“Abbandonare un gatto”: Murakami racconta suo padre

“Abbandonare un gatto”: Murakami racconta suo padre
Condividi su

In Abbandonare un gatto, Haruki Murakami racconta del difficile e complicato rapporto col padre ormai scomparso e lo fa attraverso un ricordo della sua infanzia: quando andò, assieme a lui, ad abbandonare un gatto sulla spiaggia. All’epoca non era così mal visto abbandonare gli animali e l’autore spiega che tale gesto fu compiuto perché la gatta era incinta e la sua famiglia non poteva permettersi di sfamare anche i gattini.

La cosa incredibile è che appena tornati a casa, i due ritrovano proprio quella stessa gatta che li aspettava sulla soglia di casa. Murakami racconta che l’espressione del padre quando vide l’animale: fu un misto tra stupore e ammirazione.

Altri aneddoti che hanno come protagonisti i gatti vengono raccontati nel romanzo.

Murakami parte da questo ricordo, apparentemente insignificante, per iniziare a parlare della vita del padre, Murakami Chiaki. Del periodo passato in guerra e di come, per puro caso, sia stato richiamato dal fronte perché un ufficiale seppe che era uno studente dell’Università imperiale di Kyoto. Fu proprio quell’uomo a permettere al padre di riprendere gli studi.

Murakami racconta anche di come la guerra e il suo ricordo segnino profondamente l’animo e la vita di chi l’ha vissuta.

Di come il destino abbia permesso al padre di salvarsi e a lui di nascere. I commilitoni di Chiaki, infatti, appartenenti alla 16° divisione di stanza nelle Filippine, vennero quasi tutti uccisi. Questo poteva essere il destino di suo padre e se lo fosse stato, lo stesso Murakami non sarebbe mai nato.

A partire da questi ricordi, l’autore riflette sulle casualità della vita e sulla natura fragile della nostra esistenza. Tutto è frutto del caso, dice Murakami, e non del destino come sostengono in tanti.

Se suo padre non fosse stato congedato, probabilmente, sarebbe morto e lui non sarebbe mai nato; se sua madre avesse sposato l’uomo al quale fu promessa (che poi morì in guerra), nemmeno in quel caso avrebbe visto la luce.

Sono il figlio qualunque di un uomo qualunque. Più mi fermo ad approfondire questa verità, più mi convinco che tutto è sempre stato frutto del caso. Invece noi esseri umani, per tutta la vita, consideriamo un destino eventi che dipendono dal caso. In altre parole, ognuno di noi è una delle innumerevoli, anonime gocce di pioggia che cadono su una vasta pianura. Una goccia che ha una sua individualità, ma è sostituibile. Eppure quella goccia di pioggia ha i suoi poteri, ha la sua storia e il dovere di continuarla. Non lo dobbiamo dimenticare. Anche se si perde la propria individualità per essere inglobati in una qualche massa. Anzi, dovrei dire “proprio perché si è inglobati in una massa”.

L’intenzione dell’autore non è quella di mandare un messaggio al pubblico, bensì di ricordare il padre, con il quale ha avuto un rapporto controverso e spesso distante. Per moltissimi anni, i due sono stati lontani e non hanno avuto una relazione. Murakami racconta di lui con un po’ di rimpianto e malinconia, forse perché avrebbe voluto stare più tempo al suo fianco per conoscerlo meglio.

Da tanto tempo avevo in mente di scrivere qualcosa di adeguato su mio padre, ormai scomparso, ma ho lasciato passare gli anni senza nemmeno provarci. Non è facile parlare di qualcuno della propria famiglia, scegliere da dove e in che modo iniziare. Così mi sono tenuto dentro questa intenzione per molto tempo, come una spina rimasta in gola. Finché, per caso, mi sono ricordato che una volta, da bambino, ero andato con mio padre ad abbandonare un gatto su una spiaggia; ho cominciato a scrivere da lì, e il racconto è venuto fuori da solo, molto più facilmente di quanto avessi pensato.

Il romanzo è uscito in patria nel 2019 e in Italia nel 2020.

L’edizione italiana è illustrata dal talentuoso Emiliano Ponzi, un illustratore italiano conosciuto a livello internazionale. Un incentivo in più per leggere quest’ultima fatica del maestro giapponese.

A cura di
Silvia Ruffaldi

Seguici anche su Instagram!
LEGGI ANCHE: “Tutto quello che so sull’amore”
LEGGI ANCHE: “18 giorni accanto a te”, un dramma un po’ scontato
Condividi su

Silvia Ruffaldi

Silvia ha studiato Scienze della Comunicazione a Reggio Emilia con il preciso scopo di seguire la strada del giornalismo, passione che l’ha “contagiata” alle superiori, quando, adolescente e ancora insicura non aveva idea di cosa avrebbe voluto fare nella vita. Il primo impatto con questo mondo l’ha avuto leggendo per caso i racconti/reportage di guerra di Oriana Fallaci e Tiziano Terzani. Da lì in poi è stato amore vero, e ha capito che se c’era una cosa che voleva fare nella vita (e che le veniva anche discretamente bene), questa doveva avere a che fare in qualche modo con la scrittura. La penna le permette di esprimere se stessa, molto più di mille parole. Ma dato che il mestiere dell’inviato di guerra può risultare un tantino pericoloso, ha deciso di perseguire il suo sogno, rimanendo coi piedi ben piantati a terra e nel 2019 ha preso la laurea Magistrale in Giornalismo e cultura editoriale all’Università di Parma. Delle sue letture adolescenziali le è rimasto un profondo senso di giustizia, e il desiderio utopico di salvare il mondo ( progetto poco ambizioso, voi che dite ?).

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *