La fotografia come arte indipendente nell’epoca del pittorialismo

La fotografia come arte indipendente nell’epoca del pittorialismo
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Correva l’anno 1902 quando Stieglitz e Steichen decisero di collaborare ad un unico progetto. Fino ad allora, le tendenze artistiche vedevano la pittura e la scultura come preponderanti rispetto alla fotografia, e il paradigma non dava alcun segnale di inversione. Eppure, ci si dovette ricredere quando Stieglitz creò il movimento Photo-Secession. Si trattava di una secessione che seguiva le linee del pittorialismo. L’obiettivo era quello di trascendere la pittura e la scultura come unica forma d’arte ed inserire, allo stesso tempo, la fotografia al loro pari.


L’epoca del pittorialismo

Allo statunitense Stieglitz, l’ideale di fotografia come mimesi del reale stava stretto, e ne ebbe la conferma nel 1899, mentre osservava il lavoro dei secessionisti a Monaco di Baviera. La Germania infatti è fonte d’ispirazione, in quanto considera la foto come pittorica e quindi come forma d’arte indipendente. Questo significa che è intesa come un mezzo di interpretazione ed espressione della realtà interiore ed esteriore e non solo come strumento in grado di documentare i fatti e l’ambiente che ci circondano. Alfred Stieglitz stesso è infatti convinto che il valore fondamentale sia che la fotografia emuli la pittura e l’incisione dell’epoca.
 
Il pittorialismo si appoggia proprio su questo assunto: come la pittura è caratterizzata dall’artista attraverso la manipolazione dei materiali per raggiungere l’effetto desiderato, così pure il fotografo dovrebbe alterare o manipolare l’immagine fotografica. La sua interpretazione, meno realistica ma più edulcorata, riscontra un notevole successo rispetto ad altre correnti del tempo. Per questo motivo a partire dal 1902 si registra un grande seguito per il movimento dei foto-secessionisti: tra loro contiamo John Strauss, Gertrude Käsebier e Eduard J. Steichen. È proprio dal rapporto fra quest’ultimo e Stieglitz che si darà vita a nuove esperienze: dalla rivista Camera Work fino alla galleria della secessione fotografica.

Fu Alfred Stieglitz il primo a voler sancire una relazione con il collega Steichen. Egli stesso ammise quanto i lavori del giovane lussemburghese lo affascinassero e, come dimostrazione, acquistò tre fotografie per il prezzo di 15 dollari l’una. Un’offerta mai ricevuta, dal momento che all’epoca le foto venivano vendute solo per qualche dollaro, e una gratificazione per Edward Steichen.

Da qui, si instaura un rapporto che permane negli anni a seguire, poiché nel 1902 lo statunitense chiederà al collega di prender parte alla secessione fotografica insieme a lui.
 

Camera Work

Il punto focale dei secessionisti è basato sull’immagine in quanto manipolabile allo stesso modo di altre pratiche artistiche. Per diffondere il loro credo, nel 1903 Stieglitz, Steichen e il collega fidato Joseph Keiley fondarono una rivista chiamata Camera Work, nata con l’obiettivo di fungere da organo dell’associazione. La rivista pubblica a cadenza quadrimestrale, con un layout denso di fotografie ed opere di coloro che entrano a far parte del gruppo dei secessionisti. Basta sentirsi vicini alle tematiche condivise dai membri, per poter essere inseriti. Al solo prezzo di due dollari, gli abbonati avevano accesso ad un enorme patrimonio artistico che permetteva la totale immersione nelle tendenze fotografiche del Novecento.
 
Inizialmente, accanto al desiderio di accreditarsi come arte, la fotografia su Camera Work si propone come mezzo privilegiato per cogliere in modo istantaneo il mondo moderno in rapida crescita, in una prontezza di visione che nessun altro mezzo possiedeva. Il giornale non si limitava semplicemente ad esporre immagini fotografiche, ma le affiancava con litografie e quadri di Matisse e Rodin.

Il format funzionò fino al periodo di guerra: l’ultima pubblicazione avvenne infatti nel giugno del 1917, a causa di un calo negli abbonamenti e delle ripercussioni della Grande Guerra. Camera Work cessò quindi le pubblicazioni, ma il suo impatto e la sua eredità nella promozione della fotografia come forma d’arte sono durati nel tempo. La rivista è ora considerata un’opera d’arte storica e le sue copie originali sono ricercate dai collezionisti.

La 291, anche detta Phot-Secession Gallery

Parallelamente alla diffusione della rivista, che legittimò la fotografia in quanto arte affermata, occorreva che la pratica artistica si misurasse all’interno della società contemporanea. Steiglitz e l’ormai collaboratore Steichen capirono che il solo spazio cartaceo non era sufficiente per esperire le immagini fotografiche e pittoriche proposte. Così crearono nel 1905 The Little Galleries of the Photo-Secession, una galleria situata al Midtown Manhattan al civico 291 della Fifth Avenue. La posizione scelta non fu casuale, ma piuttosto strategica e progettata su misura per l’audience a cui i secessionisti aspiravano.
 
La 291, numero civico usato per identificare la galleria, seguì sulla falsa riga il progetto di Camera Work. Essa induce alla volontà di legittimazione della fotografia tramite l’inserimento di opere pittoriche, per dimostrare il connubio delle due pratiche che si mescolano. Spazio che segnò una svolta rispetto alle mostre precedenti allestite come quadrerie ottocentesche. Una sola fila di foto, dove al massimo si sovrapponevano due cornici, appese ad una parete dai colori tenui, dando così la stessa importanza a tutte le raffigurazioni.

Con la mostra, sono state introdotte oltreoceano opere dei più famosi artisti contemporanei europei, come i succitati Matisse e Rodin, Cézanne e Duchamp. In questo modo, l’alternanza fra opere pittoriche e fotografie avrebbe incentivato il pubblico alla visita. Un’operazione strategica che viene adottata frequentemente dai direttori di gallerie e musei: si fa leva su artisti, movimenti o pratiche note per fare da traino per la parte meno conosciuta, che non verrebbe altrimenti considerata da un pubblico sempre meno specializzato.

Il pubblico della 291

La galleria nella Fifth Avenue fu vittima della commercializzazione dei musei che all’epoca iniziava ad insinuarsi. Le esposizioni non sono più destinate ad un mero pubblico di nicchia, bensì si ampliano al visitatore che, nel tempo libero, svolge attività culturali. Esposizioni di questo genere servono per far crescere l’interesse del pubblico di massa per le attività del museo. La gente viene stimolata dal desiderio di vedere ciò che viene proposto come una novità, un evento irripetibile, è essenziale dunque che un museo si caratterizzi come istituzione dinamica, continuamente vitalizzata.

I musei d’arte contemporanea non hanno più una connotazione elitaria, sono ormai luoghi di particolare importanza anche all’interno della cultura del tempo libero, non per una vera crescita della cultura artistica ma per un progressivo espandersi della moda dell’arte. Questo cambiamento è basato su motivazioni piuttosto superficiali, che si riversano in un fenomeno socioculturale. Oggi il numero dei frequentatori di mostre internazionali è aumentato rispetto al passato. Non è facile avere un quadro specifico della composizione sociale del pubblico che frequenta mostre e musei data la diversità delle situazioni. L’interesse per l’arte è direttamente proporzionale al livello d’istruzione, ma è anche un aspetto legato alle mode culturali che dai ceti alti si allargano ai ceti medi.
 
Dal 1905, la galleria si rivela funzionale nel ruolo di promotore della fotografia come arte e aumenta allo stesso tempo la notorietà dei secessionisti. Oltre ad essere un centro artistico, la 291 diventò la sede operativa della redazione di Camera Work. Come coincide la sede, combacia anche la fine di entrambe le realtà tanto combattute dai secessionisti. L’ultima mostra è datata 1917. I motivi sono gli stessi che hanno portato alla chiusura di Camera Work: il calo di abbonati dovuti alla ferocia della Grande Guerra.

a cura di
Annachiara Magenta

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