“Il Cacciatore” torna al cinema, e non è mai stato così bello

“Il Cacciatore” torna al cinema, e non è mai stato così bello
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A 45 anni dall’uscita, il capolavoro senza tempo di Michael Cimino torna sul grande schermo in versione restaurata 4K, in tre date imperdibili: 22-23-24 Gennaio.

È il Vietnam, è la Nuova Hollywood, è la perdita dell’innocenza di una nazione: riflettere su Il Cacciatore (The Deer Hunter in originale) significa riflettere sul crocevia storico che abbraccia la seconda metà degli anni ’60 e l’inizio degli anni ’70. Un’epoca che avrebbe per sempre rivoluzionato l’arte, la cultura e più in generale il modo di vivere del mondo occidentale.

Il Cacciatore (alla pari di Apolcalypse Now) rappresenta la dichiarazione finale con la quale la Nuova Hollywood elabora quel periodo, ragionando su tutte le maggiori paure e contraddizioni, proprie anche dell’America contemporanea.

Appuntamento al cinema dal 22 al 24 Gennaio!

L’epica dei rapporti umani

Come riuscire a raccontare un film per il quale sono già stati versati fiumi e fiumi d’inchiostro? Come descrivere a parole la bellezza e la potenza di alcune tra le scene più celebri della storia della Settima Arte?

La guerra è terribile ed è fatta dagli anziani che mandano a morte i giovani… ogni film dovrebbe parlare male della guerra. Questo volevo raccontare., disse in un’intervista Cimino, che ha sempre evitato le discussioni (spesso sfociate in polemica) legate al sottotesto politico del film. “Con “Il Cacciatore” non m’interessava affatto fare politica… volevo piuttosto fare un film sulla famiglia composta da un gruppo di amici che sono più di una sorella e un fratello, perché gli amici te li scegli, sono fratelli per scelta”.

Il tema dell’amicizia è infatti il vero cuore pulsante di questa epopea lunga 182 minuti, che parte dalla piccola e anonima cittadina di Clairton, in Pennsylvania.

Michael “Mike” Vronsky (Robert De Niro), Nikanor “Nick” Chevatorevich (Christopher Walken), Steven Pushkov (John Savage) sono tre giovani amici, operai in un’acciaieria e nel tempo libero appassionati della caccia al cervo. Sono, soprattutto, figli di immigrati di origine est-europea. I ‘nuovi’ cittadini d’America, che trovano nel loro sentirsi a stelle e strisce una delle principali ragioni di vita. La scelta di arruolarsi per il Vietnam diventa allora un gesto di riconoscenza nei confronti del Paese che li ospita, un “obbedire agli ordini” con cui riuscire a conquistarsi la patente di veri americani.

Il racconto si snoda attraverso tre atti ben distinti: se nella prima parte emerge tutta la lentezza della provincia americana, con i suoi gesti e i suoi rituali quotidiani – eredità antica tramandata da oltreoceano -, nella seconda la violenza della guerra scoppia sotto i nostri occhi, senza che allo spettatore venga mai concesso il tempo di metabolizzare tutto l’orrore che comincia a riempire lo schermo e che aumenta inesorabile di scena in scena. A completare il mosaico sarà il ritorno a casa di individui che inevitabilmente non sono più gli stessi.

Scene entrate nella storia

Sono tante, troppe, le scene de Il Cacciatore ad essere entrate nell’immaginario collettivo: l’intera sequenza inziale del matrimonio tra Steven e Angela (Rutanya Alda) descrive momenti di gioia e spensieratezza che – come intuiamo – potrebbero presto diventare un lontano ricordo per i protagonisti. Le tragiche premonizioni, infatti, sono soprattutto rivolte allo spettatore, a cominciare da quelle macchie di vino che marchiano l’abito da sposa di Angela, o dalla frase che Nick rivolge a Mike finita la cerimonia nuziale: “se mi succede qualcosa non lasciarmi, non lasciarmi laggiù… tu non devi lasciarmi laggiù Mike, me lo devi promettere.”

