Micol Martinez il nuovo album: I buoni spropositi

Micol Martinez il  nuovo album: I buoni spropositi
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Il 18 marzo la cantautrice Micol Martinez ha pubblicato un album di inediti che ha chiamato I buoni spropositi. Un progetto nato dallo sguardo rivolto a ciò che circonda Micol: pezzi di vita, fotografie, emozioni contrastanti provate in periodi diversi della sua età.
Chi si presta ad ascoltare le sue canzoni è inevitabile che provi altrettante sensazioni, ci si sente leggeri ma al tempo stesso invita a riflettere.

Sin da bambina aveva le idee chiare su quali fossero le sue passioni: scrivere e far musica. I lati caratteriali come la determinazione e sensibilità, sono stati a suo favore per far sì che tutto questo diventasse il suo lavoro.
Nel 2010 ha pubblicato il suo primo album Copenhagen, a seguire nel 2012 La testa dentro.

Anni nei quali gira l’Italia presentando al pubblico i suoi progetti musicali e ricevendo approvazioni dalle radio e dalla critica musicale. In seguito le collaborazioni si moltiplicano: dai primi opening act per Max Gazzè e Cristina Donà e produzioni con grandi musicisti Cesare Basile, Garbo, Enrico Gabrielli, Rodrigo D’Erasmo e tanti altri…
Micol e Vincenzo Costantino Cinaski, accompagnati dai due musicisti Mell Morcone e Raffaele Kohler, da sette anni organizzano il Cafè Bandini di Milano, teatro e rassegna di musica, dove artisti di ogni genere si esibiscono ed esprimono sul palco la loro sensibilità artistica.

Di me e di te una canzone che mi ha incuriosito molto dell’album della cantautrice, nell’intervista che segue avvertirete la passione che trapela dalle sue risposte parlando di quel che ama svolgere e la ricerca per l’originalità che la contraddistingue da sempre.

A 18 anni hai scritto un libro mai pubblicato, cosa hai tirato fuori in questo romanzo? Pensi ci sarà un giusto momento per pubblicarlo?

Era una storia di fantasia, coinvolgeva due personaggi, due donne, una giovane e una un poco più adulta e completamente pazza. Sullo sfondo la Milano anni 90, MTV, i concerti, i centri sociali. Il tutto era raccontato in modo poetico e ironico a tratti. Somigliava quasi più a una sceneggiatura che a un romanzo, e questa era cosa voluta. Mi piacerebbe pubblicarlo, sì. Ma dovrei comunque rivederlo, e non so quando potrei mettermici. 

Come ti senti ad avere l’appellativo di: artigiana della musica? Qualcuno nella tua famiglia ti è stato da esempio o è innata la tua voglia di vivere accanto all’arte?

Quando mi hanno dato quell’appellativo devo dire era un appellativo azzeccato. Scrivevo i testi con immediatezza e naturalezza tali da comporli in pochi minuti ma la parte musicale invece era più complessa. Dedicavo molto tempo alla ricerca dell’accordo e della ritmica. Scrivere una canzone con quattro accordi che gira in quattro quarti… non se ne parlava proprio! Mi sembrava “la solita solfa”. Cercavo l’accordo, l’accento, l’apertura che mi stupisse. Non seguivo i canoni pop, anzi ci andavo volontariamente contro.

Sono cresciuta in una famiglia dove si ascoltava tantissima musica (quella dei grandi cantautori anni 70), in primis De André (addirittura mia madre mi addormentava cantandomi i suoi pezzi). Mio padre suona la chitarra, quando era giovane stava per fare un disco, prima di scegliere invece di dedicarsi al marketing e all’economia. Quando si ritrovavano con i loro amici, era sempre una buona occasione per prendere la chitarra e suonare tutti insieme. Qualche cantautore noto dell’epoca era amico di mio padre. Qualche volta li sentivo suonare in salotto.  

Da sette anni collabori all’organizzazione del Cafè Bandini di Milano, dove artisti di ogni genere si esibiscono, hai mai riconosciuto un talento? Se sì, lo hai più risentito? 

