Blink-182: “One More Time…” è l’album della reunion

Blink-182: “One More Time…” è l’album della reunion
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Se sei un fan dei Blink-182, evita di leggere quest’articolo

Quello che trovi qui non è esattamente una recensione dell’ultimo disco dei Blink-182, “One More Time…”. È una digressione, un flusso continuo, una seduta di psicoterapia gratuita di 49 minuti e 55 secondi, la durata del decimo album in studio del trio californiano.

Da una parte, sprofondato nel velluto di una poltroncina verde, c’è un liceale, profondamente spensierato, cresciuto negli anni Novanta e che ha comprato il suo primo basso dopo aver “conosciuto” Mark Hoppus. Nella stessa stanza, poco distante e apparentemente noncurante della situazione, siede in maniera più composta un uomo sulla soglia dei quaranta.

Tic-toc, il tempo scorre ed è piuttosto complicato scrivere di Mark, Tom e Travis.
Tic-toc, sembra di essere in una clessidra.

L’apologia dell’eterna giovinezza

Del resto, i Blink-182 hanno sempre vissuto dentro una clessidra.

Da Time (“Flyswatter”, 1993) a Blame It on My Youth (“Nine”, 2019), passando per Lemmings (“Dude Ranch”, 1997), What’s My Age Again (“Enema Of The State”, 1999) e Good Old Days (“California”, 2016), ripercorrere l’intera discografia dei Blink-182 significa ripercorre l’ossessione della band per l’invecchiamento dove la Sindrome di Peter Pan – più che storytelling – è un mero atto di autoconservazione.

Partendo dall’assioma che il mito dei vent’anni, i primi approcci sessuali e un sentimento di rabbia verso genitori responsabili che elargiscono paghette solo previa presentazione di buoni voti scolastici siano i pilastri del pop-punk, non è opinabile chiedersi se i Blink-182 abbiano ancora motivo di esistere se non in una fantasia generazionale collettiva dove Mark Hoppus festeggia ripetutamente 29 anni e intona motivetti sull’ipertrofia prostatica.

Per questo è complicato recensire un ritorno – il trio non registrava insieme da “Dogs Eating Dogs” del 2012, ultimo EP prima dell’abbandono di Tom DeLonge, successivamente rimpiazzato da Matt Skiba degli Alkaline Trio – che pone in antitesi lo stesso ascoltatore in due epoche differenti.

Al netto di critiche e riflessioni, l’eredità dei Blink-182 è da maneggiare con cura, sottraendola dalla nostalgia di un passato privo di pannolini da cambiare, monolocali in affitto e auto prese a rate, con l’unica accortezza di passare da una traccia all’altra per il semplice gusto di ascoltare delle sonorità che ci hanno emozionato per oltre due decadi.

“One More Time…”, ancora una volta, insieme

Ed è proprio questo il giusto approccio per avvicinarsi a “One More Time…”, un disco deliziosamente scanzonato che alterna tematiche frivole a parentesi strazianti.

La depressione cantata da Tom in Turpentine, il senso di abbandono (“Strangers, from strangers into brothers, from brothers into strangers once again”) e la lotta contro il cancro di Mark (“Do I have to die to hear you say goodbye”) sapientemente riassunti nella title-track, sono dei passaggi che riflettono tutte le battaglie personali portate avanti dai componenti della band e che, umanamente, segnano il loro viaggio insieme.

Da Anthem Part 3 – brano che chiude la trilogia di Anthem del 1999 e di Anthem Part Two del 2001 – in poi, comprese le bonus track Cut Me Off e See You rilasciate nella versione digitale, tutte le 19 tracce si susseguono con pattern sentimentali di chitarra e batteria che ci catapultano negli anni del Warped Tour.

Addentrandoci nel disco, troviamo Fell In Love, costruita su una linea di synth che omaggia Close To Me dei Cure, Edging, il primo singolo dell’album in perfetto stile Dropkick Murphys, la movimentata Dance With Me, la sognante When We Were Young e Blink Wave, intrisa di echi sonori della miglior new wave di fine anni ’70 e che potrebbe affiancarsi senza difficoltà ai +44, ex side project di Mark e Travis Barker.

Terrified, originariamente scritta per i Box Car Racer, ex side project di Tom e Travis, risulta profondamente annodata all’omonimo album uscito nel 2002 mentre Hurt ammicca con complicità alle ambientazioni sonore degli Angels And Airwaves, secondo main project di Tom, ancora in attività.

Morale della favola

Per un’imprecisata ragione, se hai tra i 35 e 45 anni, avresti preferito di gran lunga elucubrare sulla profondità degli sketch dell’album live del 2000 The Mark, Tom and Travis Show (The Enema Strikes Back!) durante l’esame di maturità rispetto alla poetica del fanciullino di Giovanni Pascoli.

“One More time…” è un disco senza fronzoli e che assomiglia maggiormente al prototipo di una macchina del tempo rispetto a una start-up innovativa, uno stargate nel firmamento capace di celebrare la quotidianità con l’illusione che quei due giovani adulti nella stessa stanza si sfiorino per un istante.

E tirando tardi ogni notte, parlando di nuove storie e di quelle finite male, giunto il momento delle abituali promesse – abitualmente disattese – di rivedersi, i due tornino nelle rispettive dimensioni temporali con stupore e meraviglia. Giovanni Pascoli ne sarebbe orgoglioso.

a cura di
Edoardo Siliquini

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