Potere e Parole: il linguaggio di Donald Trump

Potere e Parole: il linguaggio di Donald Trump
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Donald Trump, uno dei capi di governo più controversi degli ultimi cinquant’anni, non ha certo bisogno di presentazioni. Il 45esimo Presidente degli Stati Uniti viene spesso considerato una scheggia impazzita, ma dietro al suo successo c’è un linguaggio costruito in laboratorio.

Secondo George Lakoff, linguista statunitense che da decenni studia il rapporto tra mente e politica, nonché autore del libro Non pensare all’elefante, “Donald Trump ha un talento innato per le provocazioni, cosa che gli permette con estrema facilità di calamitare l’attenzione dei media”, ma ridurre tutto a una questione di carattere, per quanto imprevedibile, sarebbe un errore, oltreché una considerazione superficiale. Il linguaggio di Trump è diverso da quello dei suoi predecessori, è semplice, ripetitivo, ma anche volgare e politicamente scorretto.

Non viene dal mondo della politica, ma da quello degli affari e poi, successivamente, da tv e reality.
Nell’articolo di oggi analizzerò il linguaggio politico di Trump, individuando le principali caratteristiche dei suoi discorsi.

Frame negativi e frame positivi

In comunicazione politica esistono frasi e metafore che lasciano il segno in chi ascolta, in positivo e in negativo. Un esempio è quello degli immigrati: i termini più utilizzati da Trump a riguardo sono “invasione” e “onda”, che spostano il sentimento da positivo a negativo. Non sono più loro le vittime, costretti a lasciare le proprie case, ma i paesi che subiscono l’immigrazione, che vengono invasi e travolti e che, per proteggersi, devono costruire muri e barriere, come sul confine messicano.

L’uso di queste parole serve a stimolare un atteggiamento di paura e irrazionalità verso l’emergenza umanitaria. Lo stesso avviene per quanto riguarda il clima. Frank Luntz, cognitivista, ha scritto manuali interi sulle parole che i Repubblicani dovrebbero usare per vincere le elezioni. È stato lui a suggerire loro di abbandonare l’espressione “riscaldamento globale” sostituendola con la più generica “cambiamento climatico” e ancora più recentemente con “clima estremo” (utilizzata da Donald Trump 6 giugno 2019, durante il programma Good Morning Britain).

Il termine “riscaldamento globale” suggeriva che qualcuno avesse innescato un processo negativo che però poteva essere interrotto, il concetto di “cambiamento climatico” o di “clima estremo” invece libera l’uomo, e di conseguenza le aziende petrolifere, da ogni responsabilità perché rimanda tutto a mutamenti naturali contro cui non possiamo agire.

Il populismo

Il discorso di insediamento di Trump, pronunciato il 20 gennaio 2017 a Washington, era populista nella forma e nei contenuti. Tutto, nella retorica dell’attuale Presidente degli Stati Uniti, punta ad esaltare il popolo come unico detentore della sovranità. Anche nella scelta delle argomentazioni, ci troviamo spesso di fronte all’ABC del populismo: si convogliano le passioni del pubblico verso qualcuno da odiare, un nemico comune, si individua un salvatore, Trump stesso, e si promette un cambiamento totale, una nuova età dell’oro per la nazione.

Non mancano nemmeno i richiami ad una sorta di benedizione divina che Dio ha rivolto agli Stati Uniti, una nazione eletta nata per guidare gli altri paesi.

Noi e Loro

Una caratteristica del linguaggio di Trump è la lettura dicotomica della realtà: c’è un noi e c’è un loro, come se su ogni cosa fosse necessario applicare un’etichetta. Da una parte il popolo americano – il noi appunto, e dall’altra loro, gli invasori. In tutto questo, il presidente Trump ricopre il ruolo dell’eroe che lotta per gli americani rendendo ancora grande la nazione. Ma “loro” chi sono? La casta, i messicani, gli iraniani. Chiunque ostacoli gli interessi degli Stati Uniti.

Dal discorso di insediamento:

Ogni decisione sul commercio, sulle tasse, sull’immigrazione, sugli affari esteri sarà fatta a beneficio dei lavoratori e delle famiglie americane. Dobbiamo proteggere i nostri confini dai saccheggi degli altri paesi che rubano i nostri prodotti e le nostre compagnie e che distruggono la nostra occupazione

L’America nell’immaginario collettivo è sempre stata una terra aperta a tutti e multiculturale. Questa idea però è destinata a cambiare, secondo Trump è ora che gli Stati Uniti pensino a se stessi, da qui lo slogan “America First”.

