Una crisi globale, tra COP26 e movimenti ambientalisti

Una crisi globale, tra COP26 e movimenti ambientalisti
Condividi su

Con il termine cambiamento climatico si indica quel processo di variazione della temperatura terrestre. Più nello specifico, la convenzione quadro delle Nazioni Unite indica con mutamenti climatici quei cambiamenti provocati dall’uomo e con variabilità climatica quelli prodotti per cause naturali.

La transizione ecologica è quel processo strutturale che permette di cambiare il modello socioeconomico di un paese passando dall’utilizzo di combustibili fossili a fonti energetiche più sostenibili. Essendo un problema globale, l’approccio strategico di transizione verso fonti energetiche verdi deve essere sostenuto e finanziato dall’intera società. Solo in questo modo è possibile beneficiare realmente dei vantaggi di un’economia pulita.

La crisi climatica

I cambiamenti climatici sono sempre esistiti, quello che ci preoccupa però sono i dati registrati dall’IPCC. Il 97% del riscaldamento globale deriva dall’effetto serra antropico, causato dall’emissione in atmosfera di CO2 da parte dell’uomo. L’effetto serra antropico si va ad aggiungere a quello naturale creando una cappa che impedisce ai raggi solari di tornare in atmosfera. 

Le nostre vite si fondano su stati di equilibrio che possono portare al cosiddetto “collasso ambientale sistemico” nel momento in cui uno di questi sistemi crolla. Ciò che è allarmante è come davanti ad una catastrofe globale, la maggior parte delle persone sia indifferente. Le nostre menti vengono continuamente riempite da informazioni futili quali il nuovo modello di cellulare o l’ultimo paio di scarpe alla moda, rischiando di portare una società in crisi verso strade secondarie. Rischiamo, quindi, di perdere di vista il reale e immediato problema che stiamo affrontando. 

High resolution digital image depicting a single, sad, dirty polar bear, floating on a dwindling chunk of ice, in the center of vast ocean garbage patch. Image is intended to illustrate themes like environmental degredation, ocean pollution, habitat loss, global warming, and climate change in general.
L’indifferenza del mondo capitalista

Certo, questo non vale per tutti, ma è anche vero che quella parte che riesce a rendersi conto della gravità della situazione in cui stiamo vivendo scuote la testa sì, ma rimane immobile a guardare con disappunto un mondo che chiede aiuto in diversi modi. Rimaniamo sconcertati difronte alle immagini di tartarughe marine intrappolate nelle mascherine o di fronte alla notizia di orsi polari che muoiono di fame. Cosa facciamo, però, per impedire che questo avvenga? Qual è il nostro reale contributo per rallentare questo processo di autodistruzione?

Vivere in un mondo capitalista fondato sul consumo e sulla crescita economica certo non aiuta. Siamo talmente abituati a comprare, vendere, buttare via che quasi ci sembra una cosa normale e sicuramente non la si può cambiare da un giorno all’altro. Continuare a chiudere gli occhi di fronte a continui sprechi, però, non può essere la soluzione. Perdiamo tempo a spostare la colpa su altri, a trovare un capro espiatorio, pur di non ammettere che ogni singola azione, compiuta da ognuno di noi, influenza tutta la società. 

COP26: le aspettative

Non è un segreto che la conferenza di Glas­gow sul clima sia un fallimento. Dovrebbe essere ovvio che non possiamo risolvere la crisi climatica con gli stessi metodi che l’hanno provocata.

Greta Thunberg a Glasgow

Lo scorso novembre si è tenuta la ventiseiesima Conferenza delle Parti a Glasgow, giudicata da molti come fallimentare. La Conferenza delle Parti, COP, fa riferimento alla riunione a cui partecipano i Paesi che hanno ratificato la Convenzione Quadro delle Nazioni Unite nel 1992. 

Per molti la COP26 era la speranza di un reale cambiamento. La conferenza era iniziata con l’obbiettivo di raggiungere la neutralità climatica entro il 2050, in modo da mantenere il riscaldamento globale sotto 1,5°C, tramite una stretta collaborazione tra i paesi e la presentazione di NDC più ambiziosi rispetto a quelli di Parigi (2015). Gli NDC, Nationally Determined Contributions, sono dei piani quinquennali attraverso i quali ciascun paese presenta degli obiettivi per contrastare i cambiamenti climatici.

COP26: la realtà

Le reali problematiche che hanno portato ad una deludente conclusione della Conferenza sono più di carattere formale. Prima fra tutte la crisi pandemica, che ha rallentato la crescita di numerosi paesi, i quali hanno, attualmente, come priorità la ripresa dalla crisi economica. Inoltre, nei paesi emergenti, quelli ritenuti “maggiormente responsabili”, non vi sono ancora movimenti ambientalisti o un’opinione pubblica che si mobiliti.

Man’s hand holding a cardboard sign that says SAVE THE PLANET

Tralasciando questi problemi, che potrebbero essere considerati anche minori, comprendendo solo una parte dei paesi coinvolti, la natura non vincolante della governance e l’assenza di meccanismi sanzionatori portano spesso i leader a voltarsi dall’altra parte, evitando responsabilità e lasciando agli altri l’onere di occuparsene. Questo è un fattore che fa scappare dalla collaborazione, elemento in realtà necessario per uscire da una crisi globale. 

Nonostante tutto, però, sono stati raggiunti una serie di accordi separati, tra cui quello per la riduzione del 30% delle emissioni di metano entro il 2030, quello per fermare la deforestazione. Assieme a questi, forse il più importante, è l’impegno di Cina e USA, i due paesi con le maggiori emissioni di gas serra, a cooperare.

