La quarantena dei balconi. Sì, ma…
Riflessioni di un cinico ottimista
Oramai è circa un mesetto che stiamo vivendo il lockdown. In questo periodo mi sono chiesto alcune cose. Anzitutto: perché chiamarlo lockdown? Fa meno impressione di “quarantena”? Fa più figo? Tanto sono sicuro che a Hollywood avranno già depositato il marchio e presto o tardi uscirà un film dal titolo Lockdown.
Paturnie da scellerato a parte, il qui presente scribacchino, abruzzese in quel di Bologna e che sfrutta la giornata soleggiata per scrivere fuori casa (ovvero su uno stretto balcone con vista palazzi. Non è San Luca, ma me lo faccio bastare) ha pensato, cogitato (parola difficile della settimana) e meditato riguardo ciò che abbiamo vissuto, stiamo vivendo e probabilmente dovremo vivere ancora un po’.
Sono avvenute parecchie cose particolari. Avvenimenti che hanno suscitato in molti un senso di unione, commozione. A me invece un leggero fastidio, se non imbarazzo.
Forse sono io ad avere qualcosa di rotto, qualcosa di sbagliato, ma gli applausi corali, l’inno di Mameli alle 18:00 con successive Azzurro e Rino Gaetano non mi hanno mai suscitato orgoglio, forza o spunti per resistere e andare avanti.
Al contrario, eventi del genere mi hanno sempre dato l’impressione di rendere ulteriormente pesante un periodo così difficile e intenso come quello della quarantena.
Non è questo, secondo me, il modo migliore per cercare di suscitare un sentimento di positività speranza, di andare avanti. È un piangersi addosso. Per lo meno, io lo percepisco così.
Preferisco di gran lunga chi la prende in maniera molto più ironica, come il ragazzo che si affaccia alla finestra cantando Achille Lauro. Questo sì, mi mette di buon umore e mi lancia in un mood positivo propositivo ottimista.
Ma è un mio pensiero. Vedo molti amici e conoscenti che invece lodano quelle iniziative, si sentono più forti. A me fanno esattamente l’effetto contrario.
Tranne nel caso del mio vicino di palazzo, che continua imperterrito tutti i pomeriggi a sparare decibel di musica dal suo balcone.
Inizialmente anche lui è stato fedele alla scaletta Inno di Mameli, Azzurro, Il cielo è sempre più Blu, Pavarotti. Io rispondevo avvicinando lo stereo alla finestra e minacciando il vicinato con Megadeth, Metallica, Iron Maiden. Un po’ esagerato nell’altro senso, lo ammetto.
Poi ha cambiato selezione musicale. Generalmente le 18:00 sono orario di fine lavoro, del messaggio su Telegram o WhatsApp, della telefonata gli amici o della chiacchiera coi colleghi per organizzare un aperitivo.
Ecco quindi che spuntano Kanye West, Daft Punk 883, Jovanotti, tamarrate danzerecce che non conosco, che in parte odio ma che richiamano la normalità di quel momento. C’è anche spazio per Modena City Ramblers e De André, che non sono da aperitivo, ma male non fanno.
Piuttosto che la finta solennità, piuttosto che la commozione, piuttosto che gli applausi scroscianti verso noi stessi, mi sento decisamente più stimolato, più positivo felice, più sollevato ad ascoltare 20 minuti di musica “normale” provenienti da un balcone.
Perché richiamano l’aperitivo, una cosa normale. Richiamano la normalità, non l’eccezionalità grave del momento.
Trovo più convincente, più coinvolgente, trovare e ricreare normalità in questa situazione eccezionale, anziché accentuarla con azioni che invece, paradossalmente, la esasperano.
Per questo motivo alle 18:00, ogni giorno, apro la finestra, sapendo che arriverà una playlist che di base tollererei unicamente in bar o locali, e proprio per questo la accetto ora. Un bicchiere in mano, uno stuzzichino nell’altra, un brindisi a caso, una folata di vento.
Sono le 18:00, un aperitivo allegro ci sta. Una sferzata di normalità, in questa fase particolare, ci sta.
a cura di
Andrea Mariano
foto di copertina da
www.alqamah.it
Seguici anche su Instagram!
LEGGI ANCHE – Cosa vuole dirci Bob Dylan nel pieno di una pandemia con Murder Most Foul?
LEGGI ANCHE – Inigo ci insegna a credere ai “per sempre”, parlando di una storia lunga e ancora in vita
5 pensieri su “La quarantena dei balconi. Sì, ma…”