Intervista ai ROS: “A noi la ‘scia del talent’ fa schifo”

Intervista ai ROS: “A noi la ‘scia del talent’ fa schifo”
Condividi su

Ne sono passati di decibel dalla partecipazione a X-Factor. Ora un disco, una capatina a Londra e un sacco di voglia di spaccare il mondo. A tu per tu con i ROS

Reduci da “Allegria Maldistribuita”, il primo vero album che ci è piaciuto tanto, un’esperienza live inglese andata molto bene, i ROS ci raccontano un po’ di cose. Tra passato che non si rinnega, ma con gli amplificatori puntati dritti verso il presente. Il futuro? Chi lo sa…

Bando alle ciance e ciancio alle bande, ordunque: ecco cosa ci hanno raccontato Camilla, Kevin e Lorenzo durante la nostra intervista.

Ciao ragazzi, benvenuti su The Soundcheck! È da poco uscito “Allegria Maldistribuita”, il primo album dei ROS e che rispecchia in pieno la vostra essenza sprigionata sin dalle prime rullate e distorsioni. È una evoluzione e al tempo stesso una conferma dello stile che vi ha sempre contraddistinto. Come è nato? Quale e come è stata la gestazione che ha poi portato ad “Allegria Maldistribuita”?

Ciao a te! “Allegria Maldistribuita” è un disco che ci rappresenta a pieno ed è frutto di anni di palchi ed esperienze insieme. Le canzoni sono nate durante il lockdown, un momento in cui non si saliva più sui palchi, e la sala prove restava l’unica via di evasione. Le canzoni sono nate spontaneamente, come se ci stessero aspettando e avessero bisogno di uscire da sempre.

Molti cercano di sfruttare la scia del talent quasi “per forza”, a costo di rilasciare poi musica non all’altezza delle aspettative. Voi, invece, avete scelto tempi dilatati prima di approdare al disco d’esordio vero e proprio. Una scelta che sta dando già soddisfazioni, leggendo in giro (anche noi, in sede di recensione, abbiamo apprezzato molto “Allegria Maldistribuita”…

A noi la “scia del talent” fa schifo. Lo vediamo come una delle tante occasioni per fare arrivare la nostra musica a più persone possibile, nulla di più. Ci siamo presi il nostro tempo consci del fatto che chi voleva ascoltarci ci avrebbe ascoltati comunque e sì, siamo molto felici di come sia arrivato alle persone.

ROS a Londra
“Normo Super”, “Emozione in maggiore”, “Mal di male”, ma anche “Divenire”… L’album è pieno di pezzi che possono aspirare a essere un nuovo singolo dei ROS per stuzzicare la curiosità e il pentagramma di rocker e di chi, comunque, rivede in voi un certo rock sporco ed energico tipico di quello che un tempo avrei chiamato “underground” (mi vengono in mente certi Afterhours, un po’ di Ritmo Tribale, un po’ di Prozac +…) . Lo so, ogni pezzo è una parte di voi ed è difficile scegliere. Ma quale è il brano a cui siete più affezionati e perché?

Sicuramente il rock underground italiano di cui parli è una delle nostre maggiori influenze. La canzone a cui siamo più legati è forse NormoSuper: la vediamo come il manifesto di questo disco, un urlo di ribellione contro gli schemi che ci vengono imposti continuamente. Rappresenta la voglia di tornare a sognare e di volerlo urlare al mondo intero fino a finire la voce.

Quale è invece, il brano che vi ha fatto dannare di più? La canzone su cui avete dovuto mettere più volte le mani prima di raggiungere un risultato che vi soddisfacesse?

“Divenire”. È la canzone più complessa dell’album: mentre le altre sono nate in maniera molto naturale, Divenire è nata, appunto “in divenire”: arpeggio dopo arpeggio, tra pezzi di carta buttati e ore di arrangiamento, fino a diventare una delle più belle.

Sin dal primo momento mi ha incuriosito la copertina perché semplice ma dannatamente d’impatto. Chi ha avuto l’idea dei palloncini?

Camilla, e la cosa più divertente è che era la meno convinta! Alla fine però eravamo tutti d’accordo, rappresentano tutte le emozioni che attraversa l’album e noi tre, ma senza farci vedere direttamente: volevamo solo farci sentire con la nostra musica. Nel visualizer di Ballata per chi non sa ballare ci siamo noi che li lasciamo volare via e ci siamo quasi emozionati.

