William Friedkin: il regista del male

William Friedkin: il regista del male
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E’ scomparso il 7 agosto il regista, sceneggiatore e produttore William Friedkin. Famoso per aver rivoluzionato generi come l’horror e il poliziesco con film come “L’esorcista” e “Il braccio violento della legge“. Un cinema violento e ambiguo, ma autentico e soprattutto umanissimo.

I difficili inizi

Saranno stati i suoi inizi a rendere cosi forte l’esperienza del suo cinema. Nato in una modesta famiglia ebreo-russa ha dovuto fare diversi lavori per sopravvivere. Barista e pulitore di vetri, senza guadagnare più di 50 dollari la settimana, il giovane William Friedkin riceve l’illuminazione dopo aver visto Quarto Potere di Orson Welles.

Comincia a lavorare come fattorino presso la WGN, una stazione televisiva di Chicago. In poco tempo passa dall’ufficio corrispondenza alla produzione e infine alla regia di documentari e programmi tv. Programma 2000 ore di TV dal vivo e, fra queste, un documentario The People Vs. Paul Crump su un caso di un uomo di colore condannato a morte nel 1962. Grazie al film la sentenza non solo fu rimessa in discussione, ma vinse il premio Golden Gate al Festival del cinema di San Francisco.

I primi film

E’ del 1967 il primo film. Si tratta di Good Times, un musical con protagonisti Sonny & Cher. I buoni risultati di critica e pubblico lo porteranno ai successivi Quella notte inventarono lo spogliarello e Festa di Compleanno (The Birthday Party) (1968). Ma il grande successo arriva col film Il braccio violento della legge (The French Connection) (1971) che portò a casa ben cinque Oscar: miglior regia, miglior film, miglior montaggio, miglior sceneggiatura originale e miglior attore.

L’esorcista

La locandina del film lo presentava come “il film più terrificante di tutti i tempi”. Una vera discesa agli inferi, lo scontro epico fra il bene e il male attraverso una bambina innocente. La perfidia della creatura che si prende gioco dei preti chiamati ad esorcizzare la povera bambina, in una battaglia che si gioca sulle fragilità psicologiche.

La struttura del film spiazza per quello. Una vicenda apparentemente normale che si trasforma in un incubo per tutti coloro che la vivono. Un film che ha il potere di spiazzare e che, nella versione uncut uscita anni dopo, non risparmia scene cruente che contribuiscono a creare angoscia e confusione.
Tratto dal romanzo di William Peter Blatty, che nel film collabora come sceneggiatore e produttore, il film ottenne incassi mondiali incredibili e William Friedkin si portò a casa due Premi Oscar: miglior sceneggiatura non originale e miglior sonoro.

Politicamente scorretto

Nei film successivi William Friedkin non ha mai più raggiunto quelle vette di successo. Ma ha mantenuto una coerenza stilistica non comune. Ha diretto lavori con storie scomode, sempre in bilico fra il bene e il male. Il salario della paura (Sorcerer) è un film uscito nel 1977. Costato 22 milioni di dollari ne incassò appena 12. Procurò malaria e diversi infortuni durante le riprese in Repubblica Dominicana e fu stroncato dalla critica e snobbato dal pubblico.

Si tratta del remake del film Italo-francese Vite vendute di Henri-Georges Clouzot del 1953. Entrambi tratti dal romanzo di Georges Arnaud Le salaire de la peur del 1950. Un’opera che testimonia ancora una volta la cifra stilistica di un regista unico. Tensione alle stelle già dalle prime scene, dialoghi ridotti al minimo. Come in tutti i film di Friedkin non esistono supereroi, il buono non prevale sul male e i protagonisti si trovano a vivere situazioni di sopravvivenza oltre i limiti.

New Hollywood

Ma torniamo un attimo indietro. La fine degli anni ’60 ha visto a Hollywood un fiorire di registi indipendenti alternativi per arginare la crisi del cinema. Venne denominata la New Hollywood, dove registi e autori riuscivano a imporre il loro modus operandi ai produttori. Senza questa rivoluzione non avremmo avuto i capolavori di Stanley Kubrick, Martin Scorsese, Brian De Palma, Steven Spielberg, Francis Ford Coppola.

Anche William Friedkin si impose come innovatore, grazie appunto a The French Connection e L’esorcista. Ma furono due i film che suggellarono la fine di questo periodo d’oro a cavallo fra gli anni ’60 e la fine degli anni ’70. Uno era I cancelli del Cielo di Michael Cimino e l’altro proprio Il salario della paura di Friedkin.

I costi esorbitanti delle location, i capricci dei registi e soprattutto i flop che entrambi i film generarono al botteghino, imposero ai produttori un cambio di passo. Sarebbe stata più dura da quel momento avere film di spessore, un regista non avrebbe avuto modo di creare le proprie visioni in maniera indipendente. Sarà questa forse la causa dei successivi flop di William Friedkin, sospesi fra alti e bassi.

Cruising del 1980 è l’ennesimo film capace di scaldare gli animi di molti. In primis della comunità gay di New York, rappresentata in maniera fraudolenta e perversa. Ennesimo flop commerciale e la critica lo demonizza. L’uragano di polemiche che ne seguì ha impedito al cuore pulsante di Cruising di emergere con la dovuta dignità. Una serie di tagli, che hanno decurtato il film di circa 40 minuti, ha destabilizzato l’intera struttura.

