The Tortured Poets Department: il melodramma di Taylor Swift

The Tortured Poets Department: il melodramma di Taylor Swift
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The Tortured Poets Department, uscito il 19 aprile, è l’undicesimo album in studio di Taylor Swift, a cui vanno aggiunte le quattro nuove incisioni di album del passato. Un album che è, a detta della stessa Swift, qualcosa che aveva davvero bisogno di scrivere.

Ho impiegato una settimana di ascolti e riascolti per poter scrivere la recensione di The Tortured Poets Department. Sono stata in difficoltà, lo ammetto e mi autodenuncio: sono una swiftie e per scrivere una recensione sensata, volevo provare ad andare oltre alla mia gioia nell’avere a mia disposizione un nuovo lavoro di Taylor Swift.

Allo stesso tempo, pubblicare una recensione a caldo con le mie prime impressioni sull’album non avrebbe reso giustizia ad un lavoro così complesso, lirico e carico di significati.

Quindi andiamo con ordine, assaporiamo il lavoro nel complesso e proviamo ad analizzare melodie e testi in maniera chirurgica, un po’ come la stessa Swift ha fatto in tutti questi anni nella descrizione della propria vita, tanto che ci sembra di conoscerla come la nostra vicina di casa.

L’album nel suo complesso

Un album, questo, che vede la presenza di collaborazioni già collaudate come quella con i produttori Jack Antonoff e Aaron Dessner che passa a nuovi sodalizi tra Post Malone e Florence + The Machine.

La produzione elettro-pop che si può quasi considerare un mix tra Folklore e Midnights fa da sfondo (sempre azzeccato) alle tematiche Swiftiane che abbiamo imparato ad amare: l’impegno in amore, le autopsie chiare e dirette sulle proprie relazioni e non in ultimo, questa volta, la critica alla società che la dipinge in mille modi diversi.

Con questo album però si fanno almeno 10 passi in avanti rispetto ai lavori precedenti, in una antologia di melodie e testi che strizzano l’occhio al genere del melodramma che, sia cantato che a tratti recitato, trasferiscono un senso di amarezza e precarietà nell’ascoltatore utilizzando tutte le caratteristiche proprie del genere: accentuazione e esagerazione.

Il tema della morte per esempio viene inserito in diversi pezzi, una mera figura retorica, un’iperbole utilizzata a proprio vantaggio per descrivere quanto profondi siano i sentimenti che prova assaporandone anche i punti più bassi.

Una vulnerabilità emotiva che siamo abituati a “leggere” nelle sue composizioni ma che in questo album ha il sapore dell’autoterapia piuttosto che della mera condivisione. Ma qui non è più presente la narrazione della Taylor vittima di un uomo carnefice e non è nemmeno più la ragazza che si innamora follemente.

È così che TTPD diventa un lavoro magistrale, una svolta, un degno erede di Reputation, con cui condivide anche i colori della copertina. A tratti si scorgono anche critiche al proprio pubblico, colpevole di criticarla nelle scelte sentimentali.

Un po’ villain e un po’ perversa, con una dose di caos e disordine, Taylor Swift ha sfornato l’album con la A maiuscola.

Ma passiamo ai sedici brani proposti in TTPD che è talmente tanto autobiografico “mettendo tutto in piazza” che i detrattori non sapranno proprio cosa dire. E chi l’ha sempre amata la sta amando ancora di più.

Fortnight

La collaborazione con Post Malone in Fortnight anche criticata per averlo reso “poco importante” lasciandolo sullo sfondo ha in realtà un simbolismo interessante: è una eco di un sentimento non ancora del tutto passato, una sensazione di lieve stordimento che ti accompagna anche quando sai di aver fatto la scelta giusta.

La canzone parla della rottura, a mio avviso, con Joe Alwyn e del temporaneo effetto positivo che ha avuto su di lei la storia con Matty Haley.

Posso sbagliare raga, ma non credo: All my mornings are Mondays/Stuck in an endless February/I took the miracle move on drug/The effects were temporary.

Florida!!!

Florida!!! Con Florence Welch invece tocca una dimensione differente, quasi sfacciata, parlando dello Stato della Florida come il luogo in cui si scappa per nascondersi dai problemi e lasciarseli alle spalle.

E, chissà perché non mi stupisce che proprio la Florida sia stata la prima tappa dell’Eras Tour dopo l’annuncio ufficiale della sua rottura con Joe Alwyn.

Vi siete divertite, ragazze, a scrivere questa canzone?

The Tortured Poets Departments, My Boy Only Breaks His Favorite Toys, I Can Fix Him (No Really I Can), The Smallest Man Who Ever Lived

Non so ma, qui ci vedo tanto, tantissimo della storia con Matty Haley. Identifica sé stessa nella regina dei castelli di sabbia, facili da distruggere da un bambino che gioca, quello stesso bambino che però [Cause he] took me out of my box” la salva da una storia di 6 anni che la faceva sentire rinchiusa dentro il proprio dolore.

Lo stesso (bambino) che fumava troppa erba e che lei sperava di salvare e “sistemare” ma che alla fine, da uomo piccolo, le ha solo rovinato l’estate.

The Alchemy, So Long, London, lolm

Un dolce e leggero erotismo è il sottofondo a The Alchemy che sembra parlare proprio del suo nuovo amore, Travis Kalcey. Un amore nuovo che la fa respirare in cui si sente premiata, finalmente da un uomo che, a fine concerto (o partita) corre verso di lei.

