“Little Boys”, l’inesauribile fascino del minimalismo

“Little Boys”, l’inesauribile fascino del minimalismo
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Un album che più che un debutto discografico rappresenta un vero e proprio bignami delle radici punk blues del power duo italiano, formato da Laura “Elle” Bertone e Sergio “Esse” Pirotta.

Less is more. La semplicità è preferibile alla complessità. Puntare all’essenziale per ciò che si vuole creare. Questa frase, cogitata per la prima volta dal noto architetto tedesco nonché padre del razionalismo Ludwig Mies van der Rohe è un concetto che nell’attuale società dell’apparire si sta perdendo sempre di più. Un modus vivendi e operandi ormai disperso in un insipido mare di sovrastrutture e orpelli il più volte inutili.

In poche parole: ormai conta di più la forma della sostanza. Trovare artisti, soprattutto nell’attuale panorama musicale, che scelgono di eliminare il superfluo per indirizzare chi li ascolta verso l’anima viva e cruda del proprio sound è un’impresa davvero difficile.

In Italia, uno dei nuovi baluardi di questa rara essenzialità musicale sono sicuramente i Little Boys, power duo composto da Laura “Elle” Bertone e Sergio “Esse” Pirotta e nato “per puro caso” su un volo aereo di ritorno dal Giappone nel 2020.

Un progetto che ha come spina dorsale del proprio sound il ritorno alle radici della musica contemporanea, alla visceralità di generi come il blues di Son House e Blind Willie McTell e il proto-punk di Stooges ed MC5.

Una commistione di generi che ha portato la band a dirigersi verso sonorità poco ortodosse ma incredibilmente seducenti che ricordano la grezza energia di gruppi (anche loro composti da soli due elementi) come Flat Duo Jets, The White Stipes e i nostrani Bud Spencer Blues Explosion.

Rough is beautiful

Il risultato di questa ricerca sonora “per sottrazione” è “Little Boys” (2022), l’omonimo album d’esordio della band. Sedici tracce in cui il duo ha deciso di riversare la propria attitudine tanto eccentrica quanto riflessiva: sfumature caratteriali che ricalcano le personalità distanti ma complementari di “Elle” ed “Esse”.

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Little Boys, “Little Boys” (2022)

Dallo scatenato garage punk di “Esagera” agli echi delta blues di “DAREXAVERE“, passando per la dolce e riflessiva ballad “Sensucht” e il baroque pop de “Il profumo che rimane“, l’esordio discografico dei Little Boys è una vera e propria scarica di adrenalina intervallata da momenti più distesi che al posto di “spompare” il mood complessivo dell’album risultano essenziali nel dargli un’ulteriore profondità e fascino.

Un contrasto che ben riflette le due eclettiche e complementari anime che formano questa giovane ed entusiamsnate band.

Ciao ragazzi è un piacere avervi qui a The Soundcheck! Leggendo un po’ la vostra biografia si scopre che il progetto Little Boys è nato addirittura in Giappone. Ci raccontate come sono andate le cose?

Ciao! È davvero un piacere essere intervistati dalla vostra rubrica, noi ci siamo incontrati su un volo aereo per puro caso, quando ancora non eravamo un duo, ma ci accomunava la ricerca di qualcosa, lo stato mentale in cui ci trovavamo era davvero molto simile: eravamo entrambi in piena crisi interiore.  

Nonostante questo, abbiamo proseguito il viaggio in solitaria, eravamo troppo deboli per unire le forze in quel momento, volevamo diventare più forti e dopo aver parlato a lungo su quel volo abbiamo fatto una scommessa, non possiamo rivelarla, la realizzazione di questa scommessa (promessa) è ancora un’incognita, ci siamo rivisti tempo dopo con l’idea di fondare il duo. 

Il Giappone è stato come un battesimo ad una nuova vita, sono successe cose davvero strane, presto torneremo per un Tour e non vediamo l’ora! 

Da dove deriva il nome del vostro gruppo? Qual è il significato di “Little Boys”?

Little Boys significa “ragazzini”, ci sentiamo come degli eterni Peter Pan, sogniamo, accettiamo l’errore e giochiamo senza frustrazione o risentimento.

