“Leandro Erlich. Oltre la soglia” in mostra a MIlano

“Leandro Erlich. Oltre la soglia” in mostra a MIlano
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L’esposizione “Oltre la soglia”, dedicata all’artista argentino Leandro Erlich, arriva per la prima volta in Europa, a Palazzo Reale, per presentare alcune delle tendenze più innovative del panorama artistico contemporaneo

Il percorso di ricerca artistica di Leandro Erlich si riassume, all’interno della mostra, in diciannove opere concettuali che sdrammatizzano il peso filosofico con il coinvolgimento dello spettatore: divertito e confuso dalle prospettive e da effetti ottici illusori, questo si protende incuriosito per poi scoprire l’inganno.

Brancolando in questo limbo d’illusione che ha sede a Palazzo Reale, lo spettatore crede di trovarsi davanti a contesti familiari: un ascensore, ad esempio, le cui porte si aprono a intervalli regolari lasciando scorgere un video della stessa grandezza, volto a riprodurre persone e azioni ordinarie.

Noi siamo invisibili, irrilevanti per le vite degli altri sconosciuti che non guardano mai verso di noi. L’ascensore si chiude e si apre di continuo riproponendo il topos della circolarità della vita: nessuno sale, nessuno scende ma intanto noi continuiamo a premere quel bottone.

La manipolazione della percezione

Seguiamo con Window captive reflection, uno scorcio sulla routine di un atelier. Guardiamo quest’opera da una finestra rotta che riflette gli alberi del giardino di fronte il cui vetro contiene la memoria di due spazi contrapposti, che vengono conciliati all’interno di un’unica “tela”.
La volontà che si cela dietro a quest’opera è quella di sintetizzare all’interno di un confine piatto e rettangolare, il tempo e lo spazio, in tutta la loro più che tridimensionale complessità.

The Cloud è la terza opera del percorso che cattura l’impalpabile materialità delle nuvole: diverse tavole trasparenti sono poste l’una davanti all’altra con impresse delle stampe molto realistiche di nuvole che, sovrapposte, creano una tridimensionalità che manipola la percezione dello spettatore.

Un altro caso di manipolazione percettiva è quella di The Rain: lo spettacolo di lampi e pioggia torrenziale che batte contro alla finestra disorienta e inquieta lo spettatore. Quest’opera è la prima in cui oltre all’inganno, al gioco e al concetto si cela un sentimento che si ripresenterà più o meno costantemente anche nelle prossime opere: la malinconia.

L’inganno del pregiudizio

Una delle istallazioni più affascinanti della mostra è, a mio avviso, Port of Reflection: tre barche sembrano galleggiare sull’acqua. In realtà queste, sepolte nel buio, si muovono lentamente grazie al programma di un computer e noi spettatori, spinti dal preconcetto ingannevole, ci illudiamo che quell’ondeggiare sia dovuto alla presenza dell’acqua.

Subway, El Aviòn e Night Flight sono come ritratti incredibilmente realistici dell’annoiata inquietudine che accompagna i brevi viaggi in metro o i lunghi voli, mentre con The View curiosiamo in maniera voyeuristica da una tapparella i vicini intenti in azioni il più delle volte imbarazzanti.

Segue L’Ascensore, estratto dal suo contesto e slegato da tutto ciò che lo circonda. La curiosità ci spinge a guardare all’interno e ancora una volta la percezione prevale sulla logica: attraverso un gioco di specchi sembra come se il vuoto dell’ascensore fosse estremamente infinitamente profondo.

La metafora di Blind Window

Una delle opere più rappresentative è poi Blind Window: una finestra sigillata da mattoni che non svela niente, non è un’apertura sul mondo ma una chiusura. Il vetro diventa parete e i mattoni diventano finestra. Un oggetto ancora una volta comune e privato dal suo contesto per sfidare lo spettatore e stimolarlo ad interpretare l’invisibilità delle relazioni tra spazio pubblico e privato.

