L’esperienza emozionale di Eugenio Ripepi

L’esperienza emozionale di Eugenio Ripepi
Condividi su

Instancabile, è questo l’aggettivo giusto per descrivere l’intensa attività di Eugenio Ripepi: regista, scrittore, produttore, direttore artistico e all’occorrenza cantautore. Il 3 luglio è uscito il suo album Roma non si rade.

Un album denso di pensieri e immagini, uno specchio dove il cantautore ligure si osserva, condividendo con l’ascoltatore il proprio mondo. Ma anche lo sguardo di chi, per ragioni autobiografiche, non mette bene a fuoco con l’occhio destro ma intuisce il divenire.

Ecco cosa ci ha raccontato…

Ascoltando “Roma non si rade”, quello che più colpisce nella maturità del tuo stile è riuscire a parlare di temi “alti” usando la forma canzone nella sua accezione più popolare e diretta. Quanto lavoro c’è voluto per arrivare a sviluppare questa attitudine?

Innanzitutto ti ringrazio. Ho sempre pensato che fosse utile affrontare discorsi anche densi, se così si può dire, utilizzando la forma canzone nella maniera più accessibile, in particolar modo per ciò che attiene alla sfera dell’armonia e degli arrangiamenti. In ragione del fatto di non aver studiato da musicista, le mie armonie sono abbastanza elementari. In ogni caso, ho riscontrato con la mia esperienza e anche in riferimento alla storia della canzone d’autore, che avere un motivo musicale come un cavallo di Troia, che possa entrare nella testa delle persone, è senz’altro molto più efficace per far veicolare concetti rispetto a una sorta di musica avviluppata su se stessa, in vista di un virtuoso autocompiacimento espressivo.

Musicalmente “Roma non si rade” ha riferimento legati al cantautorato o al rock classico con il supporto musicale di musicisti esperti. Chi sono stati i collaboratori del disco e chi vorresti citare in particolare?

È una bella lotta. Tanti tanti musici. Ho degli amici fraterni che hanno lavorato al disco.Simone Mazzone, maestro di chitarra classica e componente della Camerata Musicale Ligure nonché del gruppo musicale Sottosuono e di molte altre formazioni, musicista colto e duttile; Lorenzo Lajolo al basso in molti pezzi, con cui ho mosso, insieme a Mazzone, i miei primi passi musicali e con cui condivido un forte vincolo di amicizia;
un’altra chitarra, quella di Mauro Vero, uno dei più importanti chitarristi liguri, con tantissime importanti esperienze da esecutore ma anche da creatore di musiche; Giovanni Doria-Miglietta al pianoforte, raffinato concertista di classica; Corrado Trabuio al violino, che ha già arrangiato diversi pezzi del mio precedente album; l’enorme bravura di Marco Moro, ai fiati; Daniele Ducci al contrabbasso; Claudia Murachelli all’arpa e voce in alcuni pezzi a cui sono molto legato;

Roberto Saltelli alle batterie; il pianoforte di Luigi Giachino e il suo bellissimo arrangiamento per il pezzo Un ritratto di foglie di paglia;l’arrangiamento di Marco Reghezza, compositore di fama internazionale, in Specchi negli specchi, con gli archi dell’Open Orchestra di Imperia registrati dal vivo e con le voci del Coro Mongioje; Valter Ferrandi, arrangiatore di diversi pezzi del mio precedente album,che ha arrangiato e suonato il contrabbasso nel pezzo Il mio mare, in cui figura alle percussioni un nome come Marco Fadda; il pianoforte vivo e frizzante di Alessandro Saglietti, che ha suonato anche la batteria nello stesso pezzo di inizio disco, Un contatto; al violino Antonio Laganà e al pianoforte Valentina Oliveri nell’ultimo brano dell’album, Ci sarà; e poi ancora Giovanni Sardo al violino, Emanuele Natta alla chitarra,Vincenzo Pisano alla fisarmonica, Max Matis al basso, Davide Mocini al liuto, Giovanni Peirone alla chitarra, Giulio Zampollo al vibrafono, Claudio Keyo Ognibene, che ha arrangiato il pezzo Sei mattina, Puglia alla chitarra e Gabriele Polimeni alla tromba, Giuseppe Socratini alle seconde voci.

https://www.instagram.com/p/CBI2aO4hsGm/
La didascalia dell’album recita: “Colori a occhi chiusi – Occhio destro”. Sei stato vittima di un incidente o è una metafora? Sei cosciente comunque del fatto che, come spesso succede, un handicap può comportare un rafforzamento degli altri sensi?

