Il “Palestinian Museum of Natural History and Humankind” di Khalil Rabah approda a Torino

Il “Palestinian Museum of Natural History and Humankind” di Khalil Rabah approda a Torino
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La Fondazione Merz accoglie l’ambizioso progetto nomade dell’artista palestinese Khali Rabah che mette in mostra un’iniziativa focalizzata sulla critica alle pratiche di musealizzazazione intese come morte della storia. Nel Palestinian Museum of Natural History and Humankind umano e natura sono posti al centro di un processo di riscrittura e reinterpretazione della storia stessa attraverso le arti.

Nel suo ventesimo anno d’età il progetto itinerante Palestian Museum of Natural History and Humakind approda a Torino, a curarne l’allestimento, insieme allo staff della Fondazione Merz, è il suo ideatore Khalil Rabah (Gerusalemme, 1961; direttore artistico della Biennale di Riwaq). L’aspetto del museo muta forma in base allo spazio ospitante, l’edizione torinese rappresenta quindi un’evento inedito ed irripetibile pensato dall’artista palestinese in funzione degli spazi della Fondazioen Merz, con l’obiettivo di dare forma a un museo estemporaneo che cambia in relazione al luogo che lo accoglie.

Khalil Rabah, The Palestinian Museum of Natural History and Humankind, Fondazione Merz, foto di Andrea Guermani
Cos’è il Palestinian Museum of Natural History and Humankind di Khalil Rabah?

L’idea all’origine del progetto è quella di mettere in discussione il potere degli organi ufficiali nella scrittura della storia, la logica dell’archivio tradizionale e, allo stesso tempo, avanzare una critica alla metodologia espositiva dei musei che, influenzati dal contesto socio-culturale del paese di provenienza, divulgano il loro patrimonio con uno sguardo rigido e unilaterale. Khalil Rabah sottolinea la necessità di porsi degli interrogativi per fruire attivamente un contenuto o un’esposizione:

La collezione si articola seguendo planimetrie immaginarie o reali, arricchendosi di immagini in movimento, fotografie, piccole sculture, contenitori di olio ed espositori davanti cui fermarsi, per cercare quello che la storia non ha ancora detto, o ha detto male e deve essere raccontato di nuovo” (Claudia Gioia, curatrice della mostra)

L’esigenza di indagare la riscrittura della storia, evitando di assumere un solo punto di vista, appare legata alla vicenda personale dell’artista, al rapporto con la sua terra di origine la Palestina, eppure muovendosi e reincarnandosi nei centri più grandi dell’Europa, degli Stati Uniti, ma anche del Medio Oriente, il museo ha assunto un respiro internazionale ampliando l’indagine su fenomeni che accompagnano la storia dell’umanità da secoli, come i flussi migratori capaci di definire delle identità culturali specifiche.

La pratica artistica di Khalil Rabah spazia tra pittura, scultura e installazione per una trattazione lucida e attenta della storia, analizzandone le modalità narrative e le percezioni che generano. Temi fondamentali della sua produzione sono: il cambiamento, la memoria e l’identità che si intersecano nelle sue opere, creando nuovi modi di rappresentare le comunità e i rapporti che le compongono.

Una percorso attraverso il duplice significato del termine cultura

Inaugurata il 30 ottobre 2023 e visibile fino al 28 gennaio 2024, la mostra di Khalil Rabah racchiude le tracce di vent’anni di attività del Palestinian Museum of Natural History and Humankind, senza porsi lo scopo di fornire risposte granitiche, ma anzi suggerendo la sensazione di precarietà vissuta dalla Palestina. Volontà riflesse dall’approccio al percorso espositivo che prende forma da una monumentale struttura metallica dall’aspetto incompiuto, ancora circondata da impalcature e strutture temporanee. Il fragile equilibrio tra ecosistema e genere umano è il centro del museo, che vuole essere un luogo dove il visitatore percorre una cammino tramite l’arte come strumento di emancipazione dal “potere prestabilito”.

Khalil Rabah, The Palestinian Museum of Natural History and Humankind, Fondazione Merz, foto di Andrea Guermani

Il museo ha visto diverse interazioni in tutto il mondo e si identifica come un progetto in continuo divenire che al suo interno comprende dipartimenti come geologia, botanica e paleontologia. Difatti, simbolo di questa unione di intenti è l’olivo, elemento ricorrente dell’allestimento, che incarna una cultura mediterranea capace di valicare i confini, avvicinando così gli spettatori ad una dimensione sovranazionale. Il pubblico è invitato a passeggiare tra gli ulivi per richiamare alla mente suoni e profumi ancestrali in grado di unire sotto un unico cielo i popoli del mediterraneo. Sterili e aridi i limiti posti dalle politiche dei singoli paesi vengono messi da parte per lasciare spazio all’umanità, intesa nel suo significato più autentico.

Il percorso espositivo si conclude con l’opera neon Act III: Molding (2012), che compone la frase “In this issue: Statement concerning the institutional history of the museum” (qui si parla della storia istituzionale del museo), conducendo lo spettatore verso l’archivio consultabile In this issue. Act I: Painting (2011), elemento fondamentale che tiene insieme i fili del progetto.

a cura di
Francesca Calzà

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