Benedetti: classe 1996, Acquario, fin troppo riflessivo

Benedetti: classe 1996, Acquario, fin troppo riflessivo
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Benedetti, è il progetto esordiente del cantautore varesino Paolo Benedetti: una voce morbida ed empatica che si fonde con lo stile indie folk per regalare paesaggi sonori dalla grande portata emotiva.

Attinge a piene mani dalle sonorità folk statunitensi che unisce a testi dal sapore onirico e sfumature pop.
Rain Man (distribuito da RC Waves / Artist First) è il suo singolo di debutto, un vero e proprio viaggio nell’animo umano che ci siamo fatti raccontare direttamente da lui!

Ciao Paolo! Benedetti è il tuo progetto che ha visto la luce da pochissimo! Ti va di presentarti ai nostri lettori e raccontarti?

Classe 1996, acquario, fin troppo riflessivo.

Mi appassiono alla musica relativamente tardi, nonostante cominci ad assimilare fin da piccolo tutti gli ascolti dei miei genitori, che spaziavano dal cantautorato più tradizionale alla musica elettronica dei primi anni ’80.

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La scoperta della musica folk e del blues mi spingono a fare i primi tentativi di scrittura, ovviamente in assoluto silenzio e senza alcuna pretesa. Solo recentemente, decido di “uscire allo scoperto” accennando qualche mia canzone a pochi amici fidati; il feedback positivo mi spinge a dare più spazio alla mia vena artistica, tanto da iniziare a registrare delle piccole demo acustiche.

L’incontro con il mio produttore, Daniele Cocchi, da vita al progetto Benedetti, al quale si aggiungerà quasi immediatamente il supporto grafico di Andrea Dominici.

Rain Man è il tuo singolo. Cattura l’interesse sin dal primo ascolto e grazie alla tua voce e le sonorità folk molto interessanti. Ci racconti com’è nato?

La canzone è nata da un giro di accordi improvvisato in un caldo pomeriggio di fine estate, il classico memo vocale che quasi sempre poi ti dimentichi di avere. Avevo ripreso da poco a frequentare Milano, città con cui ho sempre avuto un rapporto di amore e odio, in quanto romantica ma fin troppo frenetica per i miei gusti.

Soffocato dal caos metropolitano, cominciavo a riflettere su ciò che mi circondava, su come la gente procedesse per le strade a testa bassa e velocità costante, maledicendo l’ostacolo di turno perché semplicemente più lento e distratto.

Lasciai maturare questo pensiero per settimane fino a quando, con la chitarra in braccio, fui attirato da un titolo particolare sullo scaffale dei dvd di camera mia: Rain Man. Collegai immediatamente le due parole ad una figura pura, ingenua, fuori da qualsiasi tipo di schema; un personaggio avvolto da un’aura misteriosa ma allo stesso tempo ben definita.

Quelle due parole diventarono immediatamente un leitmotiv e diedero sfogo a tutto il resto della canzone. Gran parte del lavoro poi l’ho svolto con Daniele Cocchi; si è innamorato immediatamente del pezzo, mi aiutato a riordinare le idee ed è riuscito a trovare la veste sonora perfetta per il tipo di atmosfera che cercavo.

Siamo partiti da una ballad acustica, totalmente inconsapevoli di come si sarebbe evoluta. Il risultato ci lascia tutt’ora stupiti.

In tutto questo la cosa più bella è che io e Daniele abbiamo passato l’infanzia insieme, per poi perderci di vista per vari motivi; mai avremmo pensato di riunirci così. Ieri giocavamo a pallone, oggi con lo stesso entusiasmo ci troviamo per fare musica.

La dedizione nei dettagli si nota sin dalla copertina del tuo singolo curata da Andrea Dominici. Quanto è importante per te l’utilizzo delle immagini per raccontare le atmosfere evocative della tua musica?

L’immagine per me è sempre stata fondamentale. Ho sempre amato gli artisti con una forte identità a 360 gradi, in cui le sensazioni visive combaciano perfettamente con le sensazioni sonore.

Un’estetica azzeccata può solo valorizzare l’atmosfera di un’opera musicale, dandole maggiore profondità e carattere.

Fortunatamente io ed Andrea siamo sulla sessa lunghezza d’onda.

Dici che Rain Mannasce come un anthem per tutte quelle anime che hanno la necessità di sentirsi libere e diverse, voci fuori dal coro, soffocate da una società in cui anche i pensieri sono omologati. Quanto oggi, secondo te, abbiamo bisogno di uscire dai nostri schemi per sentirci liberi?

La mia riflessione nasce soprattutto dal fatto che, molto spesso, si tende a criticare o peggio ridicolizzare quelle che ho chiamato voci fuori dal coro, senza nemmeno provare a cambiare prospettiva; i pensieri sono omologati proprio in questo, nella mancanza di confronto e di empatia.

Siamo purtroppo abituati ad avere degli standard, delle cose giuste e delle cose sbagliate; quello che spesso dimentichiamo è che gli unici a porci questi limiti mentali siamo noi.

Se provassimo ad immedesimarci di più e a riflettere prima di sparare sentenze, come società, probabilmente avremmo molti problemi in meno.

In questa ricerca di evasione e libertà, dove posizioni il ruolo dei social? Che rapporto hai con essi?

Li utilizzo davvero poco, ma li utilizzo. Riconosco il ruolo fondamentale che oggi ricoprono nel mondo dell’intrattenimento; i contenuti stanno diventando sempre più liquidi ed immediati e la gente diventa sempre più assetata.

Non demonizzo il social come la morte dell’espressione, anzi; può funzionare al contrario come valvola di sfogo (artistica e non) in cui evadere ed esprimere la propria libertà di pensiero.

Nonostante creda fortemente nel fatto che l’artista debba mantenere una sorta di aura mistica e farsi vedere solo il necessario, apprezzo chi riesce a mantenere un profilo attivo ed interessante senza mai superare il limite.

Ascoltando Rain Man, avvertono dei richiami ad artisti come Fleet Foxes, Bon Iver o anche Neil Young. Quali sono le tue influenze musicali più significative?

Neil Young è sicuramente l’artista a cui sono più affezionato; ho sempre amato quel tipo di folk a cavallo tra gli anni ’60 e gli anni ’70, a cui associo immediatamente anche artisti come Joni Mitchell o Nick Drake.

Oltre a quelli già citati direi anche Andy Shauf, Kurt Vile, gli Wilco e i Radiohead.

E ora, prima di salutarci, cosa arriverà dopo Rain Man? Sei già a lavoro su un nuovo brano?

Certamente, ho già altri brani in corso d’opera che non vedo l’ora di farvi sentire!

a cura di
Giulia Perna

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Giulia Perna

6 pensieri su “Benedetti: classe 1996, Acquario, fin troppo riflessivo

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