Ancora con Changing Rooms, una delle opere più immersive dell’artista.
Quando il pubblico entra nel camerino elegantemente arredato trova specchi a grandezza intera istallati alternatamente sui tre lati. L’esperienza è del tutto paragonabile a quella di Alice che si perde nello specchio e non è più in grado di distinguere i lati. Ci si perde dunque in un labirinto intrecciato di trenta spogliatoi.

Stessa sensazione disorientante è provocata dalla rampa di scale, Infinite Staircase, paradossalmente orizzontale in cui, per l’ennesima volta, la dimensione della profondità è ricreata dall’uso sapiente degli specchi.
Con quest’opera Erlich elimina il ruolo di una scala per far scendere e salire le persone, liberandola dal suo limitante contesto e dalla sua costringente funzione architettonica, donandole una vita nuova: quella volta a rappresentare una filosofia.

L’infanzia fantasma

L’opera più suggestiva che io abbia mai visto in tutta la mia vita è Classroom, dove il pubblico è di fronte a due stanze divise da un vetro. La prima stanza è disadorna e arredata con complementi neutri come semplici panche e tavoli che invitano a sedersi mentre la seconda, dall’altra parte del vetro, è la riproduzione minuziosa di un’aula di scuola fatiscente e congelata nel tempo. Quando gli spettatori entrano nella stanza neutra si riflettono nel vetro e appaiono proiettati nell’altra come fantasmagoriche apparizioni del passato.

Come un invito ad attingere ai ricordi del passato, all’ingenuità dell’infanzia immersa in un’atmosfera cupa e nostalgica, quell’istallazione ci ha fatto rivivere quei momenti, ormai troppo lontani per ricordarci come eravamo.

Sensazioni

Uscita dalla mostra mi sono sentita come quando dopo qualche minuto a testa in giù mi rimetto in posizione eretta. Esattamente la stessa situazione. La testa mi faceva male e avevo lo stomaco sotto sopra.

Dopotutto abbiamo vissuto, per poche ore, in un mondo parallelo dove tutto ciò che nella nostra quotidianità definiamo ordinario, utile e convenzionale, lì è ribaltato e astratto.
Le scale e gli ascensori non portano da nessuna parte, non si vede nessun paesaggio dalle finestre, tutto funziona al contrario, tutto è simbolo, tutto è sintesi del pensiero di uno degli artisti più rivoluzionari della storia del concettualismo.

Conclusioni

L’arte contemporanea è una sfida, ti mette alla prova, ti accoglie in sé e poi ti inganna, rimette tutto in discussione: preconcetti, certezze, opinioni. Ti stravolge perché l’arte contemporanea è esperienza ed è intensa perché la vivi. Sconfina oltre le quattro cornici, non imita la realtà ma la distrugge, la ricrea, la riadatta, la corrompe e Leandro Erlich ha fatto proprio questo.

Le sue opere hanno tratto ispirazione dalla realtà con tutto ciò che ci è familiare ma la sua grandezza registica l’ha riadattata ricreando delle sceneggiature. Ha scelto lui chi dovesse esserci dietro alle porte dell’ascensore, dietro alle tapparelle delle finestre.

Lui, elevatosi alla potenza creatrice di Dio, si è misurato con lui e ha creato un universo in cui tutto va al contrario, e le leggi del nostro mondo nel suo non valgono niente.

L’imprevedibilità delle sue architetture ci devono fare riflettere sul concetto del pregiudizio: nulla è stato creato per essere come la società gli impone, c’è un mondo dietro a tutte le cose e a tutti noi, un mondo pieno di sfumature che ci rende unici e poco adattabili alle costrizioni.
Non siamo ostriche legate per sempre ai nostri scogli, come diceva Verga, ma possiamo staccarcene e vivere la vita che vogliamo senza alcun preconcetto.

a cura di
Benedetta D’Agostino

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Benedetta D'agostino

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