Movimenti e organizzazioni ambientaliste

Fridays for future nasce nel 2018 dalla protesta di Greta Thunberg per incentivare il governo a rispettare gli accordi di Parigi. Da questo avvenimento isolato nasce un movimento globale pacifico che riconosce in Greta proprio la figura di spicco. 

Uno degli obiettivi principali delle proteste, Climate Strike, che si svolgono ogni venerdì è quello di mantenere viva l’attenzione sulla problematica globale, cercando di renderla una priorità per la politica internazionale. Quello che chiedono nella pratica è l’eliminazione dei combustibili fossili e il raggiungimento dell’obiettivo di contenimento della temperatura globale sotto 1,5°C. 

Questo è forse il più noto dei tanti movimenti e organizzazioni che negli ultimi anni si stanno sviluppando al fine di contenere la crisi. In particolare, noi di The Soundcheck abbiamo intervistato un esponente di Goal Romagna, il Green Office del campus di Forlì. 

Stefano Zerbo è uno studente del terzo anno di Scienze Internazionali e Diplomatiche che da maggio 2021 collabora con l’Ateneo Unibo al fine di rendere l’università un posto più sostenibile.

Questo è quello che ci racconta. 

Young group of teenagers activists demonstrating against global warming.
Cos’è e come è nato Goal?

Il Goal nasce seguendo il modello delle università scandinave, in particolare l’università di Copenaghen. Il Green Office, quindi l’ufficio della sostenibilità dell’università, si ha quando nel corpo docenti c’è un settore della sostenibilità, vale a dire un entourage di professori e tecnici amministrativi che si occupano della sostenibilità dell’Ateneo. Io lo considero un portale di comunicazione tra gli studenti e la sostenibilità promulgata dall’università. Vuole, infatti, fare da ponte selezionando 10 studenti per ogni Goal: Goal Romagna, fondato nel 2019, e Goal Bologna, fondato nel 2020 in piena pandemia. Questi 10 studenti fungono da “ambasciatori” per la promozione delle politiche di sostenibilità dell’Ateneo.

Quanto è importante indirizzare i giovani verso uno stile di vita più ecosostenibile?

Sicuramente è importante perché oggi giorno sono tematiche che permiano la quotidianità, non a caso c’è uno sforzo anche da parte dei ristoranti di essere più ecosostenibili. Per esempio, ci sono ristoranti a cui è stata assegnata una stella verde per la sostenibilità. Nell’università è giusto che venga promossa la sostenibilità, non solo con la vendita di borracce, ma anche tramite altre politiche.

L’università di Bologna, secondo me, si sta spendendo tanto nel cercare di promuovere questa politica, ad esempio tramite l’installazione dei red blocks al campus di Forlì, le fontanelle dell’acqua, le auto elettriche per i docenti e l’impianto fotovoltaico al campus di Cesena. Inoltre, cercano di incentivare gli studenti attraverso la promozione sui social per la riduzione dell’utilizzo della plastica e i call survey, chiedendo quindi direttamente agli studenti cosa migliorare. Questo fa capire che diventa importante essere sostenibili. Non solo per i problemi climatici che si stanno venendo a creare adesso, ma anche per quelli ambientali che hanno caratterizzato la società da sempre. Secondo me, quindi, è importante educare i giovani nelle scienze ambientali.

Quindi, secondo te, le istituzioni, universitarie e no, possono influenzare i giovani?

Sì, non è solo l’università che può influenzare i giovani. Ripeto l’esempio dei ristoranti che, pur essendo aziende e non vere e proprie istituzioni, si preoccupano di utilizzare piatti biodegradabili, oggetti a chilometro zero o eliminare il packaging di plastica e farlo in cartone riciclato. 

Fonte: Unibo
Come vivi la sostenibilità ambientale nel tuo quotidiano?

È chiaro che non siamo tutti santi e anche io faccio qualche errore. Per esempio sull’eccessivo consumo di elettricità, però sicuramente stare attenti alla raccolta differenziata è un gesto che fa tanto. Io personalmente utilizzo l’app di Hera, il rifiutologo, che ti permette di differenziare in maniera corretta i rifiuti in base al comune, perché comunque le regolamentazioni variano. Allo stesso tempo cerco di limitare il consumo di carne, di promuovere prodotti ecosostenibili, ad esempio in carta riciclata e mi affido a copisterie che so che utilizzano carta di alberi malati e, chiaramente, cerco di utilizzare le borracce il più possibile, non comprando le bottiglie di plastica ed utilizzando l’acqua del rubinetto.

Che consiglio ti sentiresti di dare ad un giovane che non sa da dove iniziare per diventare un po’ più “green”?

Sicuramente è avvicinandosi a queste associazioni studentesche che si riesce a conoscere la sostenibilità a 360 gradi, o comunque nel contesto in cui stai vivendo. Oltre al Goal esistono altre associazioni, quali Fridays for Future, che ti informa anche su eventi politici, oppure Spazio 2030, insomma esistono numerose associazioni per imparare ad essere più sostenibili. Inoltre, quello che dico sempre è di leggere e informarsi, comprare libri di economia ambientale, non avere paura di lanciarsi in iniziative di questo genere che stanno cercando sempre più giovani, anche perché sono cose che riguardano la nostra generazione. Bisogna cercare di fare anche un minimo gesto che contribuisca alla sostenibilità: la raccolta differenziata, la promozione dei produttori locali, l’utilizzo dell’acqua del rubinetto, magari filtrandola, o se necessario utilizzare le bottiglie, evitarne lo spreco eccessivo. Sicuramente informarsi sempre.

a cura di 
Giulia Focaccia

Seguici anche su Instagram!
LEGGI ANCHE – “Romanzo Quirinale” e l’elezione del presidente della Repubblica
LEGGI ANCHE – Ri.Nova: ricerca e comunicazione agroalimentare si incontrano
Condividi su

Giulia Focaccia

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *