Paolo Tricoli: “Cosa ci si racconta quando si ha poco tempo?”
Il racconto delle nostre vite è il nuovo romanzo di Paolo Tricoli, autore già affermato, che si trova oggi al suo quinto libro. La sua voglia inarrestabile di ideare storie lo ha portato, questa volta, alla creazione di due personaggi: Luca e Livia. All’intreccio delle loro vite si accosta l’indagine di due delle tematiche centrali, e per questo irrisolvibili, della letteratura: l’amore e la morte. Come queste fanno capolinea nella narrazione dei protagonisti è qualcosa che chiaramente non vi sveleremo nel corso dell’intervista, ma vi invitiamo a scoprirlo leggendo Il racconto delle nostre vite.
Con Paolo ci siamo soffermati su come la socialità e gli incontri tra le persone siano cambiati nell’approccio, pur restando sempre uguali a se stessi.
Ciao Paolo, benvenuto su The Soundcheck! Hai da poco pubblicato il tuo nuovo libro dal titolo Il racconto delle nostre vite in cui ciò che spicca della copertina è la presenza di una panchina rossa raffigurata però, per metà: questa immagine si lega in qualche modo alla trama o al senso della storia?
Elisa Simoncelli, la bravissima grafica a cui mi sono rivolto per la copertina e per l’impaginazione, ha saputo sintetizzare col suo abile tocco la sostanza del libro.
La panchina è storicamente un simbolo del comunicare. Quante storie sono state raccontate su una panchina, soprattutto storie di persone comuni che si incontrano per caso!
Nella realtà del libro la panchina la troviamo proprio all’inizio quando il protagonista poco dopo l’alba, in una piccola ed assolata città di mare, nota una donna barcollante e sfiancata abbattersi su di essa. Da qui nasce un incontro che cambierà la vita di entrambi.
In realtà è un rincontro perché i due si sono vagamente sfiorati più di vent’anni prima in quelle stesse strade. Nel frattempo le loro vite si sono dipanate in storie molto diverse e proprio queste vicende riempiranno, da quel momento, i due giorni successivi.
Hanno poco tempo per farlo, un avvenimento drammatico incombe sui due. E cosa si racconta della propria vita quando si ha poco tempo. Qual è l’Essenziale? Ai due protagonisti quasi naturalmente viene di raccontare dell’amore che, nel bene e nel male, ha occupato la loro esistenza.
Il nero e il rosso della copertina sono i colori simbolici di queste narrazioni.
Luca ha amato con tenera passione una donna che prematuramente ha chiuso la propria vita intenzionalmente e lui non se ne fa una ragione, temendo di essere stato più o meno volontariamente complice di questa scelta estrema.
Livia è stata vittima di una violenza non fisica ma morale, di un amore malsano, al quale non si è potuta sottrarre perché sottoposta ad un ricatto infame che coinvolgeva la sua famiglia d’origine. Solo dopo più di vent’anni lei ha trovato la forza e il coraggio di riscattare la sua libertà. Lo ha fatto nell’unica maniera che le sembrava giusta: il delitto.
Ma anche nel suo caso la convinzione di aver commesso qualcosa di indicibile, premeditata nel suo animo da troppo tempo, si confonde con una realtà contraddittoria e forse diversa da quanto lei stessa è convinta di aver fatto.
Diciamo che in due giorni i protagonisti si disvelano reciprocamente ma soprattutto dicono a se stessi la verità.
Non a caso la panchina è ritratta parzialmente, manca un pezzo, un pezzo che i due protagonisti devono ancora raccontare e forse lo faranno insieme.
Nel libro si parla di due tematiche ancestrali anche da un punto di vista della loro contrapposizione, ovvero “amore” e “morte”: c’è stato un evento reale (o meno) a cui ti sei ispirato e che ti ha permesso di scrivere la storia di Livia e Luca?
No. Proprio perché sono un topos, un motivo ricorrente della narrazione umana, non ho avuto bisogno di ispirarmi ad un fatto reale. Ho solo cercato di essere credibile. Tra l’altro, tutti i miei libri sono frutto di un’invenzione. Per certi versi è più semplice scrivere liberamente, perché non si è legati ad una verità anche se poi i personaggi che crei e le loro storie via via assumono essi stessi una forza tale che non puoi non rispettarne la coerenza che è una faccia fondamentale della verità.
La panchina, come dicevamo prima, diventa simbolo di socialità e di conoscenza quasi fortuita del prossimo. Credi che la situazione in cui stiamo vivendo metta a dura prova la possibilità di incontrare per caso persone, che altrimenti non avremmo potuto incontrare diversamente?
Penso che già da tempo la panchina abbia perso questa capacità, fatta eccezione, forse, per quelle accanto ai giochi dei bambini, presso i giardini pubblici, dove genitori nuovi e vecchi si scambiano ancora esperienze e ansie comuni. L’attuale pandemia certo non aiuta, tuttavia i social stanno, in qualche misura e con modalità più o meno positive, colmando questo vuoto.
Molto si scrive su questi fenomeni sviluppatisi prepotentemente nel primo ventennio di questo secolo e non è il caso di aggiungere altro in questa sede. Dico solo che nelle comunità condominiali o di quartiere, molto ben rappresentate nel cinema e nella narrativa del nostro paese fino agli anni sessanta del secolo scorso, quasi nulla era rimasto come forma di aggregazione o di occasione di incontro.
Dunque i social, con modalità completamente nuove, stanno supplendo nel bene e, sottolineo, nel male a queste carenze.
C’è qualche elemento autobiografico, anche magari puramente inconsapevole, che ti sei accorto di aver inserito nelle storie dei personaggi?
No. Come ho già accennato, il piacere di scrivere nasce in me dalla voglia di inventare, mi piace sentirmi un burattinaio, muovere fili invisibili e raccontare storie. Forse è un delirio di onnipotenza quello che mi fa dire che Luca e Livia e così tutti gli altri personaggi dei miei libri prima non esistevano e ora, a dispetto della loro naturale fragilità, sono lì, destinati forse a durare più delle persone vere anche se hanno vissuto per due o trecento pagine soltanto.
Parlando invece della pubblicazione del tuo libro, “Il racconto delle nostre vite” è edito indipendentemente: a cosa è stata dovuta questa scelta?
I miei precedenti quattro libri sono stati tutti pubblicati con New Book edizioni. Stavolta ho fatto una scelta diversa al solo scopo di intraprendere una strada nuova: quella dell’auto-pubblicazione, che in qualche misura mi rende più libero anche di sbagliare, senza incidere sui bilanci di un’azienda editoriale che segue delle sue logiche di mercato, come è giusto che sia.
In quest’ottica vorrei avvicinarmi anche al mondo dei social di cui, nella mia esperienza di editor per conto di New Book edizioni, ho imparato a conoscere e ad apprezzare l’importanza e l’incidenza in termini di divulgazione dei libri.
La narrazione fa presagire che per Livia e Luca la storia non finisce qui. Hai già in mente un seguito?
Non credo. Nel mio primo libro (Informazioni sulla vita e sulla morte del povero Vincenzo) facevo risolvere un intricato caso di omicidio ad una coppia (marito e moglie) di improvvisati detective. Molti lettori, che si erano affezionati a questi due personaggi, mi chiesero se intendessi sfruttare ancora il felice abbinamento, lo esclusi sin da subito e così faccio ora per Luca e Livia.
Abbiamo trascorsi diversi mesi insieme mentre scrivevo il libro, ci siamo fatti compagnia, li ringrazio per quanto hanno fatto per me, e spero per i miei lettori, ma ora li lascio liberi di andare per la loro strada.
a cura di
Ilaria Rapa