“Things Are Great”: l’identità integra dei Band of Horses

“Things Are Great”: l’identità integra dei Band of Horses
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Esce il sesto album della band di Seattle, i Band of Horses, che li riporta dritti sul podio del successo come indie band sul quale li avevamo lasciati.

Dopo due anni di pandemia, di disastri ambientali e guerre che scoppiano come i petardi i giorni dopo capodanno, sembra un ossimoro presentare il nuovo album dei Band of Horses intitolato “Things Are Great”. Anche se questo devo ammettere è sorprendente. Non molti artisti, specialmente nel genere indie rock quali i Band of Horses – in acronimo conosciuti come BoH – sanno riprendere l’identità e stile così rappresentativo dopo così tanto tempo.

Iniziando l’ascolto dell’album, sin da subito con “Warning Signs” si viene letteralmente trasportati sul treno delle emozioni che ti fanno vagare con la testa e ti fanno venire i brividi in tutto il corpo. Un po’ come i primi accordi del loro brano e cavallo di battaglia “The Funeral”, anche questo brano genera stesse controindicazioni.

Il permeare delle note crea l’atmosfera di un viaggio verso luoghi della mente che solo noi conosciamo, ma che arrivano. Arrivano dove devono arrivare, e si sentono.

Non conoscete il brano “The Funeral”? E se vi riportassi alla scena del funerale in “Strappare lungo i bordi” di ZeroCalcare, vi dice qualcosa? Se mai l’avete vista, di sicuro un’emozione l’avete già incassata dentro di voi. Bene, era l’effetto INdesiderato.

Questo indie rock dei BoH da sempre è accompagnato da un misto di malinconia allegra che rende epico ogni momento. In questo caso i brani di “Things Are Great” sono colmi di un sentimento di resilienza, rivincita che probabilmente nasce da una costrizione, limitazione nata nei due anni di pandemia, e forse anche dal cambiamento che la vita inevitabilmente ti porta con l’andare degli anni.

Chi sono ad oggi i Band of Horses

Il gruppo formato inizialmente da Ben Bridwell e Mat Brooke nasce nel 2004 a Seattle con l’etichetta di SubPop (l’etichetta più famosa dell’area di Seattle, famosa per aver dato rilevanza al movimento grunge, ndr).

Chi troviamo oggi? Il gruppo è formato sempre dal founder Ben Bridwell, Creighton Barrett, Ryan Monroe, Tyler Ramsey e Bill Reynolds e Blake Mills. Di fatto, nonostante i cambiamenti della band, l’essenza primordiale è rimasta fedele alle origini. I cambiamenti, a volte, portano tanta consapevolezza.

“Crutch”, o Crush?

È il caso del singolo che ha anticipato l’ambum, “Crutch”.

Crutch” significa alcune delle cose da cui ero dipendente, come la mia relazione per esempio, dove sembrava che tutto andasse a passo spedito. Mi fa sorridere come le relazioni sembrino delle stampelle. Prima le hai e, appena tolte, cadi e traballi. Tutti abbiano avuto un momento in cui non va bene niente e devi comunque andare avanti”.

Ben Bridwell

I brani dell’album sono dieci e uno dopo l’altro ti trasportano in luoghi e pensieri diversi. D’altronde, già solo leggendo il titolo si può vedere come vi sia una totale ammissione e richiamo al mondo della resilienza, o come dice mia nonna, “alzati e cammina che sei vivo”. Ne è un esempio il brano “In the Hard Times”, dove dalle prime parole si incita a migliorare e tornare in sé

Wait up, wait another day
You’ll be coming ‘round again
”.

Stesso feeling avviene con “In Need of Repair”, dove si elogia l’emozione della malinconia. Sentimento importantissimo per riconoscere i nostri errori, o al contrario, imparare a valorizzare ciò che più amiamo per lottare a non perderlo mai.

“It’s not enough, it’s not enough,
Even in the night I hide from hurt,
The ones you love, you only hurt the ones you love,
Every day and night I hide from hurt”

In Need of Repair

Vi lasciamo all’ascolto di questo nuovo album, perché mai come prima possiamo dire che “Things Are Great” per i Band of Horses. Non ci resta che aspettare le date autunnali di questo gruppo di Seattle a Bologna e Milano il prossimo 15 e 16 novembre.

a cura di
Francesca Bandieri

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