Masterclass Tim Burton: al Cinema Massimo di Torino – mercoledì 11 ottobre 2023

Masterclass Tim Burton: al Cinema Massimo di Torino – mercoledì 11 ottobre 2023
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La Masterclass è stata tenuta da Tim Burton, dopo aver ricevuto dal Museo Nazionale del Cinema di Torino l’importante riconoscimento, rappresentato dal Premio Stella della Mole, per il suo contributo visionario e innovativo alla storia del Cinema e per il suo stile inimitabile.

Per ragioni di capienza, l’evento è stato spostato dalla tradizionale Aula del Tempio al vicino Cinema Massimo. Per chi se la fosse persa, la Masterclass è ancora disponibile On Demand sulla nuova piattaforma ufficiale del Museo del Cinema, InTO Cinema, fino alle ore 23:00 del 29 ottobre, in lingua originale e al costo di 3 Euro.

Introduzione alla Masterclass

Quella con Tim Burton è stata una Masterclass emozionante e originale, come non poteva essere altrimenti, trattandosi di uno degli artisti più geniali e poliedrici della storia del Cinema.

Presieduta dalla giornalista, saggista e critica cinematografica Piera Detassis, si è svolta successivamente all’incontro col grande pubblico, lungo il tappeto viola appositamente steso, dal Museo del Cinema al Cinema Massimo.

Tim Burton non si è risparmiato, fermandosi con la gente lì raccolta per omaggiarlo, ricevere autografi e scattarsi dei selfie insieme a lui. Rimanendo a lungo col pubblico, la Masterclass è iniziata dopo l’orario previsto e, nonostante la stanchezza, Tim Burton ha espresso tutta la sua riconoscenza per la gestione e l’organizzazione del Museo del Cinema, e il suo ringraziamento al pubblico. Un artista che, per fortuna, ha saputo mantenere dentro di sé la fanciullezza e l’animo genuino, che lo ha portato a rivoluzionare l’Arte e il Cinema, con creazioni uniche ed inimitabili.

La Masterclass non poteva che iniziare al ritmo di “Banana Boat”, nota colonna sonora di uno dei suoi film maggiormente conosciuti e celebrati, Beetlejuice, di cui si è tenuta alla fine della giornata, per i fortunati possessori di un biglietto, la proiezione al Cinema Massimo.
Anch’essa presentata ed introdotta da Tim Burton.

Come ricordato da Piera Detassis, la canzone racchiude in sé tutto il cinema burtoniano: possessione del corpo, penetrazione fra fantasia e realtà, unione fra esseri umani e Aldilà. Tutte classiche tematiche della sua cinematografia.

Burton ha detto che, nella canzone, cercava una mescolanza fra un canto festivo e una possessione demoniaca. Il risultato è senza dubbio ben riuscito.

Il disegno come base fondamentale

Tutto per Tim Burton parte dal disegno, modalità per lui unica per poter tirare fuori le idee e la coscienza della sua immaginazione. Si rivela essere per lui anche un processo terapeutico, e un mezzo con cui calmarsi ed esprimersi pienamente. Nonostante dica con modestia di non essere molto bravo a disegnare, la sua arte ora è esposta al Museo del Cinema.

Una mostra ricca di bozzetti, disegni realizzati nei quaderni, sui blocknotes degli alberghi o sui tovaglioli dei ristoranti nei suoi viaggi intorno al mondo.

Per Burton, infatti, eterno artista irrequieto, ogni superficie o pezzo di carta può trasformarsi in una tela per dipingere e raffigurare i sogni e gli incubi del suo subconscio.

Un po’ come Federico Fellini, ricordato durante la Masterclass, che è noto tenesse sul comodino un blocknotes per i sogni, da trascrivere al risveglio.

Molto in comune c’è fra i due artisti. Burton dice di amare il cinema di Fellini e in generale il cinema italiano, fra cui ha ricordato anche Mario Bava, da quando vedeva proiettati nelle sale di Burbank, durante la sua infanzia, i film del nostro Paese.

Disegnare è anche stato da sempre un modo per evadere dalla quotidianità del luogo natio, e per esprimere liberamente la sua originalità.

Al Museo del Cinema è ora possibile ammirare, fino al 7 aprile 2024, l’intero suo universo creativo, composto anche da schizzi, storyboard, fotografie, sculture, video ed installazioni.

Per un totale di oltre 520 opere che, attraverso un viaggio dai primi film d’animazione ai film hollywoodiani in live-action, ne abbracciano l’intera carriera.

