ROS, “Allegria Maldistribuita”. Una gioia in mezzo all’agonia
Torna il trio power-rock portato alla ribalta dall’edizione di X-Factor 2017. Un disco diretto, con pochi fronzoli e godimento, con punte d’orgasmo
In quell’edizione spartiacque del 2017, per il sottoscritto i ROS erano tra le realtà più interessanti di X-Factor. C’erano anche i Maneskin (arriveranno secondi alle spalle del desaparecido Lorenzo), ma quel trio di Montepulciano e il fucsia di Camilla Giannelli bucavano letteralmente lo schermo (un minuto di silenzio per i pixel bruciati del televisore).
Un salto temporale senza l’aiuto di Doctor Strange
Lo scorso anno sono tornati con il singolo “L’ultima volta” (li avevamo anche intervistati a riguardo), salvo poi chiudersi in studio per tirare giù testi, riff e qualche muro. Il risultato è “Allegria Maldistribuita”, un condensato di rock dritto e senza fronzoli. Autoprodotto e distribuito da Ada Music Italy, questo, che ci crediate o no, è il primo vero album dei ROS.
“Allegria Maldistribuita” è tutte le nostre emozioni insieme: rabbia, malinconia, speranza, euforia, paura, disagio, confusione e un pizzico di allegria, maldistribuita. Siamo noi e tutto quello che abbiamo da dire. E lo diciamo con i nostri tre strumenti, senza grandi produzioni o sovrastrutture. Volevamo che suonasse come se fossimo su un palco di un club a volumi altissimi”
ROS
Registrato (quasi) in presa diretta, il sapore è quello del rock alternativo di dieci / quindici anni fa, quando campionamenti ed elettronica non venivano visti come elementi imprescindibili. Lo si capisce sin da subito con “NormoSuper”, “Non M’ama”, “La Ricetta”, “Hardcuore” (i Prozac+ sarebbero fieri di voi).
Un tuffo nel passato dove sguazzare con allegria non ben distribuita
In generale “Allegria Maldistribuita” ha davvero pochi momenti deprecabili. L’anello debole, se proprio dobbiamo individuarne uno, è “Che Bello” (un po’ rinogaetaniana sotto steroidi): non prende come le altre, è un mix che rimane ai blocchi di partenza. Interessante invece la “battuta d’arresto” di “Divenire”, dove l’atmosfera si fa più intima e cupa; una chiara derivazione dell’underground dei primi anni 2000 e riportato in auge con dignità.
Anche il minutaggio denota il suo stilema da rock underground dell’era d’oro. Difficilmente i brani sfondano il muro dei tre minuti. Non è un dettaglio di poco conto, perché non si tratta di rientrare nei canoni radiofonici, ma di essere ben focalizzati sulle proprie capacità. Se la canzone esaurisce il suo senso di esistere dopo due minuti, non c’è bisogno di aggiungere qualcosa per annacquare il proprio operato e arrivare alla media dei 3:30. Esempio è “Ballata per chi non sa ballare”: 2:04, una durata perfetta, che evita di stancare perché la potenza è concentrata tutta lì.
Hic et nunc
Con “Allegria Maldistribuita” i ROS vanno dritti al punto, evitano inutili melodrammi di facciata e sfogano il sentimento e l’emozione del momento: rabbia, gioia aggressiva, malinconia vengono buttati fuori con l’intensità necessaria, né più né meno. È un album che punta sul qui e ora, sul “o dentro o fuori”. Qualità senza fronzoli, senza inutili sovrastrutture. Chitarre abrasive, batteria sconquassante, basso che martella l’aria, voce che con dolcezza ti sbatte contro il muro.
Bentornati ROS. Non lo sapevo, ma mi siete mancati.
a cura di
Andrea Mariano
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