I ROS sono attivi dal 2015, poi la partecipazione e il trampolino di X-Factor nel 2017 con conseguenti EP e serie di concerti. Poi una pausa discografica fino al 2021, quando siete tornati con “L’Ultima volta” che è stato, se vogliamo, il rodaggio per il ritorno in pista vero e proprio. Cosa è accaduto in questi anni (pandemia compresa, s’intende)? Quali sono stati i cambiamenti maggiori? 

In questi anni siamo stati travolti da esperienze senza neanche averne avuto effettivamente il controllo, è stato esilarante ma anche un gran casino. Ed è proprio per questo che abbiamo deciso di prenderci del tempo e ripartire da noi. Da qui un disco sincero e senza impalcature e produzioni varie. L’unica cosa che ci manca davvero adesso sono i palchi, ma ancora per poco!

Quali sono i vostri riferimenti? Con quale band o artista, tra “big” ed emergenti, vi piacerebbe intraprendere un sodalizio artistico?

Abbiamo cercato di svincolarci da ogni riferimento nel tempo per fare qualcosa di più nostro possibile, ma sicuramente veniamo dalla scuola del rock indipendente italiano alla Verdena. Nel tempo abbiamo avuto la fortuna di conoscere e lavorare con grandi personalità come Manuel Agnelli e Divi dei Ministri, che ha creduto in questo album quasi quanto noi.

Facciamo un giochino un po’ bastardello (parte musichetta stile “Saw l’enigmista”). Ora vi pongo tre domande a cui dovete rispondere molto sinceramente con spiegazione altrettanto sincera. C’è una band o un artista importante, storico, apprezzato da tantissimi ma non da voi? Perché lo “odiate”?

Ah ci vuoi far fare i cattivi! I primi a venirci in mente sono gli ACDC, perché sono legati a un’idea di rock estremamente stereotipato e tirato ai minimi termini che non sopportiamo. Non possiamo proprio ascoltarli.

Vi propongono di aprire un concerto a un artista. La scelta è tra Al Bano e Orietta Berti. Chi scegliereste?

Ovviamente Orietta, perché è frizzantina! Sicuramente terrebbe botta dopo tutto il trambusto che tiriamo su con i nostri concerti.

Avete un album “guilty pleasure”? Ossia un disco che amate ma che nessuno si aspetterebbe da voi. Esempio pratico: io di nascosto (ma neanche tanto di nascosto), tra un “Senjutsu” degli Iron Maiden e uno “Still Life” degli Opeth, mi butto volentieri su “Di rose e di spine” di Al Bano…

Questa domanda ci costerà caro: “The Best Damn Thing” di Avril Lavigne, perché siamo dei depressi cronici e ci ricorda i momenti di spensieratezza della prima adolescenza, quando le emozioni erano tutte al massimo della potenza e sentivi di poter fare qualsiasi cosa.

Ultima parola a voi: dite (o meglio, scrivete) quello che vi passa per la testa.

Vogliamo chiudere quest’intervista come chiudiamo il disco: con un vaffanculo! A chi critica, alla depressione, agli schemi, alle paure, a chi fa del male, alla guerra.

a cura di
Andrea Mariano

Seguici anche su Instagram!
LEGGI ANCHE – Coez – Gran Teatro Geox, Padova – 15 Aprile 2022
LEGGI ANCHE – “Fear of the Dawn”. Caro Jack White ti scrivo…
Condividi su

Andrea Mariano

Andrea nasce in un non meglio precisato giorno di febbraio, in una non meglio precisata seconda metà degli Anni ’80. È stata l’unica volta che è arrivato con estremo anticipo a un appuntamento. Sin da piccolo ha avuto il pallino per la scrittura e la musica. Pallino che nel corso degli anni è diventato un pallone aerostatico di dimensioni ragguardevoli. Da qualche tempo ha creato e cura (almeno, cerca) Perle ai Porci, un podcast dove parla a vanvera di dischi e artisti da riscoprire. La musica non è tuttavia il suo unico interesse: si definisce nerd voyeur, nel senso che è appassionato di tecnologia e videogiochi, rimane aggiornato su tutto, ma le ultime console che ha avuto sono il Super Nintendo nel 1995 e il GameBoy pocket nel 1996. Ogni tanto si ricorda di essere serio. Ma tranquilli, capita di rado. Note particolari: crede di vivere ancora negli Anni ’90.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *