Joe T Vannelli: remixare la vita dei giovani talenti

Joe T Vannelli: remixare la vita dei giovani talenti
Condividi su

Abbiamo intervistato uno dei padri della house music italiana, che dopo anni di successi ha deciso di creare nella periferia di Milano uno spazio per valorizzare i giovani musicisti emergenti.

DJ, producer e mentore di giovani artisti. Joe T Vannelli è tutto questo. Un artista capace di assumere tante, tantissime identità nel corso della sua lunghissima carriera iniziata quasi 40 anni fa.

Quattro decadi passate a infiammare le consolle dei più importanti club del mondo, dal Pacha e l’Amnesia di Ibiza al Marquee di New York, ma anche a scoprire nuovi talenti. Suo il merito di aver preso sotto la sua ala e portato alla ribalta nientepopodimeno che Robert Miles, producendo il suo singolo più famoso “Children“.

Il suo sound, sempre in linea con le tendenze del momento, lo ha portato a diventare un punto di riferimento nel mondo del clubbing, grazie anche alle tante collaborazioni con giganti della musica elettronica e non solo come Giorgio Moroder, Timbaland & Missy Elliott e David Guetta.

Dopo una valanga di premi e riconoscimenti internazionali e oltre venti dischi d’oro e di platino come produttore, Joe T Vannelli ha deciso di coronare la propria carriera con un progetto che punta sulla crescita e valorizzazione dei giovani talenti emergenti.

Una “fattoria” di nuovi talenti

È proprio questo lo scopo del Sound Faktory, l’hub creato nel 2019 da Joe nel quartiere Forlanini di Milano. Uno spazio di oltre 700 m², che consente agli artisti di realizzare tutte le fasi di un progetto musicale, dall’ideazione di un brano al live, passando per vari processi produttivi e di registrazione.

In soli quattro anni di vita, il Faktory ha visto passare tra le proprie stanze, uffici e sale d’incisione artisti del calibro di Ornella Vanoni, Clementino, Ensi, Boss Doms, Mace, Samuel e Boosta dei Subsonica, Alexia, Ivana Spagna e Saturnino.

joe-t-vannelli-sound-faktory-milano
Il Sound Faktory di Joe T Vannelli

Ispirato dalla celebre The Factory newyorkese di Andy Warhol, Joe T Vannelli ha voluto costruire nella periferia est di Milano un punto di ritrovo per artisti affermati ed emergenti, capace di farli stare a proprio agio in un luogo che sia fonte di ispirazione, scambio di idee e collaborazione.

Al suo interno vengono infatti organizzati da qualche anno corsi dedicati ad aspiranti DJ e producer di tutte le età, dagli 8 anni in su. Una serie di lezioni, tutte supervisionate dallo stesso Joe, durante le quali vengono insegnate le tecniche di mixaggio sia analogico che digitale (rigorosamente con vinile) ma anche le tante funzionalità di programmi come Abletone e Logic, pensate per chi vuole imparare o perfezionare le proprie conoscenze sulla produzione musicale.

Un’esperienza a 360° che abbiamo avuto il piacere di esplorare a fondo proprio con Joe T Vannelli, che oltre alla storia e le tante attività svolte all’interno del suo Faktory ci ha raccontato alcuni retroscena della sua lunga e bellissima carriera.

Ciao Joe. È un vero piacere averti qui a The Soundcheck. Dopo tanti anni di carriera hai deciso di affiancare alla tua attività da DJ e producer anche quella di insegnate, con tanti, tantissimi corsi e mastercalss. Quando è nato questo bisogno di condividere la tua esperienza con le nuove generazioni di artisti?

Sound Faktory Academy nasce per insegnare a persone di tutte le età, appassionate di musica e di DJing, ad approcciare questo mondo prima di tutto con passione e con il rispetto che questo mestiere merita.

Partiamo dalle basi del mixaggio, dalle basi armoniche musicali, facendogli sperimentare e approfondire la tecnica di mixaggio, che è fondamentale, il corso è prettamente pratico, chi si iscrive vuole toccare il mixer, provare da subito l’ebrezza di mettere a tempo due dischi e mixarli.

sound-faktory-milano-interni
I (coloratissimi) ambienti interni del Sound Faktory

Nelle giornate di corsi vivono un’esperienza completa, fatta di tecnica, ma soprattutto di connessioni, rapporti, esperienze comuni.

Quando ti è venuta in mente l’idea di creare uno spazio come Sound Faktory?

Alla nascita del mio terzo figlio, nel 2015, ho rivoluzionato la mia vita e ho deciso di creare qualcosa che in quel momento, a Milano, non esisteva: una vera factory musicale per DJ e produttori. Non solo studi di registrazione, ma spazi in cui seguire un percorso musicale e creativo completo, compresa l’esibizione live.

In che modo questo luogo assomiglia alla leggendaria Factory di Andy Warhol?

Ho voluto ispirarmi alla loro creatività. Nella mia Faktory si fa musica, certo, ma le arti sono sempre unite e hanno bisogno le une delle altre per creare qualcosa di nuovo e generare bellezza in maniera inedita.

Hai passato gran parte della tua vita a suonare nei club e festival musicali più grandi del mondo. Esiste tra questi un posto nel quale torni in consolle più volentieri?

Ibiza è sempre un luogo di grande ispirazione a livello musicale e di business per il nostro mondo. A Ibiza si creano le tendenze e si capisce in che direzione il mondo dei Dj e dei club sta andando. C’è sempre un’energia molto positiva e nonostante la frequenti come DJ da oltre 30 anni, ogni volta sa stupirmi.

Tra le tante tante esperienze che hai vissuto nel corso degli anni, ce n’è una alla quale sei particolarmente legato?

La più grande emozione l’ho provata quando ho stampato in vinile il mio primo disco “Don’t Deal With Us”, era la mia prima produzione nel 1989 e vederla prendere forma su acetato è stato incredibile.

L’anno successivo, questo brano house con una “pianata” tipica di quel periodo musicale che diventò poi iconica del genere “Italo House”, venne presa dalla Warner Inglese ed entrò così in classifica UK. Era un sogno che diventava realtà.

Da quel momento mi affermai come produttore internazionale. A distanza di 33 anni ho ripubblicato questo brano, con un nuovo remix che è uscito su Spotify pochi giorni fa.

Quali sono i requisiti che un brano deve avere per convincerti a farne un remix?

Mi deve emozionare, deve avere delle caratteristiche di unicità, far trasparire la passione di chi lo ha realizzato.

Credi che la musica elettronica, a fronte di una realtà sempre più satura di incertezze, comunità digitali e voglia di libertà, sia un genere divenuto figlio del suo tempo?

La musica elettronica ha caratterizzato con diverse sfumature molti decenni, dai primi esperimenti degli anni ’70, ai sintetizzatori degli anni ’80, poi gli anni ’90, che l’hanno consacrata come genere mondiale, con nomi altisonanti nella storia della musica contemporanea, dai Daft Punk ai Fathless, ai Prodigy ai Chemical Brothers solo per citarne alcuni. 

Gli anni 2000 hanno visto come la figura del DJ possa diventare un personaggio da stadio, da festival e oggi l’elettronica compare nella maggior parte delle produzioni pop, rap, addirittura nel rock.

A fronte della recente crisi estiva delle discoteche (-30% di ingressi rispetto al 2022), quale potrebbe essere il modo ideale per far riavvicinare le nuove generazione alla cultura del clubbing “old school” nel nostro Paese?

Educare i giovani, fargli ascoltare brani di qualche decennio fa e notare come già amino quelle sonorità, il grande ritorno della musica anni ’90 e adesso quella dei 2000 sta già dimostrando che questo genere piace ai Millenials come ai Boomers. Il ritmo e il ballo appartengono a tutte le generazioni.

joe-t-vannelli-club
Joe T Vannelli nel suo ambiente naturale: dietro la consolle di un locale

La crisi dei club non è dovuta ai generi musicali, ma ad un cambiamento nell’esperienza live: una volta esistevano solo i locali per ascoltare musica da ballo, oggi esistono in primis i festival mondiali, facilmente fruibili quasi da chiunque, in una stessa notte puoi vedere tanti DJ esibirsi e stare in mezzo a migliaia di persone.

Una volta frequentare i club era uno status, esisteva una Club Culture, fatta di musicale, animazione, abiti, movenze, conoscenze. Si andava per ballare, rimorchiare, sentirsi liberi, agghindarsi e lasciarsi andare.

a cura di
Luca Barenghi

LEGGI ANCHEMilano Music Week 2023: quattro chiacchiere con Nur Al Habash
LEGGI ANCHE“Dream Box”, l’onirico viaggio di Pat Metheny
Condividi su

Luca Barenghi

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *