Bush, The Kingdom. Lineare è meglio

La band di Gavin Rossdale confeziona un album abbastanza robusto, senza particolari sorprese, ma di buon gusto. Un regno onesto, insomma.
Li avevo lasciati nel 2017 con Black And White Rainbows, album scialbo e con poca ispirazione. Ora i Bush tornano con The Kingdom, disco che ha avuto uno sviluppo un po’ turbolento.
Ora lo pubblichiamo, anzi no, anzi è pronto. Ok, andiam… Ah, il Covid-19
I Bush hanno annunciato The Kingdom oltre un anno fa con un titolo differente, The Mind Plays Tricks on You. La data di uscita inizialmente prevista era infatti un non meglio precisato autunno 2019, divenuto poi maggio 2020.
Qualcuno avrà notato che nel frattempo il mondo ha vissuto una pandemia che ha ribaltato il risultato i piani di tutti, dunque è stato necessario un ulteriore rimando dell’uscita al 17 luglio 2020. Bene, ci siamo.
The Kingdom è anche il primo album, dalla reunion del 2011, a non vedere impegnato Robin Goodridge dietro la batteria. A sostituirlo Nik Hughes, musicista dalla carriera ventennale e con uno stile molto diverso, più dritto, meno articolato.
D’accordo, ma ora parlaci di The Kingdom. Com’è?
È un disco ok. Non fa gridare al miracolo, ma è spanne sopra al suo predecessore. The Kingdom raccoglie l’eredità dell’ultima decade, corregge il tiro e irrobustisce la struttura già di per sé consolidata.
I Bush – che oramai sono a tutti gli effetti un solo-project del bell’imbusto Gavin Rossdale – continuano con la cavalcata di brani robusti e roboanti come Bullet Holes (buona copia carbone di Bullet The Blue Sky degli U2 e parte della colonna sonora di John Wick 3 – Parabellum), Send In The Clowns e Flowers on a Grave.
Proseguono imperterriti, anche, nel tentativo di creare l’ennesimo brano strappalacrime con Undoned (bello, ma musicalmente è la fotocopia di almeno tre ballad della band stessa).
D’accordo, ma quindi cosa si salva?
Insomma, tutto nella norma. Fatto bene, prodotto bene, con gran chitarroni e batteria pestata nel giusto modo. Ciò che salva The Kingdom dall’anonimato totale sono quei guizzi stilistici, assolutamente accessori ma che diventano ancore nella memoria audio di chi li ascolta.
Prendiamo Crossroads. Brano assolutamente standard, con un bel ritornello che scivola via, ma il riff principale di chitarra ha un incedere che si pianta tra il neurone Gigio e la sinapsi Catalda (sì, ho dato i nomi ai miei neuroni e alle mie sinapsi).
Ho preso come esempio uno degli episodi più scialbi proprio per farvi capire dove sia la salvezza dei Bush del 2020.
Ok, allora se mi capita su Spotify non lo skippo
Esattamente. The Kingdom è un album che si presta a un piacevole ascolto. Non pretende di stravolgere il mondo, ma è ben suonato, testi ben pensati e solo di rado sfiorano il banale e melenso.
Scordatevi il sound di Machinhead o di Golden State, ma questo lo avrete capito già da qualche tempo. I Bush di Gavin Rossdale sono promossi ed evitano il tasto “fast foward” (per un po’).
a cura di
Andrea Mariano
Un pensiero su “Bush, The Kingdom. Lineare è meglio”