Iron Maiden, Legacy Of The Beast, Nights of the Dead: Live In Mexico

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Ovvero: quando alla mancanza di decenza cerchi di sopperire con un titolo chilometrico

Questo live album non doveva esistere. Ho pensato molto all’incipit per questo articolo. L’avevo in mente, Stavo per scriverlo. Poi un moto di sincerità gretta e devastante ha prevalso. Gli Iron Maiden, una macchina da guerra sul palco da quarant’anni, questa volta hanno fatto qualcosa di (quasi) insensato. Nights of the Dead non doveva esistere.

Partiamo con una domanda lecita: perché. Ma soprattutto, perché?

Nel 2020 gli Iron Maiden avrebbero dovuto portare in giro per il globo terracqueo la terza tranche del Legacy of the Beast Tour, serie di concerti la cui scaletta ripercorre l’intera carriera della band inglese. Qualcosa è andato storto.

Non tra di loro, ma nel mondo. Una pandemia che ha cambiato un po’ i piani di qualche persona. Qualche miliardo. Tutto rimandato al 2021 (forse). Nel frattempo la band inglese ha scritto e registrato un nuovo album di inediti.Bene, è una buona occasione per pubblicarlo”.

E invece no. Bisogna completare la terza parte del tour precedente, altrimenti si scombina la programmazione, hanno pensato più teste.

È un po’ come voler andare al mare, accorgersi che nel frattempo c’è un uragano e dunque ripiegare sulla piscina comunale scoperta. O preparare una cena deliziosa per una serata romantica con la dolce metà, cuocerla e lasciarla in frigorifero. “Sarebbe un peccato ora. Mangiamo due Mac Toast”. Robe da impugnare la carta dei diritti dell’Uomo.

Di seguito una ricostruzione accurata dei fatti.

“Ragazzi, bisogna rimandare il tour”

“Dannazione. Allora concentriamoci per l’uscita del nuovo album”

“No. Non si può. Avevamo programmato di farlo uscire dopo il tour”

“Ma se hai appena detto che dobbiamo rimandarlo”

“Nel frattempo lavoriamo su un live album. È un po’ come continuare il tour. Avete fatto settordici concerti negli ultimi due anni. Scegliamone uno”

“Ok, ma continuo a non capire…”

“Scegliamone uno. Le date in Messico!”

“Ma lì Bruce stava male, anche gli altri non erano in forma smagliante. Proviamo con…”

“Ho detto Messico. Avete fatto tre concerti, prendiamo un po’ di qua e un po’ di là”

“Sì, ma ci son sempr…”

“Ho detto Messico”

“E l’album di inediti?”

“Dopo il tour”

“Ma…”

“Ho detto dopo il tour”

Scambio di battute ipotetico ma verosimile

Zio Bruce spacchetta una lussuosa edizione di Nights of the Dead. Per sette minuti e mezzo
Sarebbe stato bello…

Il sottoscritto era presente al Firenze Rocks 2018, proprio una delle prime date del Legacy Of The Beast Tour. Credo che “orgasmico” sia il termine migliore: musicisti over 60 che sprigionano un’energia devastante e ti fanno piangere e godere al tempo stesso. Mi pare ci sia una specifica categoria su PornHub per questo.

Tutto ciò per dire che una testimonianza di questo tour era pronosticabile, quasi sperata. Soprattutto, una testimonianza audiovisiva, dato il colpo d’occhio stupefacente (palco e scenografie impressionanti, tra le migliori della loro carriera).

Oramai i DVD e Blu Ray musicali, però, non vendono, non sono appetibili, quindi idea scartata (anche se con tutto quel girato video accumulato, realizzare un montaggio anche poco elaborato non sarebbe stato troppo complicato).

Un live dedicato al Legacy Of The Beast Tour è una buona idea, perché nella maggior parte delle date gli Iron Maiden hanno donato uno spettacolo non indifferente. Le serate storte capitano sempre, è umano, ma in generale è stato uno dei tour migliori dei loro ultimi vent’anni.

… e invece…

Le premesse per fare un buon lavoro, dunque, c’erano. Anche se raffazzonato all’ultimo, perché non era previsto. Quando fai le cose in fretta, purtroppo spesso fai male.

Ecco che le tre date di Città del Messico non iniziano benissimo, con Dickinson che arranca più del dovuto. Come anticipato, il cantante aveva febbre ed era debilitato per un’intossicazione alimentare: al netto di questo, bisogna ammettere che in Nights of The Dead riesce di quando in quando a sostare e superare i livelli di umana bontà (Flight of Icarus, Hallowed Be Thy Name, The Clansman, la conclusiva Run To The Hills, per esempio).

