Everyday Life dei Coldplay: quando la musica non è sostenibile

Everyday Life dei Coldplay: quando la musica non è sostenibile
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Everyday Life è l’ottavo nonché ultimo lavoro in studio della band britannica capitanata da Chris Martin, i Coldplay, pubblicato lo scorso 22 novembre. L’album non ha impiegato molto ad imporsi nel mercato radiofonico e discografico, raggiungendo anche la prima posizione dei dischi più venduti nel Regno Unito e in Olanda.

Questa volta, però, più che i dati di vendita, a prendersi la luce dei riflettori sono state le dichiarazioni di Chris Martin: «We’re not touring this album» (Non faremo un tour per quest’album, BBC 21 novembre 2019).

Sempre come riferito alla BBC, la band si prenderà un periodo di pausa dai concerti per uno o due anni, in modo da studiare come rendere completamente sostenibili le tournèe di Everyday Life, ma non solo: «We’re taking time over the next year or two, to work out how our tour can not only be sustainable, how can it be actively beneficial» (Ci prendiamo del tempo per il prossimo anno o due, per capire come il nostro tour possa non solo essere sostenibile, ma anche benefico [per l’ambiente]).

Nessun tour in programma ma il disco è stato comunque presentato e trasmesso in diretta su YouTube ad Amman, la capitale della Giordania, il 22 novembre con un’esibizione all’alba e una al tramonto, per suonare le due parti che compongono l’album: Sunrise e Sunset.

Hanno poi presentato Everyday Life tre giorni dopo al Museo di storia naturale di Londra con un concerto di cui devolveranno il ricavato in beneficenza all’organizzazione no profit di avvocati ed esperti di ambiente, ClientEarth.

Anche la musica deve rispondere all’ambiente

Non è la prima volta che i Coldplay prendono posizione su temi politici e sociali, questa decisione però colpisce in quanto apre interessanti spunti di riflessione sulla complessità del tema ambientale.

Soprattutto grazie ad attivisti come Greta Thunberg, il topic è entrato stabilmente nell’agenda politica e mediatica ma in maniera troppo spesso superficiale. Non viene trattato con l’approfondimento e l’accuratezza che necessiterebbe.

Ciò che non viene messo in evidenza è che delle serie politiche ambientali devono riguardare prima di tutto le comunità e non i governi nazionali. Gli establishment politici hanno certamente enormi responsabilità, ma non si può pensare che le soluzioni all’inquinamento (e tutti i problemi da esso scaturiti: riscaldamento globale, desertificazione) possano essere calate dall’alto, a mo’ di formulette magiche.

È il nostro stesso stile di vita che dovrebbe essere messo in discussione. Esso è il prodotto di una società costruita sul paradigma della crescita illimitata che se da una parte genera ricchezza ed opulenza dall’altra crea miseria e povertà, sfruttando e consumando risorse a velocità sempre maggiori.

Il compito dei governi dovrebbe dunque essere quello di garantire alle comunità le condizioni legislative, sociali ed infrastrutturali per permettere, per esempio, un bassissimo impatto in termini di CO2 e una gestione sostenibile dello smaltimento dei rifiuti.

Molto facile a dirsi, molto complesso a farsi, certo, ma degli esempi virtuosi già esistono.

Se ad essere messi in discussione sono tutti gli aspetti della società, non fanno eccezione la musica e l’industria musicale. Perché, ecco, quando parliamo di tour musicali mondiali, parliamo di realtà mosse da grandi sistemi, filiere produttive che rispondono alle leggi del mercato. Anch’essi, dunque, hanno un impatto inquinante sull’ambiente.

Non è di certo la prima volta che si discute dell’impatto ambientale dei concerti, la feroce disputa di quest’estate tra Jovanotti e le associazioni ambientaliste e animaliste è un chiaro esempio. A mio avviso, però, la scelta dei Coldplay solleva degli interrogativi molto più profondi.

Esiste davvero un futuro sostenibile per l’industria della musica come la conosciamo oggi?

Pur non esprimendolo chiaramente, i Coldplay hanno implicitamente messo in discussione la realtà dei tour mondiali per come sono adesso. Oggi, pensare ad un tour ad impatto ambientale zero è impossibile. Certo può esserci l’impegno a non utilizzare plastica nel merchandising o nei servizi di ristorazione ma si tratta di palliativi, non di soluzioni. Pensare poi a un metodo con il quale un concerto possa addirittura essere benefico, è ancora più complicato.

Stando al report di Powerful Thinking del 2018, nel solo Regno Unito, i 279 festival musicali estivi hanno prodotto oltre 23mila tonnellate di rifiuti, di cui solo il 32% è stato riciclato, e generato 100mila tonnellate di C02.

Cifre che possono aiutarci a comprendere l’impatto ambientale che può avere un concerto. Il maggior apporto inquinante è sicuramente dato dagli spettatori, ma come poter azzerare del tutto il loro impatto ambientale? Gli spettatori e le band devono rinunciare di colpo ai grandi tour mondiali? È davvero questa la soluzione?

Assumersi le responsabilità delle proprie azioni comporta sempre un prezzo da pagare. Ciò che è certo è che se da un lato non bisogna essere menefreghisti, dall’altro non bisogna trasformare una critica radicale in isteria e fanatismo.

Essere consapevoli della complessità della situazione è sicuramente il primo passo per poter cambiare le cose, in meglio si spera. Una volta che si è consapevoli bisognerebbe agire ed è proprio lì che arriva la parte più difficile.

Una musica che vuole essere attuale deve appropriarsi delle tematiche ambientali

Se anche altri artisti accogliessero le perplessità dei Coldplay sarebbe sicuramente un passo importante. Un passo necessario ma ancora non sufficiente per combattere le battaglie ambientali.

Una musica che vuole essere motore di rinnovamento e che vuole esercitare una funzione di denuncia e di critica all’interno della società, non può che fare propri i temi ambientali. A patto che ne favorisca la comprensione e la sensibilizzazione, non la banalizzazione.

Questo i Coldplay, rinunciando temporaneamente al tour mondiale per Everyday Life, sembrano averlo capito.

A cura di
Angelo Baldini

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Angelo Baldini

Nato a Napoli nel 1996 studia Giornalismo e cultura Editoriale presso l'Università degli studi di Parma. Collabora con Eroica Fenice di Napoli e con ParmAteneo. Crede in poche cose: in Pif, in Isaac Asimov, in Gigione e nella calma e nella pazienza di mia nonna Teresa.

2 pensieri su “Everyday Life dei Coldplay: quando la musica non è sostenibile

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