Da quando sono bambino non riesco a vedere tanto bene dall’occhio destro. Inizialmente mi dissero che avevo il cosiddetto “occhio pigro”. Più avanti scoprii di avere un’alessia, ovvero una incapacità di leggere comprendendo il significato solo da un occhio, come se, nonostante io veda nitidamente, le lettere insieme non vadano a formare segni di senso compiuto. L’occhio destro vede meno chiaro e più lontano, l’occhio sinistro vede più chiaro ma meno lontano. Così ho pensato di applicare il concetto alla mia dilogia Colori a occhi chiusi. Quando si chiudono gli occhi, qualcuno vede solo buio e qualcuno, come me, vede dei colori. L’occhio destro afferisce alla parte metafisica, che vede più lontano forse, ma meno nitido, e l’occhio sinistro sarà quello della rabbia sociale, del prossimo disco, più nitido ma forse meno lontano.

Hai una biografia davvero invidiabile, sei scrittore, regista nonchè direttore artistico dello Spazio Calvino di Imperia, del Teatro Tommaso Salvini di Pieve diTeco, del Teatro del Mare presso il Museo Navale di Imperia. In questo periodo denso di incertezza per l’arte e la cultura nel nostro paese per la scarsa attenzione da parte del Governo dopo il periodo di lockdown dovuto al Coronavirus, come vedi il futuro prossimo riguardo l’arte, lo spettacolo e la musica in genere (visti dal tuo occhio debole)?

Ti ringrazio della bella domanda, da cui si evince un’attenzione nei confronti dei miei testi, che gradisco moltissimo. Il mio occhio debole sul reale vede ben poco, e chissà cosa vede oltre qui, tenendo conto che, come sai, “l’essenziale è invisibile agli occhi”. Mi auguro che il futuro non sia solipsismo, ma in questo momento personalmente , a parte
alcune direzioni artistiche che partono ora (“Teatro a mare” a Imperia con Enzo Paci, Daniele Raco, Alessandro Bianchi e Enrico Luparia) e che hanno la mia firma, il Lockdown mi ha insegnato a riscoprire tutto quello che avevo da parte, e farlo uscire fuori, perché questo è ciò che rimarrà di me quando non ci sarò più. Più in generale, rispetto all’arte tutta, ti direi che sembra banale affermare la necessità della ricerca del contatto vero e di contenuti che non siano solo legati all’invettiva, ma forse è giusto reiterare questo concetto, anche se sembra superfluo. È proprio la chiusura di tutto, che ci può fare riflettere sulla necessità di raggiungere concretamente gli altri, aldilà di facili e vuote scorciatoie virtuali.

a cura di
Beppe Ardito

Seguici anche su Instagram!
https://www.instagram.com/p/CCgyLUNIGvw/
LEGGI ANCHE – Verso Santarcangelo Festival, l’intervista ad Alessandro Berti
LEGGI ANCHE –
Bike-In: a Mantova un’estate di eventi dal vivo
Condividi su

Beppe Ardito

Da sempre la musica è stata la mia "way of life". Cantata, suonata, scritta, elemento vitale per ridare lustro a una vita mediocre. Non solo. Anche il cinema accompagna la mia vita da quando, già da bambino, mi avventuravo nelle sale cinematografiche. Cerco di scrivere, con passione e trasporto, spinto dall'eternità illusione che un mondo di bellezza è possibile.

Un pensiero su “L’esperienza emozionale di Eugenio Ripepi

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *