“One Life”, l’indignazione di un uomo “comune”

“One Life”, l’indignazione di un uomo “comune”
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“One Life”, nelle sale a partire da oggi, giovedì 21 dicembre, è il film con cui James Hawes (regista televisivo di “Penny Dreadful”, “L’Alienista”, “Snowpiercer”, “Black Mirror”) esordisce sul grande schermo, accompagnato dal Premio Oscar Anthony Hopkins. 

Alzi la mano chi, almeno una volta nella vita, ha provato un forte sentimento di indignazione.

“Indignazione: risentimento vivo soprattutto per cosa che offende il […] senso di umanità, di giustizia e la coscienza morale.”

Vocabolario Treccani

Perché, di fronte alle ingiustizie, provare questo stato d’animo è cosa comune. Ma quanti possono affermare di essersi rimboccati le maniche per agire ed arrivare fino al fondo di quell’indignazione?

Sicuramente Sir Nicholas George Winton, che nel 2003 ricevette il titolo di Cavaliere dalla Regina Elisabetta II in persona per i suoi servizi resi all’umanità, ovvero per aver salvato 669 bambini dalle grinfie di Hitler.
One Life è la sua storia, finalmente sotto gli occhi di tutti.

A prestargli la voce ed il volto è un sempre impeccabile Anthony Hopkins, che fa della sottrazione la cifra recitativa del suo personaggio, centellinando ogni espressione e caricando anche il più piccolo movimento di un’emozione palpabile.

One life, Anthony Hopkins, 2023

One Life è un film commovente, dall’inizio alla fine.

Mai straziante, però, grazie al ritmo equilibrato della narrazione e del montaggio, che salta spesso tra un ordinario presente ed un funesto passato.
Seduti sulle poltrone del cinema e circondati da altre persone, per decoro e pudore si cerca di trattenere le lacrime, nonostante risulti impossibile.

Provare per credere.

La storia di un uomo comune

Nicholas Winton è un uomo comune: un anziano signore con una bella casa, una moglie amorevole, un nipotino in arrivo.

Accumula cose – documenti, scatole, aggeggi inspiegabili -, come si ritrovano a fare molti suoi coetanei. Battibecca divertito con la moglie sul disordine del suo studio, come qualunque coppia sposata da tanti anni. Gli basta poco per sorridere: un giorno trova un bottone tra le monete che colleziona e, quando riesce ad utilizzarlo per pagare il parcheggio, sogghigna, felice di sapere che la ruota giri.

Quando la moglie parte per un breve viaggio con le amiche, Nicki (il nomignolo con cui sono soliti chiamarlo tutti), approfitta del momento per ripulire la casa dalle cianfrusaglie e farle una gradita sorpresa. Butta tutto ciò che va buttato, svuota la piscina per ripulirla dalle foglie, brucia le carte in giardino.

Elimina tutto, tranne una valigetta chiusa in un cassetto da anni, a cui i suoi familiari fanno sempre accenno dicendo: “Quando ti deciderai a far qualcosa con quella?”.

Così Nicholas sceglie di non lasciar cadere nell’oblio una storia che va raccontata, infila la valigetta in macchina e parte, con la stessa determinazione con cui, nel 1939, fece quello che per tutti sarebbe stato impossibile.

“Se una cosa non è impossibile, allora c’è un modo per realizzarla”

È il 1939 e dopo l’invasione dell’Austria, Hitler punta alla Cecoslovacchia.

Approfittando delle richieste di indipendenza da parte del leader dei Sudeti (regione di confine con un alta concentrazione di popolazione tedesca), il Führer ne richiede l’annessione al Terzo Reich a Francia ed Inghilterra che, pur di non entrare in guerra, accettano. Inutile dire che è solo l’inizio.

Nel frattempo, in Inghilterra, Nicholas Winton è un banchiere di 30 anni, impegnato nel sociale e preoccupato per l’antisemitismo dilagante in quegli anni.

Insomma, uno straordinario uomo comune. Che, quando riceve un invito da parte del Comitato per i rifugiati inglese, non ci pensa due volte a preparare le valige e a partire per Praga.

Nicholas Winton nel 1939, One Life

Ma gli basta visitare uno degli edifici abbandonati, in cui dormono migliaia di cecoslovacchi in fuga dai Sudeti – centinaia di bambini, grandi e piccolissimi, poveri e ricchi; tutti affamati, sporchi, infreddoliti ed a rischio imminente di deportazione -, per trasformare la sua indignazione in azione.

Tornato a casa, si rivolge all’unica persona che sa che non esiterebbe un istante a rimboccarsi le maniche come lui di fronte ad un’enorme ingiustizia. La persona che lo ha educato ai valori del rispetto e dell’altruismo e gli ha insegnato a non lasciare che questi si rivelino solo parole: la madre, Babette Winton (Helena Boham Carter).

Così inizia l’operazione impossibile, complicata e rischiosa, conosciuta in seguito come Kindertrasport. Tra burocrazia, diffidenza umana, mancanza di tempo e complicazioni logistiche, Nicholas e la signora Winton sfoggiano incredibili doti diplomatiche e convincono innumerevoli persone a credere, lottare e a mettere in atto il piano che salvò la vita ai 669 bambini cecoslovacchi destinati ai campi di concentramento.

Il libro

Le foto dei bambini sono indicate con una X nel librone contenuto nella valigetta di Nicholas, con cui l’uomo si sposta di persona in persona, in cerca di qualcuno a cui raccontare la sua storia ed il suo profondo rammarico per tutte le foto mai segnate.
Per tutti i bambini che non è riuscito a salvare.

Nicholas non cerca gloria, né onorificenze. Gli basterebbe avere la certezza che il suo libro non finirà impolverato in un museo, ma che potrà insegnare qualcosa a qualcuno.

Così, invitato tra il pubblico di un programma televisivo di successo, nel 1988 incontra una delle bambine salvate. In seguito avrà modo di conoscerli tutti quanti, desiderosi di ringraziare colui che, mosso dall’indignazione, ha regalato loro una vita.

Il trailer del film di James Hawes con Anthony Hopkins, Helena Bonham Carter, Jonathan Pryce e Johnny Flynn.
Un film per tutti

One Life è un film per tutti: sia per chi, di fronte al male del mondo, perde spesso la speranza, dubitando che l’uomo sia effettivamente capace di azioni caritatevoli ed altruistiche; ma è anche rivolto a tutti coloro (e mi annovero in questa categoria di persone) che cercano storie in grado di suscitare emozioni, generare catarsi e permettere al cervello di liberarsi della tristezza per tornare alla vita reale con più serenità.

Così, l’umile autrice di questo articolo si alza dalla sala singhiozzando e corre a consigliare a tutti quelli che conosce la visione di questo film.
Compresi voi.

a cura di
Ilaria Scioni

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