The Old Oak – la recensione del film in anteprima

The Old Oak – la recensione del film in anteprima
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“The Old Oak”, il nuovo film diretto da Ken Loach, con Dave Turner e Ebla Mari, sarà presente in sala a partire da oggi 16 novembre.

Presentato in anteprima lo scorso maggio al Festival di Cannes, The Old Oak potrebbe essere l’ultimo film del regista inglese Ken Loach, che concluderebbe così una carriera lunga più di mezzo secolo. Una conclusione, a parer mio, in bellezza, considerando la grande intensità della trama, il protagonista della storia e l’intento politico sviluppato in una chiave diversa dal solito: quella dell’empatia.

Un punto di ritrovo

L’Old Oak sembra essere l’unico centro di aggregazione di una piccola città del nord est dell’Inghilterra, l’unico baluardo di vita, un “piccolo salotto” in cui le persone possono ritrovarsi.
Il proprietario che lo tiene in piedi è TJ Ballantyne, seppur rischiando, di giorno in giorno, di perdere i suoi già esigui clienti. Quando vengono accolti alcuni rifugiati siriani, infatti, per TJ sarà molto difficile tenere a freno l’odio di natura razzista dei suoi clienti più affezionati.

Il simbolo di Yara

Già dalle prime scene TJ si interessa alla giovane Yara, la cui macchina fotografica viene per colpa di un atto razzista, le si rompe, lasciandola triste in mezzo alla strada.
Agli occhi del protagonista quell’avvenimento è un simbolo, un’esemplificazione dell’intolleranza della cittadina nei confronti dell’immigrazione. Ma all’indignazione segue la volontà di ricucire lo strappo, come un tentativo di pace.

Loach ci regala un film necessario, un film silenzioso nel suo intento, un messaggio che parla d’impegno solidale, con un Dave Turner meraviglioso per tutta la durata del film.

Una delle cose che ho più apprezzato di questa pellicola, infatti, è stata proprio l’intensità della recitazione, in particolare nel monologo in cui il protagonista parla a Yara della sua cagnolina Marra. Ciò, nello specifico, mi spinge quindi a consigliare la visione di questo film… perché, sì, basta soltanto quel monologo!

Il messaggio

Sin dalle prime immagini, infatti, il regista ci fa riflettere: quando entra per la prima volta in quel baule pieno di ricordi che è l’Old Oak, Yara si confronta, per la prima volta, con la rappresentazione poetica delle proteste di quella città. Nella sala ormai chiusa da tempo che si trova dietro il bancone del pub ci sono, appese alle pareti, foto degli scioperi degli anni Ottanta.
L’arrivo della giovane ridarà vita e senso non solo a quelle immagini, ma anche al vecchio locale.

Il cinema di Loach ha un cuore impegnato nelle questioni di natura politica. La solidarietà che nasce dal basso è sempre stata per il regista la chiave di volta, sia per quanto riguarda lr storie individuali che di altre collettive.
Fino alla sua ultima pellicola, egli ha scelto di raccontare le vicende dei più deboli per dar loro speranza.

Le periferie

La storia è manifesto delle tante periferie europee in preda alla crisi economica e trascurate dallo Stato, luoghi dove la socialità è complicata dall’incomunicabilità, la mancanza d’istruzione, la carenza di servizi e di presidi territoriali.

Uomini e donne abbandonati al loro destino di emarginati che, a loro volta, emarginano, con tutto il rancore generato dall’ingiustizia. Un’angoscia che si sfoga sul capro espiatorio di turno, in questo caso i profughi siriani.

In cerca di un luogo sicuro dove andare dopo aver affrontato il dramma della guerra e dopo aver dovuto abbandonare il loro Paese, questi uomini e queste donne sono costretti a subire un ulteriore calvario in quella terra che non si è rivelata come nelle loro speranze.

Il motto adottato però da TJ e Yara, è una luce infondo al tunnel: “Mangiamo insieme, restiamo insieme.”, e così il film diventa un messaggio per divulgare solidarietà“Un giorno dovremo essere così organizzati e determinati da fare in modo che la solidarietà possa porre fine alla sofferenza e alla necessità di ricorrere alle lotte. Abbiamo già aspettato troppo a lungo”, ha affermato Loach, dichiarando che: “Forza, solidarietà, resistenza possono essere le parole per il nostro tempo. Ma io suggerirei di aggiungervi: agitare, educare, organizzare. Perché senza l’organizzazione non potremo mai vincere la nostra battaglia per un mondo migliore”.

Nonostante le condizioni di emarginazione degli inglesi di quella cittadina, la paura del diverso si è aggiunta, tanto da rendere ancora più difficile la comunicazione tra le etnie.

L’empatia, però, è l’unica cosa che può salvare il nostro mondo: mettersi nei panni degli altri, cercare di comprendere senza giudicare o manifestare alcun intento sovrastante. L’empatia è il sentimento a cui Loach ci vuole educare, perché solo con l’Arte possiamo realmente stare in silenzio a guardare la vita degli altri fino alla fine, senza trarre conclusioni affrettate.

a cura di
Benedetta D’Agostino

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Benedetta D'agostino

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