Affrontare la diversità

Fin dai primi anni si sentiva diverso dalla gente comune intorno a lui.

A partire da Edward mani di forbice, personaggio a cui fra gli altri, come anche Jack Skellington, si sente ancora maggiormente legato, ha sempre cercato di creare figure in cui identificarsi. Outsider, tristi e solitari, simbolo dei sentimenti reali che provava, e di altre persone da lui viste, considerate diverse.

All’epoca, racconta, la diversità non era molto in voga, si veniva separati da tutti, trovandosi ad essere isolati dal mondo.

Ora, dice, anche forse grazie al suo cinema, si affronta e si mostra maggiormente la diversità. Non se ne subiscono più solamente gli effetti, derivati dall’esclusione e dall’emarginazione, ma vi è una maggiore ribellione. Anche la politica verso i diversi, o verso chi è ritenuto tale, è cambiata, e più evoluta.

In ogni film, ha sempre quindi creato un personaggio in cui identificarsi e attraverso il quale poter essere davvero se stesso, perché altrimenti non sarebbe stato possibile per lui comunicare agli altri passioni e sentimenti veri.

Scherzando, ha poi detto di essere lui il suo mostro preferito.

Mostri in primo piano

I mostri sono da sempre al centro del suo universo, interessanti da mostrare, perché alla fine sono come noi. E, per la loro unicità, riescono a percepire la realtà in modo più autentico.

Anche in film come Batman, per il cui personaggio ha inventato una nuova figura di supereroe, molto diversa dai colori sgargianti e dalle calzamaglie in voga nei classici film/serie anni ’80, ha cercato le persone dietro alle maschere.

Per personaggi come lo stesso Batman, o cattivi come Joker o il Pinguino, infatti, era molto più rilevante per lui indagare sul significato della maschera, e su ciò che si cela sotto di essa.

Non specificatamente interessato alla tematica fumettistica, le immagini e i sentimenti celati dalla maschera, gli incubi e i sogni dei personaggi e le loro motivazioni sono state la spinta per la creazione dei due film.

Lottare contro l’industria predominante

Un terzo Batman era in programma, ma non è stato mai facile per Tim Burton vincere nell’industria di Hollywood. Dapprima non apprezzato dalla Disney, ha dovuto ritagliarsi un proprio spazio nel mondo del cinema, sopravvivendo alle difficoltà e alle lotte per riuscire ad affermarsi.

I film, dice, non sono mai facili, è normale che crearli sia difficile. Richiedono passione e tempo, ed è comunque sempre una sfida eccitante, alla quale vale sempre la pena dedicarsi.

Come Ed Wood, considerato il peggior regista della Storia del Cinema, protagonista di uno dei primi film di Burton, la sfida è sempre fra l’arte, derivata dai sentimenti, e i desideri dell’industria.

Ed Wood è amato da Burton, fin da quando ha visto in televisione Plan 9 from Outer Space, del 1959. Vivendo a Burbank, nelle vicinanze di un cimitero, dove da bambino andava a giocare, si vedeva ben rispecchiato nelle storie create da Ed Wood.

Considerato da Burton un artista, mosso da una passione forte ed incredibile, metteva tutto se stesso nella sua arte, dedicandosi ad essa pienamente. Questa passione è ciò che per lui veramente conta, al di là dei risultati, positivi o meno che ne possano derivare.

Burton si sente fortunato del successo che con gli anni ha ricevuto, ma ricorda anche come più volte sia finito nella lista dei film peggiori dell’anno, e mai fra i migliori.

Comunque non sono per lui importanti le classifiche, le recensioni neanche le legge.

L’Arte e la passione che la muove sono superiori a qualsiasi critica.

Caso esemplare: Alice in Wonderland

Una delle sfide più complesse è stata in particolare la realizzazione di Alice in Wonderland, film costruito come un puzzle, con differenti tecniche. Animazione al computer si unisce ad altri effetti speciali, rappresentando la combinazione più strana con cui Burton abbia mai dovuto lavorare.

Al punto da averne potuto vedere il risultato complessivo solamente alla fine, in post-produzione, talmente era caotico e composto da svariati effetti digitali e parti diverse, fra loro separate.

Nonostante il caos della realizzazione, afferma che è comunque eccitante la creazione di un film.

Come già osservato, l’Arte è impossibile da controllare, come il Tempo.

