno, e la nostra famiglia per vecchia tradizione sedeva a tavola a quell’ora, nonostante fosse già invalsa tra i nobili la moda, venuta dalla poco mattiniera Corte di Francia, d’andare a desinare a metà del pomeriggio. Tirava vento dal mare, ricordo, e si muovevano le foglie. Cosimo disse: – Ho detto che non voglio e non voglio! – e respinse il piatto di lumache. Mai s’era vista disubbidienza più grave.

Come scrisse un certo Tonio Cavilla nella prefazione di una delle pubblicazioni del barone, “La prima lezione che potremmo trarre dal libro è che la disobbedienza acquista un senso solo quando diventa una disciplina morale più rigorosa e ardua di quella a cui si ribella”.

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a cura di
Ylenia Del Giudice

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