Dal suprematismo bianco all’amore gay: storia dell’hashtag #ProudBoys

Dal suprematismo bianco all’amore gay: storia dell’hashtag #ProudBoys
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Rispondere all’odio con l’amore, questo è quello che sta accadendo da qualche giorno su Twitter e Instagram, con l’hashtag #ProudBoys.

Fino a qualche tempo fa, #ProudBoys veniva utilizzato dall’omonimo gruppo suprematista bianco, mentre dalla scorsa settimana la comunità LGBT+ ne ha fatto una bandiera per mandare messaggi d’amore e orgoglio omosessuale.

Ma facciamo un passo indietro: come è nata questa storia?

Il dibattito Trump-Biden

Il dibattito Trump-Biden del 29 settembre scorso non è servito di certo a capire cosa intendono fare i due candidati alla presidenza sui punti discussi, sanità e ambiente in primis, ma tra gli insulti e il chiasso un messaggio è arrivato forte e chiaro: se non dovesse vincere, Donald Trump è pronto a contestare la validità del voto. E per farlo potrebbe avvalersi del supporto del gruppo suprematista bianco Proud Boys.

Stand back and stand by“, un invito “a stare all’erta” rivolto alle milizie estremiste, in risposta al moderatore Chris Wallace che aveva appena domandato a Trump se avesse intenzione di condannare i suprematisti bianchi in seguito agli scontri con gli antifascisti, degli ultimi mesi.

La risposta è stata ovviamente negativa e Trump ha incolpato quelli che ha definito “antifa and the left”, ovvero gli antifascisti e la sinistra, per gli scontri e la violenza.

In risposta, i Proud Boys hanno accolto il messaggio con grande entusiasmo, preparandosi alla chiamata alle armi del presidente.

George Takei e la campagna #ProudBoys

Non è stato subito chiaro chi abbia dato il via alla campagna #ProudBoys, ma sembra che sia stato l’attore di Star Trek e attivista per i diritti LGBT, George Takei, a proporre l’idea su Twitter, invitando i “ragazzi gay” ad usare l’hashtag #ProudBoys per condividere le foto di se stessi “che si baciano o fanno cose molto gay”.

Così, da qualche giorno a questa parte, Twitter e successivamente anche Instagram, sono stati inondati dalle foto dei #ProudBoys: uomini che si baciano, coppie omosessuali che si stringono la mano, momenti di vita quotidiana con messaggi anti-omofobia, e immagini di soldati gay di ritorno dai propri compagni.

L’iniziativa è diventata virale e migliaia di persone hanno postato le proprie foto sotto l’hashtag.

Questo hashtag deve parlare di amore, non di odio” ha twittato Bobby Berk, conduttore di Queer Eye, mentre le forze armate canadesi hanno condiviso una foto di due uomini che si baciano.

Io e Brad siamo #ProudBoys, sposati legalmente da 12 anni“, ha scritto Takei su Twitter, “e siamo orgogliosi di tutti i gay che hanno deciso di reclamare il nostro orgoglio in questa campagna. La nostra comunità e i suoi alleati hanno risposto all’odio con l’amore, e non c’è niente di meglio“.

Azioni di “guerilla” per il sociale

Questa azione si avvicina all’esperienza del Guerrilla Marketing, traslato però alla comunicazione in ambito sociale. Si tratta di un’azione non convenzionale, combattuta con colpi di mano che hanno l’obiettivo di rileggere i significati già conosciuti e ribaltarne il senso.

Questo è quello che ha fatto la campagna #ProudBoys con successo: rompere lo stato di trance degli utenti e, per un attimo, sconvolgere il loro punto di vista sulle cose.

a cura di
Daniela Fabbri

Immagine di copertina da:
Upslon (via Flickr)

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Daniela Fabbri

Sono nata nella ridente Rèmne, Riviera Romagnola, nel 1985. Copywriter. Leggo e scrivo da sempre. Ho divorato enormi quantità di libri, ma non solo: buona forchetta, amo i racconti brevi, i viaggi lunghi, le cartoline, gli ideali e chi ci crede. Nutro un amore, profondo e viscerale, per la musica, in tutte le sue forme. Sono fermamente convinta che ogni momento della vita debba avere una colonna sonora. Potendo scegliere, vorrei che la mia esistenza fosse vissuta lentamente, come un blues, e invece sono sempre di corsa. Mi piacciono gli animali. Cani, gatti, procioni. Tutti.

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