Camila Cabello e gli stereotipi tra uomo e donna

Camila Cabello e gli stereotipi tra uomo e donna
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Che Camila Cabello fosse un flop lo avevo già intuito a giugno 2018 quando suonò a Wembley in apertura a Taylor Swift: che non potesse competere con la Dea del pop contemporaneo era cosa fuori ogni discussione, ma che ne uscisse male anche in un confronto con Charli XCX (anch’essa una Dea del pop contemporaneo, ma solo per chi ne capisce qualcosa di musica) era tutto fuorché prevedibile.

L’uscita di Romance ha confermato quanto sopra anche alle persone che fino a venerdì scorso volevano darle un’ultima possibilità: un lavoro inconsistente, senza anima, che si regge in piedi solo con alcune collaborazioni.

Sì, perché quando si decide di “ballare da sola” inanella uno scivolone dietro l’altro, mentre con le collaborazioni riesce a tirar fuori dei brani carini. Señorita con Shawn Mendes è l’esempio più recente, Havana con Young Thug quello un pelo più remoto, My Oh My con DaBaby non a caso sarà il nuovo singolo estratto, pur non potendo competere con i due prima citati.

Ma la discussione non è sull’ultimo lavoro della ex Fifth Harmony, si può tranquillamente liquidare in un paragrafo, ma sul ruolo della performer femminile nella musica pop e sul fatto che la loro stessa figura alimenti gli stereotipi che le donne hanno nei confronti degli uomini, facendoli passare per “animali che guardano alla forma e non al contenuto”, per usare un espediente letterario.

La sensualità non è mai stata estranea al mondo del pop, come anche le allusioni sessuali, ma sono state spesso accompagnate da una notevole qualità in sede artistica: Madonna ci ha costruito un’intera carriera attorno a questo concept e gente come Debbie Harry o Shirley Manson, più rock che pop, hanno giocato al meglio le loro carte artistiche facendosi circondare da colleghi o produttori (o nel caso dei Garbage, entrambi) della madonna.

Il pop contemporaneo, o almeno quello che vogliono ad ogni costo propinarci come fondamentale, sembra ormai diventato una succursale di Instagram, dove il lato artistico viene messo in secondo piano per dare spazio all’apparire e al giocare di allusioni, mettendo in secondo piano quel lato musicale che spesso è composto da materiale di dubbia qualità.

Non che la cosa sia una novità assoluta per chi ascolta la musica, ma sembra che almeno nel Terzo Millennio chi lavora nelle discografiche si sia fatto prendere la mano per piegare le campagne promozionali su un’estetica che allude in maniera preponderante sulla sessualità.

Con risultati che portano inevitabilmente allo sfogo che la scorsa estate fece Fabio Volo su Ariana Grande, scatenando la giusta indignazione del web. E anche la mia, perché Ariana Grande è una cantante da un talento così pazzesco che potrebbe farcela anche senza certi trucchetti.

Dicevo che la storia del pop contemporaneo è piena di esempi di ciò, ma il fatto che la sessualità o l’apparire si siano sbilanciati almeno nell’ultimo ventennio è cosa palese.

E quando in UK la pop band femminile più nota di fine Anni Novanta si presentava vestita o con la tuta della Adidas o con abiti presi due secondi prima da Primark, negli USA Beyoncé si dimostrava pioniera di quanto si sarebbe visto anni dopo con le Destiny’s Child, con il video di Survivor che è un esempio eclatante. Ma d’altronde si sa che Beyoncé è una che anticipa le tendenze.

Ci sono due esempi eclatanti, entrambi da collocare verso la fine del decennio scorso. Il più noto è Katy Perry, che è partita da un vestito a pois sul video di Ur So Gay per poi arrivare a bombe (sexy) come quanto ha fatto negli anni successivi.

Ma più clamoroso è quello di Gabriella Cilmi, l’australiana di chiare origini italiane che conoscemmo tutti con Sweet About Me, quando sfoggiava un look da ragazza della porta accanto, più vicina a quella che ti consegna un volantino dell’ultima campagna animalista che ad una star del music business.

Il U-Turn pazzesco è arrivato nel 2010 quando, ancora teenager, è passata a diventare una Barbarella del Terzo Millennio nello scialbo On A Mission. Con un risultato che è sotto gli occhi di tutti: flop incredibile e aspettative tradite dopo il successo di Lessons To Be Learned.

Fortunatamente negli ultimi anni sono arrivate diverse eccezioni e la più evidente, e anche la più ammirevole, è quella Lizzo che sarà motivo di rivalsa per quelle ragazze che non hanno mai voluto rischiare di entrare nel mondo della musica perché consapevoli di non rispettare quei canoni estetici che o rispetti o sei fuori dal giro, alimentando quegli stereotipi già detti.

Non è da meno da questo punto di vista Billie Eilish che, pur essendo molto carina, di queste cose se ne strafrega altamente: porta il suo sovrappeso come una bandiera di orgoglio e ai vestiti succinti preferisce i pigiamoni oversize.

Stima infinita, la stessa che si deve avere per una Charli XCX che dopo aver dettato il successo di molte sue colleghe come autrice è ormai un’artista a sé stante.

Ma le vere eccezioni sono due: una è la già citata Ariana Grande e l’altra è Dua Lipa. In entrambi i casi siamo di fronte a donne di indiscutibile bellezza visiva (o fighe pazzesche, per dare l’idea) ma anche dotate di un talento non da poco.

L’italoamericana è una che potrebbe farcela da sola, grazie alla sua voce incredibile, mentre l’inglese di origini kosovare si è comportata in maniera più furba, facendosi attorniare sempre da collaborazioni capaci di tirar fuori da lei il meglio, come ad esempio Calvin Harris o il duo Diplo e Mark Ronson, conosciuti anche come Silk City.

Entrambe vogliono dare un segnale forte, di femminismo, di un messaggio che vada oltre la musica (Dua Lipa si è schierata con i Laburisti recentemente) e soprattutto del fatto che, per avere un successo duraturo, la sola estetica non può bastare.

Quella va bene giusto per cose destinate a svanire in poco come qualche apprezzamento da bar e decine di migliaia di cuori su Instagram.

a cura di
Nicola Lucchetta

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