Clemente Guidi: il traccia dopo traccia di “Sfumature”

Clemente Guidi: il traccia dopo traccia di “Sfumature”
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Si intitola “Sfumature” il nuovo EP di Clemente Guidi per Panico Dischi, un disco questo sincero e attinente al vero come chi lo ha ideato.

Noi lo abbiamo ospitato sui nostri canali per farcelo raccontare traccia dopo traccia, ecco come è andata!

Ciao Clemente, benvenuto, ti va di portarci all’interno del tuo nuovo EP?

Ciao a te in ascolto, sono Clemente Guidi, qui a raccontarti una storia. Da dove partire?

Nella musica c’è una linea temporale che come le pause sullo spartito, a volte incalza grandi attese. Ho dedicato il mio tempo in ascolto per raccontarmi sincero, chiaro con me stesso. Ora l’attesa è sbocciata, la nota è stata intonata e la musica suona.

Il mio primo EP, nato dopo questo viaggio, s’intitola “Sfumature”. E qui voglio raccontarti colore per colore. Ma ovviamente… perché fare le cose come ci si aspetta? Scelgo di raccontarti il mio viaggio, ma ho il desiderio di riavvolgere il nastro. Come a rivedere meglio di che si tratta.

Partiamo!

LENTO

Finisce così l’EP.
Pensare a un progetto più ampio della canzone in sé: racconto di un momento, è stata per me una prova dolce e salata.
Tra le mie idee passavano canzoni e messaggi amalgamati, poi però scelte, senso, tonalità.
Insomma, tempo. Cosa di più importante se no?
“Lento” è la canzone che dice: mi sono seduto, mi sono fermato. Ho ascoltato. Il vento, tenace e instancabile, le ore lente e noiose, le notti e i cieli spenti che non hanno più voglia di raccontarti. Il tempo è una giostra così sadica e gentile. Imparare ad affrontarlo è una sfida umana millenaria. Ma quando sei accorto, e apprezzi i rumori minuscoli, ti accorgi che c’è un segreto da scovare. Si rincorre tutto ciò che fugge, lo si raggiunge e si rimane soddisfatti della prestazione ma delusi dall’aspettativa.
“Lento” è una canzone di fine estate, quando la spiaggia si fa fredda e, pieni di contentezza per ciò che si è vissuto, si è anche profondamente tristi di nostalgia.
È la mia canzone preferita dell’EP. Perché si è realizzata in una maniera così autentica da sconvolgermi. Erano lunghi mesi che la portavo con me. Sempre rimasta incompleta. Doveva raccontare qualcosa di molto importante, da regalare a chiunque come me non si trova. Ma poi è arrivato tempo di registrare. Turo, il mio produttore, che è grandioso in questo, l’ha capito e si è fidato.
T: “Registriamo?!”
C: “Ma ho il testo solo fino a metà non c’è ancora il suo significato”.
T: “Non ti preoccupare. Registriamo!”
È pomeriggio ma non tarda a fare buio, e passo con gli occhi tutte le parole che ho buttato giù cercando il senso nel mezzo. Ok ce l’ho. Butto giù la seconda strofa ed eccola lì. Realizzata. Piena e vera senza compromessi. Sono stato lento, ma quanto è bello quando qualcuno lo capisce ed è lì, ti aspetta perché sa di che si tratta.
“Alla fine il giusto mezzo sta nel tempo, che ho sprecato, nel frammento più gelato che c’è qua, dalle parti mie!”

VOLA SOPRA I TETTI LA NOTTE

Questa canzone non so definirla. Non ho mai capito quando sia arrivata, perché, o come si sia incastrata nella mia testa. So solo che è arrivata. È nata così e non è mai cambiata.
Sono anni che la riavvolgo come una coccola. Mi trasmette serenità.  È così autentica nella sua semplicità da stupirmi. Quante notti ho passato con le mie turbe su questioni gigantesche del senso di tutto. Le notti sono un mio riparo tuttavia. Ho imparato anche a cullarmi di questi pensieri, fino a trovarmi sereno ammettendo che è così giusto.
Se mi svegliassi senza più domande sarei nel panico. E mi sembra quasi una stella polare l’idea di pormi domande. Spesso dico e mi dico, “Finché ti domandi, va tutto bene!”
Ed è vero, perché il contrario sarebbe uno scivolare distratto su qualcosa di troppo grande che ci riguarda. Nonostante questo dico: “Quando manca il cielo e manchi te”, parlando a una persona reale. Ed è ancora più bello, perché mi hanno salvato le persone. Quelle che mi hanno voluto bene e che di fronte al mio dare per scontato mi hanno fermato e mi hanno detto: “Parliamo”. Una piccola gemma. Un regalo arrivato e un regalo che voglio lasciare a chiunque lo troverà.

