“Dream Box”, l’onirico viaggio di Pat Metheny

“Dream Box”, l’onirico viaggio di Pat Metheny
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Il nuovo album del leggendario chitarrista jazz ruota attorno a nove brani sognanti e spontanei, tutti quanti “ripescati” da una cartella rimasta dimenticata per anni nel suo PC.

Perché è nato il jazz? Nel corso della storia della musica sono state molte le teorie che hanno cercato di dare una risposta definitiva a una domanda così complessa. 

Probabilmente la più romantica di tutte è questa. Il jazz è nato nel sud degli Stati Uniti dalla volontà di persone provenienti da diversi paesi del mondo, principalmente schiavi e immigrati giunti in maniera più o meno coatta dall’Africa e dall’Europa, di comunicare tra loro nonostante le ovvie barriere linguistiche che li separavano. In che modo? Suonando insieme, facendo parlare la sette note piuttosto che le parole.

Se questa teoria fosse corretta, si tratterebbe dell’ennesima dimostrazione di come la musica sia una forza prorompente, in grado di unire persone e comunità assai diverse tra loro, in uno scambio ininterrotto di idee e influenze reciproche che trascendono e abbattono qualsiasi tipo di barriera culturale.

Al di là del romanticismo e della veridicità di questa storia, è innegabile che il jazz, a parte casi eccellentissimi come Ella Fitzgerald, Nina Simone, Louis Armstrong e Billie Holiday, sia un genere che da sempre ha messo al centro la strumentalità piuttosto che la vocalità.

Un filone musicale che ha come suo centro di gravità permanente l’istintiva estrosità e la capacità di improvvisazione dei suoi interpreti. Caratteristiche che, a un secolo dalla sua nascita, si possono ancora trovare nell’attitudine di alcuni artisti a noi contemporanei.

Dream Box” di Pat Metheny ne è un fulgido esempio. L’ultimo disco del leggendario chitarrista fusion è un vero e proprio viaggio attraverso mondi e panorami sonori onirici e rilassanti.

La scatola dei sogni di Pat Metheny

Dopo quasi 50 anni di carriera, 20 Grammy Awards e collaborazioni con giganti della musica jazz e non solo – Jaco Pastorius, Ornette Coleman, Herbie Hancock e David Bowie per citarne solamente alcuni – la sensibilità complessa, irrequieta e curiosa di Pat Metheny non sembra volersi esaurire. Un’infinita curiosità che continua a spingere questo magnifico musicista in nuove ed entusiasmanti direzioni.

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“Dream Box” è un disco che ben rispecchia la spontaneità presente nell’anima primordiale del jazz. Per il suo nuovo album, Metheny ha infatti rispolverato nove “tracce ritrovate”, registrate nel corso della sua carriera e stipate per anni nella cartella del suo computer.

Il mio buon amico Charlie Haden ha detto “dovresti registrare i tuoi brani subito dopo averli scritti” e ho accumulato dei pezzi in questa cartella che conteneva probabilmente 50 o 60 file. Solo per curiosità, ne ho aperto uno e la prima cosa che ho trovato è stato il brano che poi ho intitolato “From the Mountains”. Mi è piaciuto! Ho pensato: “Wow, come ci sono arrivato? E quando ci sono arrivato?” È qualcosa di molto diverso dal mio normale percorso di scrittura di un album.

Pat Metheny

Come già parzialmente accaduto per i precedenti One Quiet Night e What’s All About, il fil rouge in grado di correre lungo tutto il disco è il sorprendente intreccio tra la chitarra elettrica e quella baritona. Un’unione che, aiutata da accordature alternative e adattate a ogni singola traccia, permette a Pat Metheny di ampliare quelle che sono le potenzialità sonore di uno strumento a sei corde.

Istantanee di una vita trasformate in musica

“Dream Box” è lo specchio del percorso di crescita di un artista senza posa, incapace di dormire sugli allori della propria grandezza e che, con umiltà e voglia di mettersi in gioco, ha sempre voluto cambiare le carte in tavola, distruggendo il suo lavoro e ricreandolo a immagine e somiglianza del suo percorso di crescita personale.

Una costante metamorfosi che ben si allinea ai vari mood presenti in questo album. Dalla calma soave di “The Waves Are Not The Ocean” alla serena allegria di “Ole & Guard“, passando per la magnifica reinterpretazione di uno standard jazz del calibro di “I Fall in Love Too Easily” Metheny mostra a chi ascolta il suo ultimo disco delle vere e proprie fotografie e istantanee di vita trasformate in brani musicali.

Un lavoro intimo e personale, capace di catturare l’essenza di un’artista dotato di un’immaginazione sognante, difficile da definire ma assolutamente necessaria in un’epoca musicale che oltre a virare verso l’omologazione, continua a dare sempre maggiore importanza alla forma piuttosto che alla sostanza.

a cura di
Luca Barenghi

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