La bellezza e il potere: Chiara Tagliaferri ospite al LSD Festival
Si svolge il 5 ed il 6 maggio la seconda edizione di LSD Festival, presso La Corte e il Palazzo Ex Orsoline Spazio Of. Durante la prima serata ha partecipato, con un’intervento sulla bellezza, Chiara Tagliaferri, accompagnata da Maura Gancitano, con cui abbiamo avuto il piacere di parlare in anteprima dei temi trattati.
Tagliaferri è autrice di alcune trasmissioni radiofoniche e negli anni ha condiviso la penna e la voce con Michela Murgia pubblicando Morgana e Morgana. L’uomo ricco sono io, ispirati ed affiancati al podcast omonimo, e scritto per alcune riviste. Strega Comanda Colore è invece la sua prima pubblicazione da solista.
Questa edizione LSD FSTVL ha come tema “Il Corpo come rivoluzione”, mentre l’intervento che farai stasera con Maura Gancitano è intitolato: la bellezza e il potere. In dialogo su un corpo che cambia. Puoi parlarcene un po’?
In realtà so più o meno quello che ho in mente di dire. Con Maura poi è sempre un piacere perché ci conduciamo a vicenda in luoghi sempre molto interessanti e questo è un tema che a me interessa molto. Ci ho ragionato tanto, perché una delle armi più utilizzate nella discriminazione alla donna è una sorta di contrapposizione tra la bellezza e l’intelligenza. È uno strumento la bellezza, così come è uno strumento il nostro corpo.
Ho letto da poco un libro di Niccolò Ammaniti, che a me è piaciuto un sacco, si chiama La vita intima. La protagonista si chiama Maria Cristina e viene eletta come la donna più bella del mondo. Sposata proprio per la sua bellezza ad un uomo di potere, un presidente del consiglio italiano, viene indifferentemente chiamata Maria Cretina o Maria Pompina o mille altre declinazioni del suo nome. Ad un certo punto ricorda quando era bambina e la madre brutalmente la mette in una situazione in cui la sua bellezza può diventare un problema e le dice “o la governi la bellezza o lei ti mangia”.
Volevo partire proprio da questo tipo di ragionamento: per anni alle donne è stato chiesto di essere una funzione, di essere decorative. Di essere desiderabili per essere desiderate, ma non potevano mai essere desideranti. Nelle migliori delle ipotesi possibili una donna poteva essere scelta e per anni, per poter mettere le mani su un patrimonio, doveva sperare di contrarre un buon matrimonio.
Ne ho ragionato tantissimo anche con Michela Murgia, quando abbiamo scritto molte delle nostre Morgane. Molte delle donne che raccontiamo hanno fatto della loro diversità, della loro stortura la posizione per rivendicare lo spazio che il mondo non voleva dare loro. L’uomo ricco sono io racconta di donne che si sono prese il denaro. Perché il denaro, in realtà, e l’autonomia finanziaria sono una delle carte per essere libere perché ti permettono di decidere dove vuoi stare, ma soprattutto dove non puoi più stare.
Donna, se ci pensi, deriva dal latino domina, che significa signora, padrona, e la lingua da cui veniamo ci descrive proprietarie, dominatrici. Le signore della casa, ma noi per secoli da quelle case non siamo uscite. Se ad ogni lingua corrisponde un modo particolare di osservare il mondo è interessante vedere cosa succedeva in Cina durante il confucianesimo. La subordinazione delle donne era incastonata nell’idioma. Il pittogramma da cui deriva il carattere donna, che è scritto nu, rappresentava una donna genuflessa. Nel confucianesimo poi c’erano le tre obbedienze: la donna doveva essere obbediente prima al padre, poi al marito e poi al figlio.
Ma appunto se torniamo in un occidente, molto più vicino a noi anche nel tempo, e pensiamo ad uno dei libri che per tutta la vita ho pensato essere uno dei più romantici che avessi mai letto, Orgoglio e Pregiudizio. Jane Austen diceva in questo incipit folgorante:
È una verità universalmente riconosciuta che uno scapolo in possesso di un buon patrimonio debba necessariamente cercare una moglie.
Di nuovo, ti proponeva delle sorelle in guerra o in competizione, per accaparrarsi il miglior partito. Poi c’era Elizabeth Bennet a cui non gliene fregava niente del patrimonio e neanche del matrimonio, però guarda caso tornava all’amore e al denaro. Ma Elizabeth Bennet non esiste e Jane Austen non si è mai sposata. E per secoli noi abbiamo avuto la funzione di essere nella migliore delle ipotesi decorative. Mentre gli uomini dovevano conquistare le città, le donne guardavano dalle loro finestre con questi colli allungati, come se fossero dei canarini, quello che a loro era precluso.
La bellezza, a conti fatti, poteva salvarti, perché poteva almeno renderti sposa altrimenti potevi finire sola o nel migliore delle ipotesi in convento. Ma anche da sposa eri comunque incagliata a funzione di intarsio decorativo. Per avere un potere devi essere un corpo, ma per avere un corpo devi essere vista mentre siamo state percepite per secoli come inferiori intellettualmente, fisicamente e socialmente. E non ci venivano riconosciuti i diritti e anche oggi la strada per la parità di genere è lunga.
Se penso a quello che sta accadendo in questi giorni, agli attacchi ricevuti da Elly Schlein perché ha osato dire che aveva un esperto di armocromia in una intervista rilasciata a Vogue. Vogue è una rivista che da sempre si occupa d politica e da sempre ha intervistato donne politiche. Michelle Obama è stata più volte in copertina, le sue campagne contro l’obesità sono state raccontate da loro. Eppure ancora una donna che fa politica sembra che debba rinunciare al corpo. Perché sei di sinistra non devi spendere soldi in vestiti, sono frivolezze. Non sono frivolezze, la moda è politica, la politica e la bellezza devono essere collegate.
È un po’ come se nel momento in cui una donna arriva al potere debba spogliarsi della sua femminilità
Perché comunque il patriarcato per secoli ha campato sulla svalutazione della donna, che se viene relegata a una subalternità, o la donna angelo, resa superiore rimane controllabile. Invece ciò che vogliamo è essere paritetiche, ma per esserlo abbiamo bisogno che ci vengano dati i diritti che non si ci sono stati concessi per anni. Appunto, un certo tipo di femminismo guarda di malocchio un femminismo più internazionale, che difende anche il diritto ad indossare ciò che si vuole e a esercitare il diritto alla propria femminilità. Perché in quella femminilità può trovare sicurezza e non perché corrisponde al canone dettato dal maschio, che per secoli ha deciso del corpo delle donne mantenendo questo potere e facendo in modo che il patriarcato non venisse messo in discussione.
Tutto questo è anche molto legato all’omofobia e alla transfobia, perché replicando il modello di femminilità mettono in crisi il patriarcato che non ritrova più la divisione binaria di genere. Io stessa mi sono sempre divertita moltissimo con i vestiti, che non rappresentavano un orpello ma la possibilità di essere tutto quello che non potevo essere. Non vengo da una famiglia ricca ed ho sempre desiderato le cose belle, perché andavano a colmare una voragine emotiva. Vestendomi potevo immaginare di vivire mille vite o di averne una molto diversa dalla mia.
Per anni sono andata in giro fieramente mezza nuda e l’ho rivendicata questa cosa, ma nel momento in cui ho iniziato a scrivere saggi che parlano di femminismo, a scrivere narrativa se pubblicavo una foto sui miei social in cui potevo essere in costume o potevo scoprire molti centimetri di pelle venivo attaccata.
Quando inizi ad occupare spazio e lo fai con il tuo modo, c’è sempre qualcuno che tende a svalutarti. Io mi sono sentita dire varie volte che non ero credibile perché il mio corpo diceva una cosa e le mie parole un’altra. In realtà dicevano la stessa cosa ma c’erano persone troppo cieche per vederlo.
Alcune di queste cose tornano anche nel tuo romanzo, soprattutto l’idea di denaro come mezzo di emancipazione…
Se pensi che dopo la prima ondata di covid su centounomila persone licenziate, novantamila erano donne – non donne stanche di lavorare – che avevano accettato lavori precari e part time o avevano chiesto più ferie e permessi per le malattie dei figli rispetto ai loro mariti. Perché ancora la donna è considerata il genitore care giver ed è anche quella che ha più responsabilità. Quando nasce un figlio in una famiglia, la carriera dell’uomo non subisce nessuna inflessione quella della donna si.
Io rivendico il parlare del denaro, perché è anche la causa per cui rimanere a casa, per alcune donne è stata una condanna a morte. Perché la violenza domestica è un dato di fatto, la percentuale di donne che subiscono abusi psicologici verbali o fisici è altissima in Italia.
Andava bene quando con Morgana noi raccontavamo donne un po’ mattarelle, è andata un po’ meno bene quando abbiamo iniziato a parlare di donne che hanno rivendicato l’indipendenza finanziaria e di fare ciò che volevano con il loro corpo, anche abortire se era necessario per la loro carriera come ha fatto Marina Abramovic. Morgana è diventata politica. In un momento e in un paese come questo, in cui la possibilità anche solo di critica sembra ormai un miraggio io penso che parlare sia l’arma più affilata che noi scrittori abbiamo.
Un’altra cosa di cui si parla nel romanzo è la provincia, la fuga dalla provincia. Quanto è differente il ruolo che hanno le donne in quei luoghi e nelle grandi città e anche l’indipendenza che possono raggiungere? Persiste ancora la chiusura di un tempo?
Io ormai abito lontana dalla provincia da tanti anni, anche se in questo momento parlo dalla casa in cui sono nata. A volte è necessario andare via per poter tornare. Io non sapevo che cosa volevo, ma sapevo che le cose che desideravo erano molto lontane da dove mi trovavo e l’unico modo per avvicinarmi a queste cose era andarmele a prendere. Per farlo ho dovuto creare una frattura, uno strappo perché se nasci e cresci in una cittadina di provincia ti viene detto che è tutto semplice se rimani lì. Se te ne vai, te ne vai da sola e te la devi cavare da sola e così è stato per me.
Penso che la provincia sia poi qualcosa che ti porti sempre addosso. Quando io mi avvicino con il treno da Roma verso Piacenza e vedo questi campi sterminati e questa bassa padana, di nuovo risento qualcosa che mi sale dallo stomaco e dico “io vengo da questa cosa qui”. Se io non fossi venuta da questo mondo probabilmente non sarei stata così affamata: la provincia a me ha dato fame e desiderio. Mi sono andata a prendere quello che volevo, in questo senso ora posso tornare felice. Non volevo trovarmi, come magari mia nonna, imprigionata in una vita che aveva delle dimensioni geografiche date dal luogo di nascita.
Siamo in tanti a scappare dalle provincie. Una delle cose che ho pensato leggendo il libro è che hai messo su carta quella sensazione che a volte ci fa sentire un po’ speciali quando abbiamo sedici anni e l’hai resa comune. Essere la pecora nera, il bisogno della fuga.
Però in realtà lo sei speciale, lo siamo stati. Perché ci vuole molto coraggio a fare quella cosa. Questo matriarcato, questa genealogia di donne che sembrano una slavina, queste figlie che si disfano per poi ricomporsi. È come un incantamento, la provincia è come una sorta di malia per cui sembra che altri abbiano scelto la strada che devi percorrere. Il destino che è il tuo destino. Tu, però, lo sei speciale se quel destino lo spezzi e provi a tesserne un altro.
Come è stato mettere la tua storia su carta e non quella di altre donne?
Scrivere la mia storia è stato molto liberatorio, ma per farlo ho dovuto attraversare quella di altre donne. Ogni Morgana, scritta con Michela, era in realtà un granello di me o di lei. Ogni Morgana che abbiamo scelto corrispondeva ad un bisogno di coraggio. Io sono una vigliacca e trovo coraggio nelle vite delle altre. Ero stanca di una narrazione molto maschile, mi sono formata leggendo meravigliosi scrittori, ma mi sono formata leggendo altrettante poderose scrittrici. Nessuno parla mai di quanto alcune di queste siano state deflagranti tanto quanto gli uomini. Se abbiamo Francis Scott Fitzgerald abbiamo una Zelda Fitzgerlad, vampirizzata dal marito. Nessuno cita mai il suo libro.
Ha scritto Lasciami l’ultimo valzer, che è un capolavoro. E da cui capisci che i capolavori di Scott sono presi a mani basse dalla scrittura di Zelda. C’è un dialogo bellissimo in cui un innamorato di questa meravigliosa ragazza spezza cuori gli dice “siete divertente come un libro” e lei lo guarda e dice “ma io sono un libro, pura finzione”. Ed è quella cosa lì, in realtà tu che sei una prodigiosa scrittrice sei diventata un personaggio.
Quando a furia di raccontare tutte queste donne a un certo punto ho pensato di raccontare anche le mie di donne. Riscattare chi meritava, secondo me, anche una resurrezione e seppellire una seconda volta chi meritava una morte ancora più cruenta di quella avvenuta nella realtà. È stato molto liberatorio e divertente. È stato un libro quasi dettato in una seduta spiritica e ho potuto colmare anche quei vuoti emotivi che con le persone ancora in vita non si colmano mai, perché è difficile trovare un alfabeto emotivo quando non lo hai mai avuto.
E poi è stato bellissimo lavorare sulla lingua. Morgana è più un libro di divulgazione saggistica. Qui ho potuto tirare fuori una lingua più affilata, crudele. Perché la protagonista è una ragazzina arrabbiata che desidera la vendetta e che, a modo suo, la ottiene. È un libro che racconta cosa siamo disposti a fare per vendicare chi amiamo e dove siamo disposti ad arrivare. E racconta quello che passiamo attraverso il sangue, anche quelle che non vogliamo.
La scelta di non seguire una linea temporale logica è stata intenzionale?
È stata un’intenzione. Nel senso che la voce narrante non ha un nome e non è un caso che in copertina ci sia una ragazza senza occhi. Perché è un corpo senza organi che si deve ricomporre. Per ricomporsi ha bisogno di ritornare in dietro per andare avanti. C’è una geografia emotiva fatta di residui, di resti che ogni tanto affiorano in superficie. Quello che lei fa è un lavoro di stratificazione archeologica.
Attraverso i ricordi cerca di dare delle risposte a dei vuoti. Questo andare avanti e indietro nel tempo, come un prima e dopo cristo, è un prima di me e dopo di me. Perché per questo sangue che passa benedizioni ma anche maledizioni, lei deve andare alla foce per capire da dove arriva tutta quella infelicità. E solo attraverso l’amore riesce a sconfiggere la Strega e usare i colori.
a cura di
Andrea Romeo
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