“All Quiet on the Eastern Esplanade”: l’armistizio dei Libertines

“All Quiet on the Eastern Esplanade”: l’armistizio dei Libertines
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Tornano i Libertines con il quarto album in studio, “All Quiet on the Eastern Esplanade”

Un ritorno atteso, inatteso, annunciato, disannunciato. Dopo esattamente nove anni dal precedente Anthems for Doomed Youth, il quartetto di Londra ha pubblicato un nuovo disco di inediti prodotto da Dimitri Tikovoï (The Horrors, Charli XCX, Becky Hill) e Dan Grech-Marguerat (Lana Del Rey, Liam Gallagher, Paul McCartney).

Trainato da una manciata di live show – eseguiti per intero e senza risse – nel Regno Unito e dai singoli Run Run Run, Night Of The Hunter e Shiver, il disco si presenta privo di passi falsi e spauracchi delle sonorità indie dei primissimi anni duemila.

Il titolo, oltre a ispirarsi al romanzo di Erich Maria Remarque (All Quiet on the Western Front), omaggia senza troppi misteri l’hotel, studio di registrazione, ristorante e bar della band, The Albion Rooms – situato a Margate, Kent, sulla Eastern Esplanade – e segna un nuovo ciclo per la band di Camden.

Vite che non sono la mia

Il disco si apre energico con Run, Run, Run, un inno punk rock che descrive un tentativo di fuga dal passato con la consapevolezza di vivere il presente.

Night Of The Summer, adagiata su una melodia che richiama il Lago dei Cigni – da bravi dickensiani – delinea con tratti poetici e romantici la difficoltà di sentirsi ancora dei fuorilegge. Shiver sostituisce il sound sgangherato di Up The Bracket con echi orchestrali, un rehab corale che sottolinea il labile confine di una band selvaggia sempre sull’orlo del trionfo quanto del disastro.

Nostalgia a parte, Doherty e Barât hanno aperto un nuovo vaso di Pandora ponendo l’accento anche sulla working-class inglese e sui migranti, proprio come avviene nel brano Merry Old England, dedicata agli immigrati ucraini, siriani e iracheni sfuggiti ai massacri (“Crisp packets and puddles on the ground, welcome to merry old England”).

Lo storytelling più inclusivo diventa impersonale e, pur rimarcando i classici stereotipi Oltremanica, apre a tratti più sociologici e meno psicologici. Ne è un esempio Mustang con il racconto di Traci, così orgogliosa nella sua tuta da ginnastica, a cui non rimanere che concedersi qualche drink di troppo quando i figli sono a scuola e sogna di realizzarsi (Every single night, she’s riding Mustangs to her dreams).

Re-branding e carboidrati

Un revival 2.0 con sonorità tipiche del muro sonoro dei Libertines, passando dal garage rock al post punk, senza dimenticare – al momento giusto – di spegnere il tube screamer e l’overdrive per abbracciare sonorità folk e acustiche.

Nessun tentativo di dissimulare l’identità della band nascondendosi dietro drum machine o sample elettronici e, pur toccando corde già abbondantemente suonate nel corso degli anni, l’ascolto è piuttosto gradevole e traspare una nuova consapevolezza: (ri)trovarsi alla fine di un rocambolesco percorso.

Pete Doherty, Carl Barât, John Hassall e Gary Powell, dopo aver animato le chart quanto i tabloid inglesi, si sono davvero riuniti e il risultato di All Quiet on the Eastern Esplanade getta le basi per una nuova avventura sobria e pacifica.

Un armistizio dove le droghe pesanti sono state – apparentemente – messe al bando in favore dei carboidrati e la narrazione, ironica quanto riflessiva, passa attraverso le vicende di altri soggetti esterni alla band.

a cura di
Edoardo Siliquini

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