Al Cafè Bandini passano tendenzialmente artisti già un poco conosciuti, alcuni a livello nazionale e altri popolari nella loro regione. È passato anche qualche giovanissimo, che poi ha fatto il proprio percorso, magari senza arrivare al grande pubblico ma proseguendo con grande capacità e grande qualità. In linea  generale penso che se il talento è straordinario, tendenzialmente verrà riconosciuto. Ma non basta il solo talento: alcune variabili, soggettive e oggettive, devono essere a favore.

Perché hai intitolato l’album Buoni spropositi quella consonante voleva dire altro?

Gli spropositi si contrappongono ai propositi. Se i nostri propositi, in quanto tali, sono “realizzabili”, gli spropositi sono propositi esagerati, che probabilmente non troveranno realizzazione nella realtà. Fanno parte quindi dell’immaginario, non del reale: tipo sposarsi il 32 dicembre o tipo smettere di fumare quando sai perfettamente che non vorrai farlo e che forse non riuscirai.  

Di me e di te è una canzone solare e mi ricorda l’estate. Con il concetto: essere complessi è cosa positiva, essere complicati costa fatica per sé stessi e per l’altro! Per te qual è la differenza tra complessi e complicati?

A me costa fatica essere semplice perché – purtroppo / per fortuna – sono assolutamente, terrificantemente complessa. Le forme complesse sono quelle più interessanti ma sono quelle generalmente incomprese, o comprese solo da altre forme complesse. 

Se siamo persone complesse, non possiamo chiedere al mondo di cambiare e capirci, visto che non ha gli strumenti per farlo, ma siamo noi a dover adattare il nostro linguaggio se vogliamo che il nostro messaggio arrivi. Ma se questo vuol dire perdere la nostra brillantezza… allora no, preferisco essere capita da pochi, ma buoni, e complessi quanto me. 

Essere complicati invece è altro ancora: vuol dire essere inviluppati, imbrogliati, non ha alcuna accezione positiva. Complicato sta a complesso come banale sta a semplice. La condizione migliore a mio avviso è la complessità resa semplice. La complicatezza e la banalità le lascio agli altri.
Di me e di te è un pezzo dolce, semplice. Mi piace che ti riporti all’estate.

32 dicembre altro testo che mi ha incuriosito, un luogo e tempo mentale che hai voluto inventare come rifugio, spesso da cosa scappiamo? E dove ti immagini invece libera e spensierata? 

Di base si scappa dalla propria – vera – natura che è difficile da riconoscere e che si oppone al proprio  ideale. Poi certo si fugge anche dalle proprie responsabilità. La libertà è ambita, ma quando ci si trova l’uomo si spaventa.
Purtroppo io mi immagino libera e spensierata soltanto per attimi, come gli attimi di felicità. 
Non lo sono per natura, né libera né spensierata. Ma in fondo credo che sentirsi liberi e spensierati sia cosa da stupidi oppure da eremiti o da santoni. Io non tocco nessuno di questi estremi. 

Stai concludendo la stesura di un romanzo al quale seguirà uno spettacolo teatrale. Tratterai temi come:  arte, psicologia, famiglia, maschilismo, femminilità… Che rapporto hai con queste figure? Ci vuoi raccontare qualcosa prima di salutarci?

L’arte l’apprezzo in tutti i suoi generi, la psicologia… mi occupo di traduzioni di psicoanalisi e di comunicazione per uno dei principali studi di psicoanalisi a Milano, la famiglia… beh, è lì che ci formiamo, è il primo mondo che incontriamo e che poi proietteremo per tanti anni sul mondo reale, il maschilismo fa parte della nostra società, nelle donne e negli uomini, inclusi quelli che dichiarano “Io maschilista? Mai!”, e la femminilità? Ci stiamo dimenticando cos’è. 
Spero di riuscire a fare presto lo spettacolo. In caso non si riesca prima di un anno, magari lo farò on line. Ma mi piacerebbe stare ancora sul palco… 

a cura di
Silvia Consiglio

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