“Fear of the Dawn”. Caro Jack White ti scrivo…
…così mi distraggo un po’, direbbe Lucio Dalla. Invece qui dobbiamo parlare di come l’aura di misticità attorno a un artista si debba scontrare con la realtà.
Jack White, quello che per molti è “il tizio di Pooo po po po po po”, ovvero l’inno italiano post 2006. Quello che per altri è “Il fratello/marito/non-si-sa” dei The White Stripes.
Jack White anche è quella persona che, in un periodo dove imperversava il file digitale dove al massimo si poteva dibattere tra la qualità mp3 e la speranza del FLAC in alta qualità, decise di investire tutto sul vinile. Casa discografica (Third Man Records) e produzione di nuova musica tutta incentrata sul disco nero. Alla lunga, ha avuto ragione.
Il musicista, pallido come la luna e oggi con capelli da cugino della fata turchina, continua a dare alle stampe dischi interessanti, spesso geniali, altre volte “sperimentali”; guai a dire che un album di Jack White sia brutto. L’autore di “Blunderbuss” e “Lazaretto” non può fare dischi brutti, non ne è capace.
Ne siamo proprio sicuri?
“Fear of the Dawn”, sua ultima fatica, rientra nella definizione di album “finto-sperimentale”. Chi è bravo nell’uso della lingua italiana potrebbe dire che il disco sposa nozioni tradizionali con i capisaldi del White solista e soluzioni particolari e coraggiose.
Noi qui diciamo che “sperimentare” è diverso da “azzardare”, perché di “Into The Twilight” comprendi le intuizioni, ma comprendi anche che il bersaglio non è centrato, con una ridondanza che si protrae inutilmente per 4 minuti e 41 secondi; perché “That Was Then, This Is Now” capisci che è lineare e funziona molto più di altri brani cacofonici che si nascondono dietro l’aura di santità che Jack si è costruito nel corso delle decadi (con cognizione di causa e con merito, sia chiaro).
Consumi “Fear of the Down” nel lettore di Spotify o sul piatto del giradischi non tanto perché sia godibile, ma perché vuoi capire fino in fondo cosa c’è che non va. Perché Saint Jack non può toppare. Non puoi crederlo.
Gesoo vs. Farisei
Bisogna arrendersi all’evidenza: chi vi parla di “Fear of The Dawn” come ennesimo capolavoro mente sapendo di mentire. Non è l’album che rovinerà la reputazione di Jack White, dato che tra title track, “Taking Me Back”, “Morning, Noon and Night” e “Shedding My Velvet” dimostra di saperci ancora fare. Il problema è quel che è nel mezzo.
A conti fatti “Fear of the Dawn” finge di osare, quando in realtà ha tanta confusione ben mascherata. Un po’ come i cassetti dei vostri armadi.
a cura di
Andrea Mariano
Seguici anche su Instagram!