“Una squadra”: i protagonisti della Coppa Davis si raccontano dopo 47 anni
“Una squadra”, il film realizzato con materiale d’archivio, è stato presentato mercoledì 21 giugno allo Spazio Scena insieme al bando per il “Premio Cesare Zavattini”.
I protagonisti della Coppa Davis si raccontano dopo 47 anni, in un incontro tenutosi il 21 giugno allo Spazio Scena (Trastevere, Roma), dove è stato proiettato il documentario diretto da Domenico Procacci, Una squadra.
L’incontro si è concentrato sul Premio Cesare Zavattini, un’iniziativa della Fondazione Archivio audiovisivo del movimento operaio e democratico.
Al premio possono concorrere filmmaker fino all’età di 35 anni, ai quali è richiesta la presentazione di un cortometraggio.
Il quale, però, non è un cortometraggio qualsiasi, ma deve essere realizzato come found footage!
A parlarne è stato il presidente dell’Archivio del movimento operaio e democratico. Il quale ha posto l’accento “su quanto sia importante rendersi consapevoli della propria memoria storica e di quanto sia fondamentale accedere e poter rendere accessibili gli archivi”.
L’evento si è svolto in un’atmosfera intima e giocosa, all’interno della quale a non farne parte ci si sentiva un po’ in difetto. Quest’ultimo aspetto rappresenta – a mio avviso – una particolarità ed anche una pecca dell’evento. Infatti, essendo il premio rivolto ai giovani filmmaker, gli unici e le uniche a mancare in sala erano proprio loro.
Domenico Procacci e Giogiò Franchini parlano del film
La presentazione del Premio Cesare Zavattini non è stata, però, il fulcro centrale dell’evento, rappresentato invece dalla proiezione del film di Domenico Procacci, Una squadra.
Attraverso il riutilizzo del materiale d’archivio, il documentario ha ricostruito la vicenda della finale di coppa Davis nel 1976, quando l’Italia trionfò contro il Cile.
L’allora situazione politica nel Paese non era delle più rosee e, essendosi disputata in questo particolare clima politico, ciò – oltre al fatto che è stata l’unica Coppa Davis vinta dall’Italia – contribuisce a rendere questo evento estremamente importante per il nostro Stato, al di là delle tifoserie sportive.
Domenico Procacci e Giogiò Franchini, autore e montatore del film, sono intervenuti in sala.
L’intervista ai due autori è stata condotta con grande ironia ed ilarità, qualità che non hanno fatto altro che anticipare lo spirito dell’opera.
Le difficoltà e le discordanze
Nel corso dell’intervista il regista ha spiegato il suo approccio al found footage.
Procacci ha risposto alle domande affermando che in Italia si pensava che il footage si fosse bruciato o rovinato, ma fu la Rai invece, dato il clima politico cileno, a non mandare nessun inviato per documentare la finale.
In realtà, in Cile, di footage ce n’era tantissimo!
Quindi tutto ciò che compone il film non è di possesso e di produzione Italiana, ma solamente cilena.
Il regista ha affermato anche che, non essendo stato inviato nessuno per fare il reportage della partita, la finale venne trasmessa in diretta solo via radio. Cosa molto bizzarra ed inusuale per il 1976.
Un’altra difficoltà nel ricostruire quei giorni è stata, inoltre, l’attendibilità dei protagonisti.
Nel film, infatti, non compaiono solo filmati del tempo, ma anche interviste a tutti coloro che portarono a casa la Coppa Davis: Adriano Panatta, Paolo Bertolucci, Corrado Barazzuti, Tonino Zugarelli e Nicola Pietrangeli (capitano non giocatore)
Le loro testimonianze, la loro versione dei fatti – così distanti l’una dall’altra – hanno fatto in modo che si riscontrasse una difficoltà evidente nel trovare la verità oggettiva su ciò che avvenne.
Ammesso che essa esista.
L’inattendibilità
Tornare a raccontarsi dopo 47 anni ha generato, forse, un po’ di confusione.
Procacci, infatti, spiega di quando Paolo Bertolucci si indignò per aver ricevuto, in seguito alla vittoria, l’onorificenza di Cavaliere della Repubblica non dal vivo, ma per posta.
Ricercando materiale, Procacci si era tuttavia imbattuto in articoli di giornale con foto annesse, in cui il Presidente del Consiglio porgeva fisicamente l’onorificenza ai giocatori.
In seguito a ciò, la troupe del film è apparsa decisamente confusa, mentre Bertolucci continuava a ripetere e a ribadire di non averla ricevuta dal vivo e che, qualora fosse stata veramente consegnata, lui non fosse presente.
La squadra di Procacci ha dunque scansionato ed ingrandito la foto, arrivando alla conclusione che Bertolucci fosse lì come tutti gli altri e che, quindi, ricevette l’onorificenza di Cavaliere della Repubblica dalle mani del Presidente del Consiglio.
Questa è una delle tante incongruenze che rende il film vero e comico.
L’importanza del montaggio visibile
Un altro punto centrale dell’intervista è stata l’importanza del montatore Giogiò Franchini (che firma l’opera anche come autore), il quale ha eseguito una vera e propria selezione e ricerca del materiale, ed è per questo motivo che, soprattutto in un progetto found footage come questo, il montaggio diventa veramente autoriale.
Senza di esso, infatti, il film ed i suoi protagonisti perderebbero la loro magia.
Il montaggio di Franchini è qui tutt’altro che invisibile. Rispetta i tempi comici, gioca con i piani d’ascolto e va ad un ritmo che sembra quello, appunto, di una pallina contesa tra due racchette, con i giocatori che rispondono al tiro degli altri, cambiando, però, la rotta della storia.
Ed è proprio il montaggio che fa in modo che i conflitti che si creano tra i personaggi, all’interno del film, ricordino molto di più un lavoro di sceneggiatura di finzione, che un documentario.
La maglietta rossa
Altri conflitti e scalpori si crearono per il colore della maglietta di Panatta e Bertolucci, il giorno della finale.
La maglietta indossata dai due era, infatti, di colore rosso, in un periodo storico estremamente delicato. L’idea fu di Panatta, che convinse Bertolucci.
Ciò che sconvolge, però, è che nessuno, né in Italia né lì, si preoccupò del colore di questa maglietta, che poteva nascondere un messaggio politico.
Panatta afferma di aver voluto mandare un messaggio – che nessuno colse – e di non averlo voluto spiegare. Bertolucci conferma, ma gli altri membri della squadra sono in totale disaccordo e confusione sul perché di quella maglia.
Neanche in Italia il fatto destò scalpore, dal momento che le foto della partita arrivarono in bianco e nero. Solo anni dopo, si sollevò la questione, che, secondo ognuno di loro, ha esito diverso.
Il film
Durante la visione del film, i numerosi momenti comici ed il carattere dei protagonisti hanno fatto in modo che la sala scoppiasse più volte in risate fragorose.
Gli aneddoti sono molteplici e, per il pubblico di Sky, sarà un piacere scoprirli e riderne assieme ai protagonisti.
In generale, il found footage è stato usato sapientemente perché fa entrare lo spettatore nella vicenda solo se e quando questo è necessario. Solo quando la curiosità dello spettatore viene spinta al limite.
Tuttavia, senza i suoi protagonisti ed i loro caratteri, il film non sarebbe risultato così godibile.
Il found footage da solo, infatti, non avrebbe mai potuto ricreare quello che fanno i volti ed i racconti di questi cinque signori.
D’altronde, senza la romanità di Panatta, il savoir-faire di Bertolucci, la compostezza di Zugarelli, la nevroticità di Barazzuti e la schiettezza di Pietrangeli, quella coppa non sarebbe stata la stessa.
a cura di
Emma Diana D’attanasio
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