I personaggi di Walken e De Niro sono i due grandi protagonisti del film, uniti non solo da una profonda amicizia ma anche dall’amore che provano per la stessa donna, Linda (qui interpretata da una semi esordiente Meryl Streep, già totalmente a suo agio davanti alla macchina da presa).

Mike e Nick: alter-ego l’uno dell’altro. Loro due soli, che si giocano la partita al biliardo sulle note di Can’t Take My Eyes Off of You, cantata a squarciagola dagli amici nell’indimenticabile sequenza nel bar di John (George Dzundza).

Si ritroveranno faccia a faccia anche nel Vietnam, dapprima in una sfida per la sopravvivenza nella capanna dove sono prigionieri, e poi a Saigon, quando ormai il destino di entrambi sarà inevitabilmente già scritto. È la roulette russa a condurre le fila di questi incontri, un gioco al massacro dove si scommette la vita, puntandosi una pistola alla testa e premendo il grilletto.
Un colpo solo: questa è la logica, che per Michael rappresenta il solo modo di intendere la vita.

“Tu devi contare su un colpo solo, hai soltanto un colpo, il cervo non ha il fucile, deve essere preso con un colpo solo.
Altrimenti non è leale”.

Una metafora dell’ideologia militarista

Ma è anche la logica dell’America di quegli anni, una nazione militarista e disillusa, pronta a sacrificare la propria giovinezza nel nome di un’ideologia che semplicemente non si poteva esportare. Perché nella vita reale l’uccisione pulita non esiste e l’unico colpo efficace è quello rivolto verso se stessi.

In questo senso il messaggio lanciato dal regista risulta chiaro, anche se alla sua uscita furono molti i detrattori del film, che sostenevano che Il Cacciatore fosse un film di propaganda a favore della politica interventista degli Stati Uniti. Specialmente per il ritratto che Michal Cimino faceva dei Vietcong, spietati aguzzini che si divertono a sottoporre i loro prigionieri al gioco della morte (a tal proposito il giornalista d’inchiesta Peter Arnett scrisse che in 20 anni di guerra in Vietnam non c’era stato un solo caso documentato di roulette russa).

Il Cacciatore offre molteplici spunti di riflessione su temi quali l’identità, le radici, l’essere parte integrante di una comunità. Un senso di appartenenza che contraddistingue gli umori di tutti i personaggi – e che il film non perde occasione di sottolineare, durante una battuta di caccia, ad un matrimonio, o nello struggente canto di God Bless America, che chiude la narrazione del film lasciando un profondo senso di malinconia e tristezza.

Regia e cast d’eccezione

Una grande storia varrebbe ben poco senza una regia all’altezza di essa. E Michael Cimino raggiunge qui vette artistiche che in pochi sono riusciti a toccare. Movimenti di macchina fluidi, che spesso partono dall’alto con inquadrature zenitali per poi discendere sui nostri protagonisti, immergendo lo spettatore in una realtà in qualche modo già scritta, proprio perché mai spiegata.

Il parterre di attori è straordinario ed è come assistere ad una sfilata di alcuni fra i più grandi interpreti della Nuova Hollywood: Robert De Niro in primis, che di recente ha parlato del personaggio di Mike come del ruolo più impegnativo della sua carriera. Christopher Walken, il cui volto – così limpido ed enigmatico allo stesso tempo – avremmo potuto ammirare da lì in avanti. E poi, ovviamente, Meryl Streep e John Savage.

Una menzione d’onore la merita, però, un grandissimo John Cazale, nel ruolo di Stanley. L’attore di Boston ci regala qui l’ultima performance di una tanto straordinaria quanto purtroppo breve carriera. Riuscirà a completare le sue riprese (grazie all’intervento di De Niro, che pagò la copertura assicurativa di propria tasca pur di averlo sul set) ma morirà prima che il film venga ultimato.

Non ci resta, dunque, che consigliarvi di volare al cinema, per rivedere sul grande schermo in versione restaura questo capolavoro senza tempo.

a cura di
Alessandro Bertozzi

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