DIVERSO

Qui mi fermo e penso, perché si fanno cose così assurde? Perché devo mettermi su un palco di fronte ad altra gente, espormi e raccontarmi così sensibile, quando sono consapevole che non sarò esente dai giudizi, dai pensieri diversi dal mio e magari anche dalla derisione di qualcuno? Penso. Perché, seppur io non voglia, le canzoni mi scuotono la spalla e mi chiedono di girarmi e ascoltarle? Come faccio a stare nel mezzo tra chi sono e tutti questi pensieri? “Diverso” l’avevo pensata come un dialogo, tra la presunzione di chi dà tutto per fumo nero e una voce limpida che vive per vivere, per non rendere conto della sua esistenza. Che la si veda così o no, è una canzone che alleggerisce il senso di fare le cose tanto per farle. Esistere perché si esiste.

Un verso fa così: “A tutti i santi che ho sognato nella notte, quando ho chiesto come fosse, fare quello che ci va”, come se si trattasse del più grande sogno che spesso teniamo a bada, contenuto, per non scomodare le abitudini del pensiero di nessuno.

Quando l’ho fatta sentire a Turo ne è rimasto colpito. Credo che si sia riconosciuto in questa canzone e ci abbia messo una sua impronta importante. Nel mezzo della canzone e quindi a metà esatta dell’EP, c’è questo momento di suoni amalgamati e amalgamanti, un po’ tetri e un po’ confusi. Sembra il vociferare della gente in sottofondo, l’opinione di tutti. Poi di nuovo un chiarore, un suono più dolce che nasce limpido. Io ci ho visto un’altra immagine bellissima, stagliata di fronte a me nelle fasi dei primi ascolti. L’albeggiare del sole del nord, delle terre fredde che ho vissuto nel mio periodo in Nord Europa. Quando il sole tracima l’ultima sua parte e sbuca di fronte a te, è una sensazione di totalità così unica e incredibile, come se tutto tornasse alla vita in un bagliore di speranza totalizzante.

Si riavvolge tutto ciò che sono io: le mie appartenenze, le musiche del cuore, i sorrisi, la tenerezza, gli occhi che si amano, la scuola, le origini del nostro cercare.

È CHE…

Seconda canzone dell’EP. Secondo singolo ad anticiparlo.
Canzone dell’estate, dei baci, dei tramonti, del finestrino giù, la strada che scivola e tutte le emozioni della gioia incontenibile. Come te lo spiego, quando sento tutto così forte, vivo e intenso, fermato tra le labbra che chiede solo di esplodere e di esprimere tutto ciò che è?

Così “È che…”: è che voglio dirti che sono contento, che sono grato, che sono estasiato, è che ho amato, è che ho imparato. Potrei essere pieno di “è che…”

Qui canto tutta la mia pienezza per aver vissuto momenti e situazioni di una bellezza spropositata, di aver trovato al mio passo persone che nutrivano questo incanto. E poi momenti di fermo immagine. Di ricordi. La bellezza è questo. È avere il cuore in tiro, tra il dolore e il piacere, e sentire tutte le derivazioni sensoriali di un muscolo che sembra poter fare tutto da sé, senza le nostre cure. È invece il muscolo che richiede più attenzioni, perché quel tiro è segnale. È la penna che disegna la mappa da seguire. Quando lo trovi, impari a riconoscerti e segui le fibrillazioni. Ti stai educando ai sapori del bello.

Io questi sapori voglio cantarli, che è un po’ la pace del mio di cuore. Così nasce questo pezzo, pezzo di me.  Pieno di vissuto che ha seguito queste mappe.

SFUMATURE

Benvenuta vita, che mi hai seguito fino a qui.
Ho intrapreso un viaggio dentro e fuori di me. Sto cercando di non sedermi sulle consapevolezze, ma di impararne uno spirito. Di rimanere sull’attenti delle cose preziose.
Questo brano nasce una volta ancora dalla spontaneità, che è una mia grande amica quando so trovarmi. Seguo un motivo di strumenti costruiti a sensazione, uno dopo l’altro, uno sopra l’altro. Devo dire una cosa importante, accendo il microfono e canto.
Niente di scritto. Tutto esce dalla mia bocca, come un messaggio pieno di senso che stavo cercando di sentire. Questa è “Sfumature”. La canzone che intitola il mio primo EP.

Siamo di fronte agli anni fragili. Siamo tutti così al riparo. Impauriti, persi, instabili, delusi e affranti. C’è qualcosa che non lo è. Il cielo è sempre lì. Io ho una fiducia ancestrale nelle cose troppo più grandi noi. Mi sembrano grandi guardiani dei segreti profondi. Dell’arte dell’esistenza. E sono tutto fuorché un bianco e un nero. Sono osservatori delle epoche, sono la resilienza delle catastrofi e dopo tutto questo restano di fronte a noi a illuminarci di colori di intensità impareggiabile. Mi pare ovvio che ci stiamo sbagliando noi. Le cose belle sono certamente lì. Sono le sfumature.

Ah! Dimenticavo, mi sono divertito la faccia nel mezzo!

a cura di
Redazione

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