Anime e manga: ma dove sono i genitori?
Da sempre, il genere ha educato i suoi spettatori e lettori alla parziale o totale assenza di figure genitoriali. Ma perché c’è questa ricorrenza quasi ossessiva?
La ricorrenza dell’evento
Ne manca sempre almeno uno. Mamma o papà che sia, nella trama della maggior parte degli anime e manga almeno uno dei due è assente per le cause più disparate. Ormai le opere di questo genere in cui sono presenti entrambi i genitori si contano sulle dita di una sola mano. E quand’anche ci fossero tutti e due, molto spesso sono delle maschere bidimensionali che fanno parte solo della cornice della storia.
Il topos del rapporto genitore-figlio (che il protagonista lo viva da procreatore o da progenie) è giustamente iper-sfruttato dagli autori di ogni epoca e luogo. In fondo, si tratta del legame naturale più forte esistente al mondo, che supera persino la dolcezza dell’amore romantico o la violenza della morte. In questo senso, è più che sensato volerne parlare in tutti i modi e analizzare tutte le sue possibilità.
Occidente vs Oriente
Per quel che riguarda la produzione occidentale, è possibile affermare che la relazione familiare maggiormente rappresentata è quella di presenza conflittuale, dove i due lati della famiglia sono contrapposti tra di loro. A seguire, una situazione di mancanza di figli, o perché impossibilitati ad averne o perché persi. Poi c’è la condizione di orfano e infine, all’ultimo posto, un rapporto di presenza pacifica.
Per l’Oriente, invece, al primissimo posto e con parecchio distacco dal resto, c’è l’orfanità. Seguono i cardboard parents in compresenza serena (quelli che, per qualche motivo, non si rendono in alcun modo utili per il prosieguo della storyline), la presenza conflittuale e la carenza di figli.
Come spiegare questa ossessione?
Buona parte di questo fenomeno è spiegabile attraverso motivi di indagine, di sviluppo dei personaggi e di lore. Infatti, è normale che un autore si voglia cimentare nell’esplorazione di un affetto tanto speciale e soprattutto di quello che significhi la sua assenza. Molto spesso, la mancanza dei genitori non viene espressa solo per soddisfare la curiosità o esplicitare il virtuosismo dei creatori, ma anche perché possa diventare un tratto caratteriale determinante per una o più personalità dell’opera.
Ed infine, molte avventure non avrebbero neanche inizio se ci fossero stati. Quale genitore sano di mente avrebbe permesso al proprio figlio di arruolarsi in un esercito per combattere una guerra tra due divinità greche (I Cavalieri dello Zodiaco)?
Completamente soli
Gli esempi di protagonisti orfani sono tantissimi, a partire dal Bambi della Disney ad arrivare ad Eren de L’Attacco dei Giganti. Moltissimi sono per motivi di trama: per il già citato Eren, quanti colpi di scena spettacolari sarebbero stati ridotti a semplici chiacchierate padre-figlio? Quale mamma non avrebbe impedito a Rin (Inuyasha) di seguire ed eventualmente sposare un demone che ha un migliaio di anni in più di lei e che ha sterminato altrettante vite umane?
Per altri, diventa un semplice tratto di individuazione del personaggio: Jude Sharp (Inazuma Eleven) è un regista calcistico tanto capace perché il suo defunto padre era un calciatore spettacolare. Era necessario che il padre fosse morto perché Jude non entrasse in competizione con lui e perché lo crescesse la sua famiglia adottiva, tanto vicina a Ray Dark.
Dov’è mamma? E papà?
Nei casi in cui manca un solo genitore, le motivazioni e i ragionamenti sono molto simili a quelli dell’orfanità completa. Come avrebbe fatto All Might ad essere una personalità così tanto ammirata e imitata da Midoriya se lui avesse già avuto un padre nelle cui orme avrebbe potuto camminare (My Hero Academia)? La natura priva di ego e abnegante di Kagome sarebbe davvero emersa così tanto con un padre che, alla prima stupidaggine di Inuyasha, le avrebbe proibito di vederlo (Inuyasha)?
I cardboard parents
Sono anche conosciuti come “cartonboard parents”, letteralmente traducibile con “genitori-cartone” ma che si rende più efficacemente con “genitori-fantasma”. Si tratta di un’allusione alle famose sagome di cartone dei cantanti che, pur somigliando a grandezza naturale agli idoli che rappresentano, sono una mera consolazione per la carenza della persona reale.
Resta uno dei grandi classici dei protagonisti dello studio Ghibli, con rarissime eccezioni (come Ponyo, in Ponyo sulla scogliera). Molti degli altri, tra cui Fio (Porco Rosso) e Kiki (Kiki consegne a domicilio) sono vittime di una situazione familiare praticamente tossica: i procreatori esistono, ma non servono concretamente a nulla. Non si interessano a loro, non se ne prendono cura, non sono quasi mai utili nel corso della storyline. Compaiono solo per quelle due o tre scenette di comic relief oppure per consigliare i nostri eroi in modo del tutto fallimentare. Se si vuole evitare il vincolo della parentela, ma comunque non fornire tratti caratteriali e appigli psicologici superflui, che potrebbero diventare buchi di trama in seguito, questa è la soluzione più veloce.
Il fattore culturale
Ma questo dettaglio, tanto cruciale per una storia, ha radici culturali? Anche perché i crucci che portano alla scelta di sopprimere i genitori sono risolvibili con altri escamotages, come molti autori e registi europei ci dimostrano.
La risposta è affermativa. Questo espediente ha una base che fa parte della cultura asiatica. Innanzitutto, gli orientali non hanno un’idea così tradizionale e consolidata di famiglia. I bambini asiatici, infatti, crescono con la consapevolezza che il loro distacco dal nucleo familiare avverrà molto presto, in età impensabile per gli occidentali. Basti pensare che un trentacinquenne italiano medio vive ancora con il parentato, mentre per un ventenne asiatico è strano non essere autonomo sotto tutti i punti di vista (anche economicamente!).
Inoltre, fin dalla tenera età, i giovani dell’Asia vengono fatti carico di aspettative e costanti pretese che minacciano tristi conseguenze se non soddisfatte. Questa, che per loro è un’esperienza infantile condivisa come per noi può esserlo aver visto i Teletubbies da piccoli, è una realtà che, in confronto, pochissimi europei vivono. È ovvio che questo aspetto così presente e diffuso si rifletta nelle loro opere e nelle nostre no.
Tradizione o stereotipo
Risulta incredibilmente difficile definire una linea di confine. Quali creazioni subiscono l’influsso della trasposizione culturale e quali seguono semplicemente lo stereotipo? La scelta, ancora una volta ricade nelle mani dello spettatore o lettore. Solo lui può giudicare e distinguere tra una saggia riscrittura della quotidianità e una cieca imitazione e il suo verdetto sarà conclusivo.
A cura di
Adelaide Gotti
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