Coronavirus: gli interrogativi aumentano, le certezze no
Inizialmente minimizzato ed etichettato a folkloristico fenomeno influenzale del continente asiatico, il coronavirus ha mostrato il precario equilibrio sul quale si reggeva la nostra società.
È bastata un’entità biologica dell’ordine di grandezza dei nanometri (per capirci, un nanometro equivale ad un milionesimo di un millimetro) ad affannare i sistemi sanitari di una grossa fetta del mondo e a mandare in tilt l’economia e la finanza mondiali. Sui governi gravano scelte fondamentali per il futuro di milioni di persone.
La consapevolezza di un momento fondamentale
Forse queste parole suonano retoriche e magari catastrofiche, forse appaiono un maldestro tentativo di J’accuse’. È però la consapevolezza che oggi si gioca un’importante partita per il futuro. Il colmo? Molti di noi dovranno restare a casa.
Infatti, una volta rientrata l’emergenza sanitaria, molti parametri politici ed economici dovranno essere ridiscussi davanti a quella che sembra un’imminente recessione economica.
Torneremo alla normalità? Forse dobbiamo chiederci: quale sarà la nuova normalità? Potrebbe essere che, per la sicurezza sanitaria, il mondo non possa più andare avanti come prima.
E se dovesse davvero cambiare, cambierebbe in meglio o in peggio? E quando ci accorgeremo di questi cambiamenti?
In questa situazione, qualcuno ha visto l’avverarsi degli allarmi lanciati dagli ambientalisti ed ecologisti. Per anni, è stata denunciata l’insostenibilità ambientale del modello economico capitalista e neoliberista, e dei rischi di possibili epidemie. A tal proposito, come ha anche confermato la nota virologa Ilaria Capua, di fronte le epidemie il tallone d’Achille delle nostre società tecnologicamente avanzate è la velocità: la caratteristica costitutiva di esse.
L’insostenibilità del nostro modello economico
In un’intervista alla rivista francese Le grand continent tradotta in Italia da Fanpage.it la virologa ha affermato:
«Nel ciclo naturale, se pure il virus usciva dalla foresta andava a finire in un villaggio di cento persone e lì si esauriva il suo ciclo di vita. Noi stiamo vivendo un fenomeno epocale, ovvero l’accelerazione evolutiva del virus. La tecnologia è troppo veloce per quello che la biologia è in grado di assorbire».
Il mondo è stato globalizzato senza una consapevolezza collettiva e diffusa degli effetti collaterali che questo avrebbe comportato e dei suoi punti deboli. Si è proceduti spediti, pensando forse che in futuro non avremo potuto far altro che progredire. Il prezzo non sarà uguale per tutti, ma nessuno potrà lasciarsi questa storia alle spalle con leggerezza.
Non siamo completamente in grado di dominare la tecnologia senza subirne i suoi effetti. Abbiamo iniziato a muovere merci e persone in tutto il globo, colmando distanze siderali. E questo grazie ad una logica del profitto, votata all’efficienza e all’ottimizzazione, che si è estesa grazie ad un solido controllo del sapere tecnologico e strumentale. Oggi, però, questo sapere appare meno rassicurante. Isolati, abbiamo riscoperto tutta la fragilità fisica delle nostre esistenze.
Sarebbe comunque sbagliato considerare errato in toto il nostro sistema con il suo relativo apparato tecnologico. Se da un lato favorisce il diffondersi di epidemie, sperequazioni sociali e sfruttamento territoriale, dall’altro offre soluzioni e strumenti per affrontare queste problematiche.
Una complessità nella quale districarsi
Al riguardo, bastano pochi esempi. Possiamo negare l’importanza del digitale e dei dispositivi elettronici in un’emergenza che richiede grossi sforzi logistici e organizzativi? O ancora, prendiamo in esame un materiale come la plastica, uno dei materiali più inquinanti e invasivi mai creati. Saremo in grado di garantire il corretto funzionamento di settori industriali, come quello alimentare, senza il suo utilizzo? E senza la plastica, saremo in grado di garantire la produzione e l’utilizzo delle appropriate strumentazioni mediche?
Non fraintendetemi, non è incoerenza denunciare l’insostenibilità di un sistema e poi sostenere quanto sia necessaria la plastica. La situazione è molto complessa e le parole non riescono ad esaudire il reale.
I momenti di crisi offrono sempre opportunità di cambiamento, ma non sappiamo in che direzione andremo. Quindi sarebbe necessario conoscere questa prospettiva, ma tracciarne una è veramente complicato e richiede responsabilità enormi. In più, c’è il sentore, cinico ed ineluttabile, che molti saranno lasciati indietro.
Intanto, gli interrogativi aumentano, le certezze no.
Cosa è essenziale, cosa è inessenziale?
Gli interrogativi aumentano e con loro anche i termini con cui stiamo familiarizzando: curva del contagio, indice R°, asintomatico, morto per coronavirus, morto con coronavirus, smart-working, zoonosi, essenziale, inessenziale… due termini sui quali possiamo maggiormente riflettere. In quanto quest’emergenza non è relegata agli assetti politici ed economici, riguarda la quotidianità di tutti.
«Tutti gli uomini sono intellettuali», avrebbe infatti detto qualcuno. È difficile pensare che nessuno in questi giorni, a prescindere dal tenore di vita, non abbia sentito l’esigenza di riflettere su cosa sia essenziale e cosa non sia essenziale per la propria vita e per la comunità. E parliamo di qualcosa che non può essere esaurito dalla lista dei codici Ateco.
L’eccezionalità del momento
Qualcuno potrebbe dire che sono domande che ci si è sempre posti, anche in condizione di normalità. Difatti, l’eccezionalità è nel pensare a se stessi come una piccola parte di qualcosa di più grande, in un momento in cui è necessario il distanziamento sociale fisico.
E in questo momento ci rendiamo conto dell’importanza che hanno per la collettività professioni prima poco considerate: i cassieri dei supermercati, ad esempio.
Siamo essere in grado di empatizzare e immaginare mondi all’infuori di noi, eppure siamo pur sempre essere fatti di carne ed ossa limitati nel tempo, nello spazio e che non possono vedere oltre il raggio d’azione dei propri occhi. È possibile dunque per un singolo individuo farsi carico della responsabilità di intere comunità? Rendiamoci conto: da un mercato di animali in Cina si è diffuso un virus che ha messo in quarantena quasi tutto il mondo. Siamo ancora in grado di reggere queste connessioni?
Forse dovremmo iniziare a ristabilire le priorità delle nostre vite, capire se la realizzazione personale vale più di quella collettiva. Capire cosa significa realizzazione collettiva e in che modo può conciliarsi con quella personale. Possono conciliarsi senza che l’una soffochi l’altra?
Gli interrogativi aumentano, le certezze no.
a cura di
Angelo Baldini
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