Come nelle abitudini del regista, egli stesso, tramite insospettabili conoscenze (si recuperi il notevole Friedkin Uncut, visionato a Venezia ’75) ebbe possibilità di accedere al circuito dei locali sadomaso. Anche qui una discesa in un mondo sconosciuto e sotterraneo dove Friedkin sfoggia ancora una volta il suo innegabile stile. Lo spirito documentaristico delle riprese con le camere a mano. Un dettaglio che troviamo spesso e che ne rappresenta la sua caratteristica.

Dolorosamente superstar
Amore perso in qualche bar
Si addensano le nuvole
Mentre guardi il cielo sei bella
Sogni di morire e vivere a Los Angeles

Baustelle “Los Angeles”

La citazione dei Baustelle ci serve per introdurre forse uno degli ultimi capolavori del maestro Friedkin: Vivere e morire a Los Angeles. Tratto dall’omonimo romanzo del 1984 di Gerald Petievich, scrittore di successo con alle spalle un passato da Agente Speciale dei Servizi Segreti statunitensi dal 1970 al 1985.

Come accade ne Il braccio violento della legge (di cui il film ne è la naturale evoluzione) i protagonisti sono una coppia di poliziotti interpretati da William Petersen (Manhunter, CSI Miami) e John Pankow (Monkey Shines, Talk Radio, Law and Order). Attori non famosi scelti per questione di budget, primo effetto dell’epurazione ai danni di Friedkin. Come villain invece fu chiamato un attore già famoso, Willem Dafoe.

Anche in questo film Friedkin ha lasciato un segno tangibile di veridicità. Assunse come consulenti tecnici due autentici falsari: ex detenuti condannati per contraffazione di denaro. Il denaro era talmente fatto a regola d’arte che alcune banconote entrarono in circolazione. Leggenda vuole che lo stesso regista ne abbia fatto uso prima che l’FBI eliminasse la contraffazione: “Li ho messi nel portafoglio e li ho spesi in ristoranti, lustrascarpe, e altrove: quei soldi erano così buoni…”.

Come in French Connection la coppia di sbirri si divide in uno istintivo e l’altro più ragionevole. In entrambi i film lo sbirro agisce al confine fra legalità e giustizia privata. E come in French Connection anche qui abbiamo un inseguimento adrenalinico, con la differenza che a inseguirli in questo caso sono i cattivi.

Le ultime opere

La filmografia ufficiale di William Friedkin continua. Fra i vari film, sono pochi quelli degni di nota. Jade (1995) è un thriller contraddistinto da intrecci sessuali (e un ennesimo inseguimento degno di nota nella Chinatown di San Francisco), Bug (2006) e Killer Joe (2011) due film “estremi” tratti dalle omonime piece teatrali di Tracy Letts. Due film che hanno in comune protagonisti senza speranza di redenzione, vittime di un’America senz’anima. Un terreno ideale per la materia di William Friedkin.

Il regista, sei anni fa, si concede un ritorno sui temi satanici con il documentario The Devil and Father Amorth, omaggio al famoso sacerdote italiano autore di numerosi esorcismi. E ci lascia con un film, The Caine Mutiny Court-Martial, che verrà presentato fuori concorso al prossimo Festival di Venezia. Quello stesso Festival che lo insignì del Leone D’Oro alla carriera nel 2013. Ancora una volta un riconoscimento dovuto ad un regista che ha sempre mantenuto una coerenza fuori dall’ordinario.

I suoi film, contrariamente a quanto si possa pensare, definiscono percorsi umani vivi e pulsanti senza morale. William Friedkin ha saputo valorizzare i generi senza stravolgerli, ma senza rimanere legato ad alcun clichè. I protagonisti dei suoi film spesso affrontano fatiche insormontabili ma spesso il destino riserva loro un finale diverso da quello che si aspettavano. Perché nella vita funziona spesso così.

Friedkin non barava, mostrava il limite umano, quei desideri reconditi come Steve Burns, l’Al Pacino di Cruising. In Jade assistiamo alla scena di una donna investita da un’auto (forse solo Dario Argento aveva manie simili o Lucio Fulci), le sevizie e i pestaggi sono visionati con dovizie di particolari.

Questo è William Friedkin, un regista autentico nel vero senso del termine. Uno che ha fatto il lavoro sporco. Ma a differenza di Abel Ferrara, altro regista maledetto, con Friedkin ci sono bagliori di umanità e di speranza. I quattro malcapitati della spedizione del Salario della Paura, in quei momenti di disperazione dimostrano un’umanità interiore riposta in qualche angolo nascosto dell’anima. Questo è il significato ultimo di William Friedkin: la celebrazione di vita e di umanità, malgrado tutto.

a cura di
Beppe Ardito

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Beppe Ardito

Da sempre la musica è stata la mia "way of life". Cantata, suonata, scritta, elemento vitale per ridare lustro a una vita mediocre. Non solo. Anche il cinema accompagna la mia vita da quando, già da bambino, mi avventuravo nelle sale cinematografiche. Cerco di scrivere, con passione e trasporto, spinto dall'eternità illusione che un mondo di bellezza è possibile.

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