“L’ultimo uomo bianco”: una distopia per riflettere

“L’ultimo uomo bianco”: una distopia per riflettere
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Ne Le metamorfosi di Kafka, Gregor Samsa si svegliava e si ritrovava con le sembianze di un insetto. La situazione era certo drammatica, ma individuale, non trovava eco nella società e solo il singolo era costretto a trovare una spiegazione all’assurdo. Cosa succederebbe se il cambiamento investisse un’intera popolazione? E in particolare, se la metamorfosi si traducesse in una trasformazione da “bianchi” a “neri”?

Mohsin Hamid ha già scritto testi significativi del confronto tra culture (Il fondamentalista riluttante, Exit West), ma L’ultimo uomo bianco è forse quello che nella semplicità della storia riesce meglio a comunicare il suo profondo significato.

Svegliarsi di un colore diverso

Anders è un uomo bianco che fa il personal trainer nella palestra di una città imprecisata, non particolarmente sensibile o lungimirante. Un giorno si sveglia e si accorge di essere diventato color marrone scuro. La sua reazione non è solo di stupore, ma violenta e rabbiosa, a tal punto da voler “ammazzare l’uomo di colore che gli si parava davanti lì in casa sua, spegnere la vita che animava quell’altro corpo, non lasciare in piedi altri che se stesso, se stesso com’era prima.”

Fonte: Pinterest

Anders si da malato, poiché non saprebbe come giustificare il fatto a lavoro; girando per le strade si accorge di essere osservato – probabilmente una proiezione di come lui stesso era solito guardare le persone di colore.

La prima persona a cui Anders rivela questo cambiamento è Oona, la ragazza che sta frequentando, che insegna yoga e che ha perso da poco il fratello. Oona è stupita, ma accetta presto il cambiamento dell’uomo libera da pregiudizi.

Un cambiamento non isolato

Accade che ben presto quello che sembrava un caso isolato diventa la regola: la gente della città comincia a cambiare colore e come in tutte le circostanze di cambiamento questo porta con sé distruzione e sommosse, guerriglie tra chi è ancora bianco e chi non lo è più, quasi fosse quest’ultimo portatore di una pericolosa epidemia.

Perché quello che più si teme è di perdere la propria supposta supremazia, la convinzione che la bianchezza corrisponda a dignità e potere e che una colorazione diversa della pelle cancelli il possesso di tutto questo.

L’incarnazione di questo punto di vista è la mamma di Oona, che vive rinchiusa e vede il mondo attraverso i social, con tutte le storture e le false convinzioni che essi comportano.

«La gente sta cambiando» disse la madre.
«Quale gente?» chiese lei.
«Tutta» rispose la madre, e aggiunse in tono pregno di significato, «la nostra gente».

Fonte: Pinterest
La realtà si capovolge

Piano piano la gente di colore scuro diventa la maggioranza e la situazione si capovolge, poiché a quel punto sono i bianchi a essere guardati male. Il padre di Anders, gravemente malato, viene seppellito come l’ultimo uomo bianco:

“dopo di lui, non ce ne furono più”.

L’equilibrio non tarda a tornare, perché nonostante ognuno non sia più uguale al sé stesso “di prima”, non esiste nemmeno più un ‘nemico’ contro cui battersi, se non sé stessi. Ed è proprio con sé stessi che, a questo punto, bisogna riconciliarsi. Il rapporto con la nuova pelle è anche un nuovo rapporto con il proprio io e con il proprio vissuto: grazie a queste riflessioni sia Oona e Anders riescono a riconciliarsi con le loro perdite e a costruire un solido rapporto condiviso.

Una riflessione su temi importanti

L’ultimo uomo bianco è una lettura illuminante sul razzismo, e in generale sulle convinzioni dietro le quali ci trinceriamo in nome di ideali falsi e di facciata. Ma anche sull’affrontare il cambiamento, quel tipo di cambiamento che si crede tragico ma che alla fine della ‘tempesta’ ci regala un nuovo e migliore modo di affrontare la vita.

a cura di
Martina Gennari

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