LSD FSTVL: Sogno e Femminismo con Jennifer Guerra

LSD FSTVL: Sogno e Femminismo con Jennifer Guerra
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Si terrà il 3 e 4 maggio 2024, con un’anteprima il 2 e un post Festival il 5, a Fidenza, la terza edizione di LSD FESTIVAL Libri Suoni Destinazioni, con il titolo Sogno e son desto

Tra le ospiti di questa edizione di LSD Festival, durante la serata del 2 maggio, sarà presente Jennifer Guerra. La giornalista e scrittrice presenterà il suo ultimo saggio Il femminismo non è un brand, edito da Einaudi.

Guerra, classe 1995, è apparsa su La Stampa, Sette, L’Espresso e The Vision. Ha già pubblicato Il corpo elettrico. Il desiderio nel femminismo che verrà, con Tlon, Il capitale amoroso. Manifesto per un eros politico e rivoluzionario, con Bompiani, e Un’altra donna, con Utet 2023.

Noi di The Soundecheck abbiamo parlato con lei del tema del festival in relazione al suo ultimo libro!

Ciao Jennifer! Come il tema dell’evento “il sogno” si lega al tuo ultimo libro, Il femminismo non è un brand?

Questo libro è una critica alla strumentalizzazione del femminismo, per fini che non hanno a che fare effettivamente con esso. Quindi, ad esempio, per il consenso politico, per il guadagno personale o per il profitto aziendale. L’idea è che il femminismo debba tornare alla dimensione più pratica, più trasformativa, e quindi sicuramente anche alla possibilità di sognare un mondo diverso. Tutta questa strumentalizzazione e appropriazione del femminismo non fanno altro che ripetere il mondo che già c’è. Ribadire le condizioni economiche e le disuguaglianze. Non vuole modificare lo status quo; invece il femminismo ha da sempre dentro di sé questa componente di trasformazione. Immaginazione, anche, di un mondo diverso. Credo quindi che il legame sia proprio questo.

Jennifer Guerra, Fotografia di Damiano Lorenzon
Rimanendo nell’ambito del tuo ultimo libro, quanto è sottile poi la differenza tra un certo tipo di movimento che punta all’empowerment femminile con il Pink washing. Quanto è difficile poi capire la sincerità dietro a un movimento, un brand o un’associazione?

Il punto è non chiedersi quali fini abbiano i brand, le aziende, le influencer o qualsiasi altro soggetto ci possa venire in mente. Perché se si pensa agli scopi si rischia di raggiunge un confine molto pericoloso. Credo che anche nella militanza più pura e dura ci siano comunque delle tendenze al guadagno personale come al potere. Sono dinamiche a cui non penso sia possibile sfuggire.

Poi qualcuno se la racconta molto bene dicendo di non essere parte del sistema, ma alla fine ci siamo dentro tutti. Quindi, più che concentrarsi sugli scopi, secondo me, il punto è focalizzarsi su chi fa il femminismo. Prendo l’esempio di un’azienda che si professa femminista. Non credo che ci sia per forza pink washing fatto a tavolino, come il Board di uomini maschi, bianchi ed etero della Mattel di Barbie.

Le singole persone che lavorano dentro queste aziende, come quelle che le hanno fondate, possono essere femministe – chi sono io per dire no – il problema è quando appunto si fa passare per tale un soggetto che non può esserlo.

Un’azienda non può essere femminista, ma può avere al suo interno delle pratiche femministe e può ispirarsi a dei valori femministi. Però il femminismo appunto è un’unione di teoria, di prassi. Qualcosa che si fa e che non si nomina. A me viene veramente difficile pensare che un’azienda o un’istituzione, ovvero qualsiasi cosa che non sia una persona o un gruppo di persone, sia femminista perché è una cosa incarnata e non un concetto astratto.

Ti è mai capitato in questo senso di sentirti strumentalizzata?

Si, tantissime volte. Devo dire principalmente dal sistema mediatico. Molto spesso l’impressione è che, soprattutto i giornali, utilizzino la voce di persone anche esterne per una questione di posizionamento. Per cui nel momento in cui tu pubblichi una mia intervista, facendo un esempio su di me, scegliendo di sottolineare alcuni aspetti e tagliando delle risposte o dando un certo titolo e un certo taglio mi strumentalizzi. Spesso mi sono sentita usata come una figurina, come un santino per fare posizionamento e engagement.

…nelle ultime settimane si è parlato tanto di censura, soprattutto del caso Scurati e ho visto che anche tu hai rilasciato delle interviste in cui hai detto di esserti sentita censurata in alcuni casi

Ecco, questo è un ottimo caso di strumentalizzazione. Ho raccontato sia su Instagram che nelle interviste che ho fatto che non mi sono sentita censurata ma che ho fatto semplicemente un collegamento tra quello che mi è successo e quello che è successo a Scurati. Tra l’altro con dinamiche anche molto diverse. Secondo me, poi, censura è una parola da usare con le pinze.

Per alimentare e semplificare un dibattito, concreto e reale, per carità! Perché appunto io non l’avrei detto pubblicamente se non credessi che c’è un collegamento fra le due cose ma avrei tenuto per me questo episodio. Quando finisci in queste dinamiche mediatiche, poi, succedono anche cose spiacevoli, perché magari il giornale di destra ti riprende senza saper nulla di te e usandoti al contrario.

Purtroppo però sono cose che fanno parte di questo sistema mediatico malato in cui siamo.

a cura di
Andrea Romeo

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