Gli Iron Maiden hanno già avuto in passato fortuna alterna con le date scelte per i propri live album: Death On The Road del 2003 soffriva di una prestazione buona ma non al top (basti ascoltare altri concerti sempre di quel tour per capire), lasciamo perdere i vari A Real Dead Live One.

Ma, al di là della prestazione generale, dove a salvare baracca e burattini è la mastodontica batteria di Nicko McBrain, ci sono due cose che fanno saltare i nervi del sottoscritto, che lo manda in cortocircuito nemmeno fosse Numero 5 (citazione per gli amanti della cinematografia Anni ’80): la produzione e il mixaggio.

La copertina dell’album. Anche qui non andiamo benissimo…
Il minestrone della nonna è sempre buono…

… Ma qui stiamo parlando di musica. Gestire tre chitarre, un basso, una batteria, una voce, delle sporadiche tastiere e le urla del pubblico non è facile, nessuno lo mette in dubbio. Volumi, piccoli errori, eccetera. Ma c’è una soglia di decenza che produzioni professionali dovrebbero rispettare.

In Nights Of The Dead le urla dei fan sembrano riprese da un microfono posto all’esterno dello stadio, il che produce un effetto stranissimo: laddove Bruce Dickinson lascia cantare il pubblico, questo sembra bofonchiare da chissà quale sotterraneo lontano. In un live album tale componente gioca un ruolo importante, qui siamo dinanzi al disagio cosmico.

Parliamo anche di volumi degli strumenti. Ribadiamo come sia complesso il lavoro di mixaggio, proprio per questo deve essere il più accurato e attento possibile, altrimenti fraseggi di chitarra o, peggio, interi assoli vengono soffocati dal resto delle ritmiche. Chiedere ad Adrian Smith per le maledizioni che avrà lanciato, semmai abbia avuto l’occasione di ascoltare Nights Of The Dead.

Le tre chitarre sono davvero sbilanciate tra loro: volume di Adrian Smith basso, volume della sei corde di Gers in primo piano (con errori annessi). Non è il chitarrista più pulito della storia, ma mettere in evidenza note saltate, ritardi e altro è un affronto al buon ascolto. Lasciamo perdere i volumi delle tastiere, che in Sign Of The Cross sovrastano inutilmente tutto, anziché arricchire l’atmosfera.

Ascolta l’album su Spotify

I Maiden non sono mai stati precisissimi in sede live ed è paradossalmente anche il loro punto di forza, la genuinità che li contraddistingue, ma neppure nei primi anni ’90 si è ascoltato un lavoro così approssimativo.

Il basso di Steve Harris, per esempio. Marchio di fabbrica della macchina da guerra Iron Maiden. Lo distingui ogni tanto, non esce, non spicca nei punti dove di solito lo senti. Non ha cambiato stile. È proprio il lavoro al mixer che è stato approssimativo. Oppure era stato fatto un ottimo lavoro di cesello, poi un gatto sarà saltato sulle piste scombinando tutte le regolazioni e se ne sono accorti solo a lavoro consegnato.

Tanto va la gatta al mixer…

Vorrei davvero optare per la seconda ipotesi. Darebbe anche quel tono un po’ pittoresco, un po’ casalingo. Un po’ di sfiga giustificabile.

Invece no.

“Legacy Of The Beast, Nights of the Dead: Live In Mexico”, oltre a essere uno dei dischi con il titolo inutilmente più lungo della storia degli Iron Maiden, è anche l’occasione sprecata per eccellenza. Una scaletta fantastica, con perle come Sign of the Cross, Flight of Icarus e The Greater Good of God che difficilmente verranno riproposte in futuro. Tutto rovinato da scelte discutibili e un lavoro oggettivamente realizzato con una fretta inutile.

La quota metallara di The Soundcheck si ritira in un silenzio di amarezza e attende con un filo di rabbia in più il prossimo disco (di inediti) degli Iron Maiden.

a cura di
Andrea Mariano

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Andrea Mariano

Andrea nasce in un non meglio precisato giorno di febbraio, in una non meglio precisata seconda metà degli Anni ’80. È stata l’unica volta che è arrivato con estremo anticipo a un appuntamento. Sin da piccolo ha avuto il pallino per la scrittura e la musica. Pallino che nel corso degli anni è diventato un pallone aerostatico di dimensioni ragguardevoli. Da qualche tempo ha creato e cura (almeno, cerca) Perle ai Porci, un podcast dove parla a vanvera di dischi e artisti da riscoprire. La musica non è tuttavia il suo unico interesse: si definisce nerd voyeur, nel senso che è appassionato di tecnologia e videogiochi, rimane aggiornato su tutto, ma le ultime console che ha avuto sono il Super Nintendo nel 1995 e il GameBoy pocket nel 1996. Ogni tanto si ricorda di essere serio. Ma tranquilli, capita di rado. Note particolari: crede di vivere ancora negli Anni ’90.

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