“Vagabond”, tra storia e leggenda

“Vagabond”, tra storia e leggenda
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Vagabond di Takehiko Inoue restituisce in chiave riflessiva un quadro del Giappone feudale e della tormentata figura del samurai

Vagabond è un’opera complessa e di difficile analisi; nasce dal mangaka Takehiko Inoue e vuole essere la trasposizione fumettistica di Musashi di Eiji Yoshikawa. Narra la storia di Musashi Miyamoto e le vicende che lo hanno condotto a diventare uno dei samurai più leggendari del Giappone.

Quella che leggerete di seguito non vuole essere una recensione né un’analisi, bensì una semplice riflessione.

Breve accenno di trama

Siamo in Giappone, XVI secolo. Shimen Takezou è un ragazzo selvaggio e rude, non solo nell’aspetto ma anche nelle azioni. Il villaggio lo teme a causa di questo e ciò si riversa in una paura collettiva che spinge lui e il suo migliore amico, Matahachi Honiden, ad allontanarsi dal nido che chiamano “casa” e dalla vita di provincia.

Arruolatisi nell’esercito Toyotomi, si spingono sul campo di battaglia, nella famosa battaglia di Sekigahara che, come la storia ci insegna, vide il clan Toyotomi sconfitto per mano del clan Tokugawa. I due amici, per loro fortuna e anche audacia, ne escono a malapena vivi.

Dopo una serie di eventi in un villaggio vicino al campo di battaglia, i due ragazzi si separano e Takezou ritorna a casa per informare la famiglia Honiden del figlio sopravvissuto. Ma, purtroppo, ci ritroviamo in un fraintendimento dovuto all’ignoranza e alla cattiva reputazione di Shimen: il protagonista viene accusato dell’omicidio dell’amico e diviene un criminale ricercato.

Il ragazzo viene catturato, appeso ad un albero e lasciato lì a morire ma un monaco, Takuan Soho, decide di liberare il giovane e farlo fuggire di nascosto. A seguito di questo evento il protagonista cambierà nome per evitare di essere riconosciuto dalle autorità: diventa Musashi Miyamoto.

Da questo punto in poi, Musashi inizia il suo viaggio e la sua ascesa da uomo col desiderio di diventare il samurai invincibile a guerriero saggio che trae lezione da ogni evento vissuto e a cui è “sopravvissuto”. L’importanza dell’auto-riflessione, della vita stessa e del valore dell’amicizia lo accompagneranno per il resto di questa storia.

Vagabond
Fonte: www.pinterest.com
Realismo disarmante

Vagabond non è il classico manga che parla di samurai, scontri armati e azione. Non troveremo situazioni inverosimili, combattimenti mozzafiato e ricchi di azione come negli shonen più commerciali, in Vagabond nulla di tutto questo vedrete e leggerete.

Abbiamo a che fare con un’opera storica, e come tale ciò comporta che il realismo sia l’elemento cardine. L’accuratezza da parte dell’autore dell’opera sia nel disegno, sia nella narrazione e nella costruzione ed evoluzione della psicologia dei personaggi è disarmante.

Ci ritroviamo a fare i conti con un realismo imperativo, la trasposizione di un mondo ricostruito per i nostri occhi con l’obiettivo di lasciarci attoniti e spaesati in un primo momento perché sì, inizialmente la sensazione è proprio questa.

Siete ancora rimasti male per i combattimenti mozzafiato inesistenti? Mi dispiace, è vero, ma precisiamo: si combatte, ma lo si fa secondo l’accuratezza storica. All’epoca dei samurai lo scontro tra tali guerrieri durava pochi istanti e come tali vengono enfatizzati, per trasportare il lettore e offrigli una vera esperienza temporale.

Ogni combattimento intrapreso da Miyamoto porta con sé delle conseguenze, proprio come nella vita reale. Ogni cicatrice del corpo assume un valore, un significato intrinseco dal quale trarre una lezione di vita.

Infatti, vita e morte sono concetti estremamente importanti in quest’opera, visti e intesi nel senso proprio del termine. L’attaccamento alla vita e la paura della morte guidano la narrazione e la psicologia dei personaggi, spunto di costanti riflessioni filosofiche.

Vagabond
Fonte: www.pinterest.com
Non si tratta di intrattenimento, ma di cultura

Ad uno primo sguardo, Vagabond potrebbe risultare un tipico racconto di formazione: il protagonista sembra evolvere nel carattere, nella morale e nel fisico. Ma, ponendo uno sguardo più critico e lontano dai costumi occidentali, non si tratta solo di una biografia stilizzata e “infumettata”, bensì di un’accurata ricostruzione di un uomo attorno alla quale prende parte la narrazione della cultura feudale giapponese e dei Samurai.

Sono molti i momenti nell’opera in cui la filosofia buddhista Zen entra in connessione con la Via della Spada facendo scaturire nel protagonista, e non solo, una profonda analisi introspettiva sulla vita e sul significato stesso di essa.

Vita e morte nella cultura giapponese feudale hanno un rapporto subordinato, soprattutto per la figura del Samurai. Tale termine deriva da “servire” ed era questo il compito della casta militare, ma ancor più importante per loro era il rapporto con la morte. Il samurai deve comportarsi come se quest’ultima fosse dietro l’angolo e solo affrontandola può essere compreso il valore della vita.

Musashi nell’opera si ritrova spesso in questo momento filosofico e anche molti suoi nemici. Il suo animo selvaggio, la “bestia” dentro di lui, si anima per lottare contro la morte che ogni momento cerca di sopraffarlo. Ed è in ogni scontro, fatto di sguardi intensi, che si stende un velo tra lo spettro umano di quei tempi e il nostro.

Si precisa, però, che il protagonista non incarna il vero e proprio samurai, bensì la figura del Ronin, ossia del guerriero privato del suo padrone e del suo primario scopo. Da ciò deriva anche il nome dell’opera.

Non un vero protagonista

Il fulcro dell’opera non è Musashi in sé, ma la costruzione che ruota intorno a lui. Il binomio tra materialismo e spiritualità guida ogni arco narrativo e i personaggi sono soltanto uno strumento nelle mani dell’autore per trasmettere questo dualismo.

La morte non è gentile e fugace e la vita non è scontata né regalata. Tutto ciò rende vero e crudo ogni momento della narrazione, come se lo stessimo vivendo in prima persona e slegati dalla nostra realtà, ma con un costante peso sul petto. Ciò viene reso anche grazie alla maniacale cura per i dettagli, in disegni che lasciano esterrefatti e senza fiato per l’accuratezza stilistica.

Non mancano i momenti nei quali il focus passa di personaggio in personaggio e può durare diversi capitoli. Anche l’attenzione per i diversi archi narrativi non è casuale: ogni comparsa è inserita e scontornata dalla sua vicenda per un motivo ben preciso.

Fonte: www.pinterest.com
La parola chiave è evasione

Non si tratta di qualità globale, di grado d’intrattenimento, di accuratezza e stile, ma di quello che comporta ciò che viene letto alla psiche umana. Vagabond è una cura al mondo attuale, fatto di estetica fine a se stessa, di materialismo e di arte sciatta, spesso priva di valore e impomatata di superficialità.

A volte può sembrare soffocante guardarsi intorno e vedere solo un mondo fatto di apparenza, di socialità digitale e vite perfette ma finte. La peculiarità di questa opera è che ci dà la possibilità di evadere dal mondo reale per affacciarsi a qualcosa di completamente opposto.

La possibilità di riflettere sull’immensità della vita e sull’importanza delle piccole cose, con la vicinanza alla natura dell’illustrazione paesaggistica. Comprendere il valore che l’autore vuole dare ai sogni, alla perseveranza e l’intraprendenza nel perseguirli. Soffermare lo sguardo sul potere educativo del fallimento, perché è uno dei maestri di vita di cui abbiamo più bisogno e che più porta alla crescita.

Questi sono solo alcuni dei tanti semi lasciati in un’opera che sembra nata anche per risvegliare gli animi sopiti e un po’ letargici, anestetizzati dalla modernità. A Natale fatevi un regalo con Vagabond di Takehiko Inoue.

A cura di
Lorenzo De Bonis

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