L’idea della band è sempre stata questa, creare senza preconcetti, con quello che abbiamo e che sappiamo fare, creiamo e basta, non ci importa se la parte è troppo lunga, se l’accordo non fa parte della tonalità, se il suono è troppo sgangherato, non vogliamo conformarci quindi siamo musicalmente privi di morale. 

La struttura di base del vostro sound è formata perlopiù da tre elementi: la voce, la chitarra e la batteria. Quanto è limitante e stimolante questa essenzialità sonora nella composizione dei vostri brani?

Bella domanda, non è assolutamente limitante, anzi, questi vincoli ci hanno aperto a delle possibilità,  le regole pratiche possono accelerare il processo creativo, paradossalmente puoi fare di più con meno, eliminando il superfluo, la non identificazione è il vero pericolo, il messaggio deve essere chiaro e diretto.

Le infinite possibilità uccidono la creatività, mentre la costrizione agevola tale processo, la ribellione nata dalle nostre stesse regole è qualcosa di interessante, non esisterebbe se fossimo totalmente liberi ad ogni stimolo nel processo immaginifico. 

Elle: Ho due chitarre che non sono affatto le migliori chitarre sul mercato e tra l’altro sono anche dure e scomode, difficili da suonare, ma è questo il bello, ho dovuto sottomettere le mie chitarre e non sottomettermi a loro.

Fare con quello che hai a disposizione, qualcuno potrebbe interpretarlo come miope o limitante, ma noi crediamo sia esattamente l’opposto: è liberatorio e focalizzante. Quando si tratta di innovazione i vincoli generarono creatività, la necessità è la madre delle invenzioni. 

Rispetto alla maestosità presente in moltissime produzioni della musica pop e rock contemporanea, il vostro suono così scarno è davvero una mosca bianca. Credete che nel panorama attuale ci sia bisogno di un “ritorno alle basi”? A sonorità più grezze ma vitali come il blues e il garage rock?

Onestamente credo ci sia bisogno di personalità, in un mondo dove l’informazione è mastodontica e dispersiva la focalizzazione può fare la differenza costruendo la personalità, di questo c’è bisogno.

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I Little Boys in un’immagine tratta dal videoclip di “Esagera”

Qui fuori è pieno di specialisti, dottori e scienziati del suono più conforme possibile agli standard qualitativi richiesti, c’è l’educazione alla voce necessaria, si, finché non diventa stereotipata e ridondante e ridicola per certi versi, tutto molto noioso, in un mondo di tecnicismo c’è bisogno dell’imprevisto, c’è bisogno di “ carisma “.

Nelle sedici tracce del vostro disco d’esordio è lampante la grande alchimia che corre tra di voi. Quanto è importante l’aspetto dell’istintività nei vostri lavori?

L’istintività gioca il ruolo principale, essendo eterni Peter Pan ci lasciamo trascinare dal momento senza chiederci o indagare troppo su quello che sta accadendo. Fotografiamo semplicemente il momento, pensare troppo è sempre un grosso errore di calcolo. 

Avete uno stile molto definito: dal vostro look, rigorosamente fissato su due colori, il bianco e il nero, alla scelta dei vostri pseudonimi, Elle ed Esse, che richiamano le iniziali dei vostri veri nomi. Oltre alla musica, quanto è importante per voi avere anche una forte identità scenica?

Proprio così, secondo noi la musica rappresenta l’identità, non può esserne  esente, crediamo che rappresentare e intrecciare musica e identità sia la chiave necessaria perché tutto il tuo messaggio veicolato abbia un impatto maggiore, quando c’è sintonizzazione sotto tutti gli aspetti c’è comprensione, possibilità di ascolto e di comunicazione, è fisica. 

Oltre ai forti richiami al garage rock di power duo come i Flat Duo Jets e gli White Stripes, ci sono altre band o artisti che hanno influito nel vostro sound?

Adoriamo entrambe queste band per l’appunto, amiamo tutto il rock di Detroit, così ruvido e vibrante, sul nostro suono hanno influito sicuramente artisti come  Iggy Pop, Nirvana, Lou Reed,  poeti come Fabrizio De André e Bob Dylan, ultimante stiamo ascoltando un sacco di J-rock e musica Giapponese, questo influirà sicuramente sul nostro prossimo album, quindi, rimanete sintonizzati.

a cura di
Luca Barenghi

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