Naomi Berrill: il suono etereo di una natura in trasformazione

Naomi Berrill: il suono etereo di una natura in trasformazione
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Ci sono artisti che basano il loro stile su schemi più comodi e altri che hanno uno spettro culturale più ampio diversificando la loro proposta. Quest’ultimo è il caso sicuramente di Naomi Berrill. Difficile collocarla in un genere perché Naomi ha un’estrema versatilità di genere che le permette di collaborare con musicisti classici, jazz, di impostazione barocca o folk. Inoltre suona principalmente il violoncello ma è anche poli-strumentista e le sue composizioni possono essere piccole suite jazz, brani cantautoriali o esecuzioni con impostazione classica.

Non solo, la musicista irlandese che vive da molti anni a Firenze e ha due bambini, ha suonato nei prestigiosi festival di Spoleto, Macerata e Oriente Occidente di Rovereto ed è molto attiva nella direzione del Festival della Alpi Apuane High Notes e della rassegna Jazz di una notte di mezza estate durante l’Estate Fiorentina.

Naomi Berrill ha pubblicato il suo terzo disco intitolato Suite Dreams per Warner Music in collaborazione con Casa Musicale Sonzogno. Come un’opera classica, il disco si presenta in tre suite dove recupera elementi appartenenti alla cultura irlandese (danza, poesia, illustrazioni e musica) fino ad ampliarlo in un contesto più ampio.

Recupera strumenti come la concertina, piccola fisarmonica usata nella musica folk Un disco in cui nulla rimane fermo perché sembra di assistere allo snaturarsi di un’identità che si trasforma in una nuova miscelando gli elementi. Abbiamo voluto così intervistarla per sentire dalla sua viva voce la realizzazione di questo lavoro e della sua instancabile attività.

Sei polistrumentista e le tue composizioni, oltre alla partecipazione a prestigiose manifestazioni, denotano una versatilità di genere non comune. Come riesci a dedicare e conciliare tempo ed energie per tutte le tue attività?

Sono anche mamma di due bambini…ma per quanto riguarda la musica c’è sempre spazio! Non concepisco le differenze di genere, per me la musica è un unico mondo. Mi aiuta il fatto che sono cresciuta in un ambiente in cui si suonava musica classica a casa, il folk nei pub e il jazz con i miei fratelli. Suono molti strumenti grazie al contesto in cui sono cresciuta, a scuola si impara a suonare il violino come lo si fa con la matematica e ci sono sempre occasioni per suonare quindi è molto facile incuriosirsi verso nuovi strumenti.

Nella prima suite sembra di essere immersi nella natura, nel suo respiro mentre la Dance Suite dà la sensazione del movimento e la terza suite si rivela una sorta di viaggio in altre culture attraverso canzoni tradizionali. A questo proposito vorrei chiederti l’origine del brano O babbo mio che canti in un perfetto italiano.

O’ Babbo mio è una canzone tradizionale toscana, ho fatto lunghe ricerche sulle ninne nanne e canzoni per bambini da vari paesi del mondo, questo brano in origine si chiama O’ Violina e mi piace la storia di questa bambina che fa mille domande al suo papà e lui gli risponde con grande dolcezza e poi alla fine il bambino ha coraggio per andare a scoprire il mondo da sola. Mi piace cantare in italiano, è una lingua molto armoniosa.

Col tuo lavoro “Suite dreams” hai proposto elementi fondamentali della cultura irlandese come le citazioni dello scrittore Percy Bysshe Shelley ( Oak and Sister Spring) o dell’illustratrice Cicely Mary Barker (Spring Goes) ma hai anche aperture al jazz e alla classica, una dimostrazione che si può valorizzare la propria cultura rimanendo aperti al dialogo verso le altre realtà. Come possiamo, ognuno nelle sue realtà, adottare questa scelta di vita in un mondo sempre più votato al più bieco nazionalismo e populismo?

Irlandesi e Italiani a Staten Island hanno costruito un pezzo degli Stati Uniti, Sant’Agostino era algerino e Bach faceva (magistralmente) sue danze provenienti dai posti più strani, dalla Sarabanda (di origine persiana) alle Gigue che erano brani tipici del folklore irlandese. Machli Jal uno dei brani dell’album mi è stato insegnato da una bambina indiana che è a scuola con mio figlio; vedere la luce nei suoi occhi mentre tutti la cantavano mi ha dato l’energia di continuare a scrivere un album che metaforicamente rappresenta questa diversità che nonostante i futili discorsi politici è una presenza fissa nelle nostre società e le arricchisce.

Ci sono artisti che, nella loro carriera, hanno avuto un’apertura verso altre culture musicali, mi viene in mente David Byrne. Quali sono i tuoi riferimenti musicali o culturali a riguardo?

I miei riferimenti musicali vengono da diversi mondi ma hanno in comune lo stesso approccio alla melodia e l’armonia. Questi elementi base della musica riescono a catturarci e dare emozione alla nostra anima, e in genere tendo ad apprezzare molto quelli che sono in grado di infondere pace, quiete, tranquillità e accompagnarci in un momento difficile della nostra vita. Ecco un assaggio del mio playlist:  Purcell, Miles David, i Beatles, Brad Mehldau, J.S. Bach, Martin Hayes, Elis Regina, Paul Brady, Stravinsky, Shumann, Sting,  Simon and Garfunkel,  Barbara Strozzi,  John Dowland, Nina Simone.

Sembra una lista folle che viaggia sulla linea del tempo senza senso ma in realtà c’è un comune denominatore che è la volontà di scoprire altre stili e di uscire da un percorso tracciato. Nina Simone voleva essere una pianista di musica classica e Miles Davis, alla Juillard ha studiato le tecniche compositive di Stravinsky. Barbara Strozzi nella Venezia prebarocca è riuscita a imporsi come una delle prime donne compositrici, i Beatles hanno preso ispirazione anche dalla musica contemporanea di John Cage o da quella indiana. Sting ha pubblicato un album con brani dall’epoca barocca. Devo dire che in questo momento ho apprezzato più che mai la musica del silenzio delle mattine e il canto dei uccelli.

La pandemia da Covid 19 ha coinvolto tutto il mondo e tutte le classi sociali dimostrando la nostra fragilità. Come stai vivendo questa esperienza e come pensi l’arte, che vive perlopiù di spettatori che esprimono emozioni sul momento, ne possa uscire. 

Ne usciremo grazie al nostro istinto di animali sociali. La chimica tra chi esegue e chi ascolta è un’energia di cui abbiamo bisogno e di cui la società non può fare a meno. E’ vero, l’essere umano è fragile e se fosse passato qualche mese in più, forse il regno delle piante ci avrebbe soppiantato. Sono positiva rispetto alla necessità degli artisti di sapersi prendere la scena, gli spazi non mancano e il pubblico neanche. Cambieranno molte situazioni a cui ci siamo ‘abituati’ ma altre rimarranno tali.

a cura di
Beppe Ardito

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Beppe Ardito

Da sempre la musica è stata la mia "way of life". Cantata, suonata, scritta, elemento vitale per ridare lustro a una vita mediocre. Non solo. Anche il cinema accompagna la mia vita da quando, già da bambino, mi avventuravo nelle sale cinematografiche. Cerco di scrivere, con passione e trasporto, spinto dall'eternità illusione che un mondo di bellezza è possibile.

2 pensieri su “Naomi Berrill: il suono etereo di una natura in trasformazione

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