So Long, London invece assieme a iolm sembrano, in modo lirico e poetico, essere dedicate all’ex che diceva di amarla e di volerla sposare. Londra è la città di Joe Alwyn in cui la stessa Swift ha vissuto durante la pandemia, e in cui, successivamente, aveva pensato di comprare casa.

Su Iolm invece, che può significare sia love of my life ma anche loss of my life, cala tanta tristezza per quello che un rapporto poteva essere e che non è stato, se non nella sua mente. It was legendary? It was momentary.

But Daddy I Love Him, Fresh Out The Slammer, Guilty As Sin

Queste tre qui, sono accomunate dalla stessa intenzione: zittire i fan. Sì, perché anche coloro che la amano l’hanno “devastata” di critiche per le sue scelte in amore, tra le altre cose. Insomma, non risparmia nessuno.

Rivendica con orgoglio l’aver trovato il suo “chiodo scaccia chiodo” dopo Alwyn, se ne frega di essere stata ingenua nel correre con gli abiti sbottonati incontro ad un amore impossibile e ride di chi crede a tutto su di lei intonando in But Daddy I Love Him: I’m having his baby, no I’m not, but you should see your faces. Genio.

Who’s Afraid Of Little Old Me?

A mani basse la mia canzone preferita dell’album. Intrigante, cattiva, incazzata, potente. Ce l’ha con tutti quelli che l’hanno resa quello che è diventata: meschina, cattiva, quella che ti vuole distruggere la casa e la festa. Mamma mia che canzone.

If you wanted me dead, you should’ve just said/Nothing makes me feel more alive/So I leap from the gallows and I levitate down your street/Crash the party like a record scratch as I scream/Who’s afraid of little old me?/You should be

I Can Do It With a Broken Heart

Questo pezzo è il succo di tutto l’album e del suo ultimo anno trascorso. È, sostanzialmente, il pezzo della Swift che è più “alla Swift” di tutti gli altri.

Consiglio di ascoltarlo alternando la lettura del testo alla visione del canva presente su Spotify, perché è così che mi ha colpito forte allo stomaco: nel momento più alto della propria carriera era a pezzi.

Durante The Eras Tour la scorsa estate, un momento di pura gioia per i suoi fan, di musica e di spettacolo, stava cadendo a pezzi internamente. La sua relazione di sei anni con Joe Alwyn era appena finita ma nonostante tutto, sera dopo sera, è salita sul palco dando il meglio di sé.

Cause I’m a real tough kid, I can handle my shit/They said, baby, gotta fake it ‘til you make it and I did/Lights, camera, bitch smile, even when you wanna die

Clara Bow

Il pezzo di chiusura dell’album sembra un time-lapse in cui Taylor talvolta parla con sé stessa, altre volte con coloro che l’hanno portata al successo per poi non preoccuparsi più di lei.

Prima la identificano in Clara Bow e poi allo Stevie Nicks del 1975 per poi concludere con “sembri Taylor Swift”, come ad indentificarla in un’icona usata e abusata del passato.

È indubbiamente il suo rapporto con la fama che è messo qui in scena, come se lei avesse la percezione di dover essere sempre migliore di qualcosa o qualcuno, per essere notata. It’s hell on earth to be heavenly

Menzione speciale: Down Bad

Questo pezzo lo sento come un bridge con la Swift che abbiamo conosciuto prima di TTPD: qui c’è la tristezza per la fine di un amore ma raccontata con immagini che richiamano un’età diversa, quasi adolescenziale.

L’immagine di lei che si allena per The Eras Tour (allenamenti estenuanti, come sappiamo) mentre piange alternando momenti di “vaffanculo, chissenefrega se non mi vuole”. Mi ricorda me stessa nel 1999.

Now I’m down bad, cryin’ at the gym (Cryin’ at the gym)/Everything comes out teenage petulance/Fuck it if I can’t have him (Fuck it if I can’t have him)/I might just die, it would make no difference.

Sapete cosa rende Taylor Swift unica? La capacità di rendere ogni storia, anche la più piccola, carica di significato, la capacità di trasformare un concetto in un progetto che fa la differenza dove ogni particolare è analizzato arrivando, con occhio adulto, a criticare anche sé stessa e la propria ingenuità del passato,

Riempie gli spazi che tra un racconto e l’altro del circo mediatico non vengono mai visti e raccontati e nel farlo, nel portare sul palco il suo ultimo atto di liberazione si libera dalle delusioni e dalle mortificazioni.

Chissà come ci si sente a dormire più leggeri.

a cura di
Sara Alice Ceccarelli

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Sara Alice Ceccarelli

Giornalista iscritta all’ODG Emilia Romagna si laurea in Lettere e Comunicazione e successivamente in Giornalismo e Cultura editoriale presso l’Università di Parma. Nel 2017 consegue poi un Master in Organizzazione e Promozione Eventi Culturali presso l’Università di Bologna e consegue un attestato di Alta Formazione in Social Media Management presso l'Università di Parma. Ama il giallo e il viola, possibilmente assieme e vive in simbiosi con il coinquilino Aurelio (un micetto nero). La sua religione è Star Wars. Che la forza sia con voi.

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