“Fattoria degli animali”, sempre attuale contro ogni totalitarismo
Dopo la recente crisi di governo, gli italiani saranno chiamati al voto, anticipatamente, il prossimo 25 settembre. Non vi è, dunque, libro più idoneo da consigliare per ispirare l’animo dell’elettorato attivo se non la Fattoria degli animali.
La “fiaba” di Orwell riesce, infatti, fin dalla prima riga, ad esprimere tutta l’amarezza di una politica, intesa come bene comune, allo sbando.
Allo stesso tempo, un capitolo dopo l’altro, riuscirà ad aprire gli occhi anche al più accecato dei lettori (e degli elettori). Con parole semplici e dirette riporterà al centro i valori umani ponendoli sul gradino più alto delle priorità, degradando il mero “potere” a solo mezzo della collettività per raggiungere il bene comune.
La storia
Fattoria degli animali è la storia, manco a dirlo, di una fattoria e dei suoi abitanti. Gli animali, soggiogati da sempre dall’uomo, decidono di ribellarsi alla creatura che sfrutta il loro lavoro e le loro carni fino alla morte, nella convinzione di trovare così una vita migliore.
“Ebbene, compagni, qual è la natura di questa nostra vita? Ammettiamolo, le nostre vite sono miserande, laboriose e brevi. Nasciamo, ci danno da mangiare quel tanto che basta a mantenere il respiro nel nostro corpo, e chi tra noi è in grado di farlo è costretto a lavorare fino all’ultimo atomo delle sue forze; e non appena la nostra utilità termina ci macellano con odiosa crudeltà. (…) L’Uomo è il solo vero nemico che abbiamo. Togliete dalla scena l’Uomo e si abolirà per sempre la causa principale della fame e del lavoro eccessivo.”
Gli abitanti del Maniero vengono convinti dal maiale Major che, con un discorso lungo ben sei appassionanti pagine, li sprona a prendere l’apocalittica decisione: “ribellione!”.
Dopo tre mesi di addestramento gli animali si liberano del loro padrone, che fugge disperato e sorpreso dalla forza inarrestabile di quell’unione.
La fattoria è loro. Sono liberi.
Iniziano così tempi ridenti e gioiosi. Gli animali, da soli, sanno darsi compiti e doveri affinché la fattoria riesca a soddisfare i bisogni di tutti. Scrivono anche dei comandamenti, chiari e semplici, dove su tutti spicca: “Tutti gli animali sono uguali”.
Non esistono disuguaglianze e disparità. Non c’è un potere superiore, solo il potenziale di tutti a disposizione del bene di ognuno.
Un mondo perfetto: senza l’uomo dominatore tutti vivono una vita dignitosa e felice.
Col passare degli anni, però, tra gli animali più svegli e intelligenti, i maiali, ricomincia a serpeggiare l’avidità e il desiderio di potere, fino a quel momento proprio solo degli umani.
Napoleon, il suino più grosso e anziano, prenderà così man mano il comando. Con discorsi carismatici e bugiardi (come d’altronde sono tutte le propagande politiche), riuscirà poco a poco a sottomettere i suoi ignari e ingenui compagni al suo volere.
Tornerà così ad affamarli e sfruttarli sotto la falsa promessa di un futuro migliore e con il credo di una nobiltà sottesa al sacrificio e alla vita grama in favore della classe superiore.
La propaganda di Napoleon sarà così sottile e infida che riuscirà ad offuscare i ricordi di ribellione e di libertà ormai passatI. Instillerà nelle menti degli altri animali, ogni volta, nuove convinzioni di gerarchie e superiorità e nuovi nemici da contrastare.
Da buon politico lo sa, un nemico comune è la migliore arma per soggiogare il popolo.
Arriverà così a modificare anche i sette comandamenti, svuotando anche il più sacro di tutti. Ora sul muro campeggia la scritta: “Tutti gli animali sono uguali, ma alcuni animali sono più uguali degli altri”.
In quella che lo scrittore stesso qualifica come una fiaba, con discorsi e parole chiare e semplici, Orwell descrive il ciclo vitale del potere. Esiste, viene rovesciato e infine si rigenera, serpentesco e furtivo, negli stessi aneliti di democrazia.
Neanche le idee di giustizia, di equità, di ricchezza per tutti e di uguaglianza riescono davvero ad estirpare il sentimento egoistico. L’idea di schiavo e padrone, antica come il mondo, è radicata nella natura umana.
La genesi della fiaba
Orwell stesso, nella prefazione all’edizione ucraina del libro, racconta la nascita di Fattoria degli animali.
Durante una passeggiata vede un bambino, di una decina d’anni, tenere per le briglie un “cavallo da tiro enorme”. Ogni volta che questo cercava di allontanarsi, il bambino lo frustava.
È proprio da questa immagine che lo scrittore fa scaturire un intero panegirico di pensieri.
Pensò che se gli animali avessero coscienza della propria forza, l’uomo non avrebbe più alcun potere su di loro…e che la stessa cosa valesse per il popolo. E, infine, pensò che gli uomini sfruttano gli animali in modo assai simile a quello in cui i ricchi sfruttano il proletariato.
Da qui, dunque, l’idea di scrivere una fiaba che potesse essere una vera e propria allegoria.
Una fiaba contro il potere
Orwell scrisse questo racconto in primo luogo come una satira della Rivoluzione russa. Questo è sottolineato dalle caratteristiche dei personaggi che, di volta in volta, richiamano massimi esponenti della politica sovietica. Anche alcune frasi dette dagli animali si rifanno a slogan dell’epoca; la stessa ribellione degli animali al padrone allude alla Rivoluzione d’Ottobre del 1917.
Questa forte caratterizzazione russa (“contre Stalin”) fece si che molti editori, nell’Inghilterra russofila del tempo, rifiutarono di pubblicare il racconto, per paura dell’opinione pubblica. Solo nel 1972, quasi trent’anni dopo, la novella è stata pubblicata in una nota rivista inglese.
Fin dalle prime righe, però, appare chiaro come la vicenda degli animali ribelli sia assolutamente estensibile a tutte le situazioni di tirannia simili.
Lo scrittore, invero, in ogni sua opera sottolinea che l’unico grande nemico è il totalitarismo, qualsiasi forma esso possa prendere. Non smette mai di rimarcare che la vera minaccia del mondo occidentale, dagli anni trenta in poi, proveniva dal totalitarismo, non solo dal fascismo.
“Il peccato di tutti quelli che stavano a sinistra, dal 1933 in poi, è stato quello di voler essere antifascisti senza essere antitotalitari”.
Malgrado, dunque, la qualificazione di “fiaba”, la novella di Orwell tocca temi importanti, difficili e mai superati.
Non è un racconto per bambini, bensì per “tutti quegli adulti capaci di provare meraviglia, e che dell’infanzia conservano l’entusiasmo e l’autenticità ma anche, forte, il senso di ingiustizia provato ogni volta che sono stati di fronte a un sopruso o a una prevaricazione” (dal commento all’opera di Franca Cavagnoli).
Leggete questo libro. Prima del voto, prima di ogni compromesso col potere, leggete questo libro. Farà male come fa male ogni volta ascoltare verità scomode.
Proprio a monito di questo sulla sede della Bbc, a Londra, oggi campeggia a caratteri cubitali l’insegnamento primo di Orwell.
“Se la parola libertà significa qualcosa, significa il diritto di dire alla gente ciò che non vuole sentire”.
a cura di
Rossana Dori
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