“La terrazza proibita”: ai confini della libertà femminile in Marocco

“La terrazza proibita”: ai confini della libertà femminile in Marocco
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“Anche io potevo far svanire le frontiere – questo era il messaggio che recepivo, seduta sul cuscino, lassù in terrazza (…) A Fez, nelle notti d’estate, le remote galassie si univano al nostro teatro, e la speranza non aveva confini.”

Prima di iniziare il mio viaggio in Marocco ho cercato qualche opera letteraria con cui esplorare un po’ di storia del Paese, stupita dal fatto che in traduzione italiana ci fossero pochissimi titoli marocchini. Di fatto, la produzione letteraria del Marocco ha iniziato a fuoriuscire dal paese solo dagli anni ‘90, e ha ricevuto una spinta decisiva dalla Caravane civique, un movimento culturale poi riproposto anche in Italia grazie all’impulso e all’attività di Fatema Mernissi

Mernissi è stata una studiosa e sociologa marocchina impegnatasi a lungo nella promozione delle relazioni fra i paesi del mediterraneo ma soprattutto attiva sul fronte del femminismo, in un paese dove la cultura musulmana soffocava qualsiasi autonomia della donna rispetto all’uomo. Allo stesso tempo Mernissi si è battuta per dare rilievo a quei movimenti per la pace che si opponevano al terrorismo islamico, dando sempre un’immagine obiettiva e a 360 gradi della sua cultura e del suo paese.

L’harem: i confini delle donne

La terrazza proibita, suo romanzo del 1996, è un po’ la sintesi di tutto questo. Romanzo, memoir e saggio, il racconto dell’infanzia di Fatema condensa storie e Storia del Marocco. Fatema nasce nel 1940, quando il paese era ancora occupato dai francesi, e cresce in un harem di Fez.

L’harem di cui parla non ha niente a cui vedere con quello imperiale, in cui un sultano è circondato da numerose donne (la poligamia in quegli anni è ancora legge, ma non regola). In arabo la parola indica anche la casa in cui si raccoglie una famiglia, l’insieme delle donne e dei bambini: un harem domestico. Uno spazio protetto e raccolto, quindi, ma uno spazio felice? Per quanto Fatema cresca in questo bel palazzo insieme a mamma, nonna, zia e cugine, lo spazio riservato alle donne è comunque chiuso e confinato. Le donne non possono uscire e vivono separate dagli uomini perché “se fossero uniti, la società non andrebbe avanti: gli uomini penserebbero solo a divertirsi e non lavorerebbero”.

Il sogno della libertà

Fatema cresce dunque con l’idea ben marcata degli hubud, i confini da non superare. Ma l’Occidente è vicino, i francesi hanno il loro avamposto solo qualche metro più in là e sono un popolo espressione di uguaglianza, libertà e fraternità. E le donne della famiglia stanno già cambiando lo sguardo verso l’ingiustizia della sottomissione agli uomini. 

In particolare la zia Habiba, visionaria e anticonformista rispetto alla cultura islamica. Habiba è il personaggio che fa viaggiare le donne dell’harem con le sue storie, è colei che da a Fatema la speranza di una vita in cui può essere padrona delle proprie scelte.  

Queste storie vengono raccontate in un posto dell’harem molto particolare, una terrazza proibita ma agli uomini. Qui si è libere, si può sognare e sperare, si può essere se stesse. Non mancano le discussioni: per quanto la componente femminista sia molto forte nella famiglia di Fatema, vi sono anche diverse donne legate ancora alla tradizione, come Lalla Mani, la nonna paterna, e questo porta a discussioni anche molto accese tra le parti della famiglia. Ma anche il confronto è un modo per essere libere.


Il sogno di una bambina diventato realtà

Questo ambiente, pensato come limite, sarà per Fatema terreno fertile in cui crescere e diventare una delle più fervide intellettuali marocchine del XX secolo. La terrazza proibita è un primo approccio lirico alla complessa cultura marocchina e islamica. Un modo per capire le dinamiche di un mondo maschilista e arcaico che sta lentamente tramontando, ma che ha ancora tanto bisogno di donne forti e pronte a mettere in discussione il mondo. Ma è anche una storia piena di tenerezza, di rapporti genuini attraverso gli occhi di una bambina che è stata poi una grande donna. Un libro che ha quasi trent’anni, ma ancora tanto da dire – anche fuori dai paesi islamici. 

a cura di
Martina Gennari

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Martina Gennari

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