L’artigianalità della forma artistica

Altra figura, senza dubbio fondamentale per il suo Cinema, è Ray Harryhausen. Di lui ha ricordato il film Jason and the Argonauts, del 1963, rivoluzionario e sperimentale nel campo dell’animazione e della stop-motion. La famosa battaglia degli scheletri sarà poi impiegata da Burton molte volte nel corso della sua carriera, e questo film per lui racchiude l’essenza della forma artistica, dato che in esso è possibile sentire la manualità, e l’azione artigianale della creazione.

Burton è da sempre all’interno di questo percorso, dato che apprezza di più il processo complesso, ma bello, dell’animazione tradizionale. Maggiormente legato ai set, alla presa diretta, ai pupazzi, al make up, e alla vecchia maniera di fare cinema, con ad esempio l’impiego di coperture o luci particolari per il soffitto (come per Sleepy Hollow), ha comunque utilizzato anche il digitale.

Ogni mezzo, infatti, ha per lui aspetti positivi e negativi, anche se essere sul set dice facilita l’effetto di realtà e un maggior rilievo sugli attori in scena.

Anche per Big Fish, fra i film che gli ha richiesto più trasporto emotivo, a causa della recente morte del padre, pensando al quale il film è stato creato, si dà ampio spazio all’utilizzo di oggetti veri, così da restare il più verosimile possibile. Grazie all’uso di tecniche antiche è più facile unire finzione e vita reale, che viene percepita in modo più autentico.

Incontri fondamentali

Essenziale per Tim Burton è stato sicuramente anche Vincent Price, con i cui personaggi è cresciuto. Si dice essere stato davvero fortunato a poterlo conoscere, scambiando inizialmente con lui idee e ricevendo supporto per il suo lavoro. Per poi inglobarlo nel suo Mondo, nel modo unico e magico che solamente a Burton sarebbe stato possibile realizzare.

Si dice poi essere molto grato e riconoscente, fortunato ad aver avuto persone stupende che lo hanno aiutato ad esprimere e rappresentare le sue idee e le sue storie, attraverso uno scambio chimico di comuni sentimenti e personalità, a partire da Johnny Depp, Winona Ryder, Michelle Pfeiffer, fino ad arrivare a Jenna Ortega.

In particolare, poi, viene ricordato il rapporto con Danny Elfman. Entrambi, infatti, si sono avviati contemporaneamente nel mondo dell’arte, come anime legate e connesse da affinità spirituale.

Elfman, e la sua musica, sono quindi da sempre nei film di Burton, come un ulteriore attore o personaggio, protagonista in ogni suo progetto.

Conclusioni

Non sono mancati momenti simpatici, in cui sono stati ricordati aneddoti interessanti, come il fatto che Burton copra gli specchi a casa, poiché non ama vedersi. Per questo sta dietro le quinte, e si è tagliato da alcuni film dove appariva.

Se poi venisse fatto un film sulla sua vita? Risponde che vorrebbe essere interpretato dal suo cane, di cui, per la privacy e per non dargli troppa attenzione, non ha rivelato il nome.

Non a caso, comunque, anche i cani sono da sempre rilevanti nei suoi film.

L’intera Masterclass è stata intervallata dalla proiezione di scene di vari film, per cui era evidente l’emozione provata da Tim Burton, nel rivedere le sue creazioni. Come se le guardasse per la prima volta, quasi non fossero state inventate da lui. A tal punto le sue creature hanno assunto vita propria, da essersi separate dall’artista, calandosi nello spettatore in modo unico e ogni volta diverso.

Progetti futuri

Infine, sono stati richiamati i progetti futuri.

Il seguito di Beetlejuice, per cui ha rivelato che la lavorazione è ultimata all’80%, attualmente bloccata dagli scioperi. Non sarà un vero e proprio sequel, ma si dimostrerà specialmente interessante vedere cosa sia successo alla famiglia dopo 35 anni. I personaggi del primo film verranno infatti rivisitati, in modo da mostrare i cambiamenti nella loro vita.

Nella seconda stagione di Mercoledì verrà poi dato più ampio spazio a Morticia, e in generale alle dinamiche familiari degli Addams.

Emblema e punto di arrivo delle svariate famiglie strampalate e disfunzionali, che abbiamo imparato ad amare nei suoi film. Come del resto si mostra essere per Burton qualsiasi famiglia, anche reale.

Magari possono inquietare e far paura, ma le sue storie non sono mai state create solo per adulti o per bambini, ma per il cuore, sempre al centro della sua immaginazione.

Burton ha concluso la Masterclass dicendo di avere un segreto, mai rivelato a nessuno: lui è un ROBOT! Pertanto, non ha bisogno di nessuna Intelligenza Artificiale, è lui un’Intelligenza Artificiale!

a cura di
Matteo Sisti

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