La semplicità del linguaggio

Il linguaggio di Trump è molto semplice e comprensibile. Le frasi sono brevi: soggetto, predicato e complemento. Non vengono utilizzati paragoni complicati. È come se Trump usasse nei suoi discorsi orali le modalità di Twitter. Addirittura, nel momento in cui si accorge di formulare una frase troppo complessa, si interrompe a metà, riformulandola con l’obiettivo di concluderla piazzando una parola aggressiva alla fine di un periodo.

Questo aiuta a rendere un concetto chiave ancora più forte. La struttura è però priva di climax. Jennifer Sclafani, linguista presso la Georgetown University, ha studiato per due anni il modo di parlare del presidente: il linguaggio è basso e colloquiale. Sembra di sentire parlare una persona di famiglia o un amico.

Le metafore

Il suo linguaggio è molto aderente alla realtà, poverissimo di metafore. I suoi discorsi devono essere chiari anche a chi abbia avuto un’istruzione elementare, o possieda un vocabolario limitato. Sono indirizzati ai cittadini, alla classe operaia, non agli intellettuali o alle élite culturali.

Il tono di voce

Trump parla a tutti nella stessa maniera, a prescindere da chi si trovi davanti. Un esempio è la lettera ad Erdogan, Presidente della Turchia, del 9 ottobre 2019:

Caro presidente, lavoriamo per un buon accordo! Non vuoi essere responsabile del massacro di migliaia di persone e io non voglio essere responsabile della distruzione dell’economia turca. E ti puoi fidare che lo posso diventare

E si conclude con:

Non fare il duro. Non essere stupido! Ti chiamerò più tardi“.

Donald Trump parla senza applicare alcun tipo di filtro e senza nemmeno considerare a chi si sta rivolgendo, aspetto molto inusuale per un presidente.

Le parole più utilizzate

Le parole più utilizzate nei suoi dicorsi sono: people, great, now, country, China, good, right, big, world, billion. Già da sole sono sufficienti a dare un’idea del Trump-pensiero: populismo, sensazionalismo, urgenza, paranoia.

Gli “alternative facts”

Da quando il presidente Donald Trump è stato eletto, il termine “fatti alternativi” è diventato popolare. Sono così definiti quei fatti che hanno l’obiettivo di screditare ciò che i diversi organi di informazione riferiscono sui vari scandali che circondano la nuova amministrazione, ma non solo. Servono anche ad alimentare la paranoia e la paura della popolazione, per rafforzare ancora di più il concetto di “noi” e “loro”, i buoni e i cattivi.

Uno degli “alternative facts” più noti è quello che riguarda l’élite politica, colpevole secondo Trump di aver svenduto l’economia americana a interessi stranieri o quello secondo il quale il governo messicano invierebbe in USA di proposito criminali e stupratori (dichiarazione del 6 luglio 2015, in un’intervista radiofonica rilasciata a Business Insider e in un tweet, la stessa giornata).

In conclusione: perché la retorica di Trump funziona? Perché i suoi messaggi sono semplici, coerenti e intercambiabili. Trump individua i nemici, si autodefinisce come l’eroe che li sconfiggerà e porterà il suo popolo nell’età dell’oro.

a cura di
Daniela Fabbri
immagine di
Gage Skidmore da Peoria, AZ, United States of America
Flickr, CC BY-SA 2.0

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Daniela Fabbri

Sono nata nella ridente Rèmne, Riviera Romagnola, nel 1985. Copywriter. Leggo e scrivo da sempre. Ho divorato enormi quantità di libri, ma non solo: buona forchetta, amo i racconti brevi, i viaggi lunghi, le cartoline, gli ideali e chi ci crede. Nutro un amore, profondo e viscerale, per la musica, in tutte le sue forme. Sono fermamente convinta che ogni momento della vita debba avere una colonna sonora. Potendo scegliere, vorrei che la mia esistenza fosse vissuta lentamente, come un blues, e invece sono sempre di corsa. Mi piacciono gli animali. Cani, gatti, procioni. Tutti.

4 pensieri su “Potere e Parole: il linguaggio di Donald Trump

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