Nichi Vendola – “Quanto resta della notte”, Teatro Piccinni, Bari – 27 febbraio 2022

Nichi Vendola – “Quanto resta della notte”, Teatro Piccinni, Bari – 27 febbraio 2022
Condividi su

L’ex presidente della Regione Puglia, dopo la raccolta di poesie “Patrie”, presenta a Bari uno spettacolo in “versi e suoni in cerca di un giorno nuovo”

Parole, versi e suoni in cerca di un giorno nuovo è proprio la descrizione, oltre che il sottotitolo del monologo Quanto resta della notte di Nichi Vendola. Lo spettacolo è stato presentato al Teatro Piccinni di Bari domenica 27 febbraio. Titolo ispirato alla citazione biblica del profeta Isaia per identificare la pluralità di momenti bui dell’umanità.

Notte come metafora del buio dell’umanità

La notte come metafora del buio, dello smarrimento, dell’inquietudine e della paura. Interrogativi e dilemmi che accompagnano l’uomo dalla notte dei tempi, l’unica luce per Vendola è la poesia che cura con le sue parole. Diverse son le “notti” che sembrano non voler avere fine, ben 8 ne individua l’autore e le mette in versi. Riferimenti alle stesse li troviamo nella silloge poetica Patrie pubblicata nel 2021 da Il Saggiatore. Ma non solo, il monologo del poeta è ricco di citazioni, come quelle di Alda Merini, Pier Paolo Pasolini, Rocco Scotellaro, Franz Kafka, Aldo Moro, Vittorio Bodini, Camus, Brecht, Tommaso Di Ciaula e l’amico Franco Cassano recentemente scomparso.

La presa di posizione contro la guerra in Ucraina

Vendola prima dell’apertura del sipario dedica lo spettacolo alla guerra in Ucraina:

“abbiamo il dovere oggi di mettere in campo tutte le iniziative possibili per difendere la vita del popolo ucraino e l’integrità di quella nazione”.

Per il poeta occorre inoltre ripensare le forme di organizzazione del mondo: “fa tristezza vedere l’ONU perdere completamente di peso e ruolo sulla scena internazionale“. Una cosa che impressiona ulteriormente Vendola è “la scomparsa delle parole pace e disarmo” dal vocabolario della vita pubblica in tutto il mondo e che la cosiddetta “politica di pace” è delegata al Santo Padre:

Pace e disarmo, due parole fondamentali senza le quali non c’è futuro

Le parole sono pietre

Le parole sono importanti ed hanno un potere e un peso specifico. Ecco perchè cerchiamo spesso conforto in frasi sentite e scritte da altri, termini che curano, che non devono ferire, parole dosate, ma che arrivano dritte al punto. Quelle scelte da Vendola per intitolare i capitoli del suo Quanto resta della notte sono La notte, Il contagio, La rimozione, Lo strappo, La sconfitta, La perdita, Il ritorno, L’amore.

Patria vs Patrie: “dopo Auschwitz nessuno può giocare con superficialità con il vocabolario”

La stessa parola può avere un’accezione diversa e pericolosa, come nel caso di patria che al singolare è espressione di nazionalismi e sovranismi. Patria che non accoglie e si contrappone alle patrie di coloro che combattono la guerra, il razzismo e i suprematismi. Esempio tragico di questa lotta è l’immagine del piccolo Alan Kurdi, divenuto simbolo di tutti i bambini morti durante il viaggio per raggiungere una prospettiva di vita migliore. La notte è, appunto, il titolo del primo capitolo.

Negli ultimi due anni abbiamo vissuto una nuova notte quella della pandemia da Covid-19. Il tempo sembrava non passare e l’attesa è stata occasione di ricerca, di studio e di riflessione. Proprio al contagio è dedicato il secondo capitolo del monologo, in cui Vendola critica il motto “ne usciremo migliori”. Non ne siamo usciti neanche più giusti, dato che il vaccino contro il covid è disponibile solo per la popolazione del mondo “civilizzato”. Dove il benessere e l’interesse collettivo dovrebbero essere prioritari rispetto a quello individuale.

La rimozione

Altra notte è quella della violenza contro le donne, troppo diffusa in una società ancora fortemente patriarcale. Vendola fa un passo indietro e lascia recitare all’attrice Elena Serra i versi di una sua poesia su un femminicidio. Attraverso le parole di Alda Merini fa poi un’autocritica chiedendosi “noi maschi quando varcheremo le colonne d’Ercole della beata ignoranza di noi stessi?“.

I giorni caldi del G8 di Genova del 2001 sono citati nel quarto capitolo Lo strappo. Quella lacerazione tra la generazione di Carlo Giuliani, ucciso da un colpo di pistola mentre manifestava il proprio dissenso verso un “processo di integrazione dei mercati e una disintegrazione dei diritti” e una gestione criminale dell’ordine pubblico. Strettamente legati sono i fatti, altrettanto atroci, svoltisi nella scuola Diaz e nella caserma di Bolzaneto, dove tantissimi ragazzi subirono torture.

La sconfitta della politica che perde sè stessa e il sogno della buona politica

Il capitolo quinto è dedicato a La sconfitta della politica in cui l’unico ideale sembra essere la vittoria alle elezioni, e non il servizio della collettività. L’impegno e la passione politica, che hanno mosso numerosi esponenti, sembrano venir meno negli ultimi anni.

“La sconfitta non è perdere, ma perdersi, smarrire il sentimento di sè, la sconfitta è perdere le parole”.

A proposito dell’impegno politico: “anche quando mi sento politicamente schiantato come l’umile sarto di Ulm sono perfettamente cosciente di una cosa, l’ostinazione dell’inseguire un sogno può cambiare la storia, così come il sogno realizzato del sarto di Brecht di far volare l’uomo:

“anche il sogno diurno della buona politica può aiutarci a vedere lontano. A vedere ciò che ancora non è, ma che può essere e magari sarà”.

La morte di una persona cara, la notte più triste

Non solo “notti” pubbliche, ma anche dolori privati come quelli a cui è dedicato il sesto capitolo La perdita, in particolare al fratello maggiore scomparso a dicembre. Sicuramente “la notte più triste” è quella della dipartita di una persona cara:

“Parlare della morte piuttosto che esorcizzarla ci può aiutare a guardare la vita con più lucidità e compassione”.

Così come discutere delle cosiddette morti bianche, ancora di drammatica attualità, “potrebbe significare comprendere la necessità storica di una riforma radicale della struttura produttiva del paese“.

La morte spiega la vita, ne dipana la matassa

L’unica che può dare scacco alla morte è la memoria“. Anche se “non siamo mai pronti alla resa“, ricordare ci aiuta a superare in qualche modo la perdita. I ricordi affiorano grazie anche agli scatti di famiglia “le foto dell’infanzia in bianco e nero e quelle dell’adolescenza a colori“, vissuta tra Terlizzi e Giovinazzo.

Strettamente legato è il capitolo successivo, intitolato Il ritorno. Il ritorno alla patria natia, nella casa in cui si è nati e cresciuti, agli affetti più cari, alla nostalgia. Non a caso a introdurre questo penultimo capitolo è la musica di un tango, una danza nostalgica “un pensiero triste che danza“. Casa, per il poeta, è il sud, il posto della poesia e della nostalgia. “Un corpo ferito ma vivo. Un luogo che ha sempre bisogno di imparare a pensarsi e a raccontarsi senza essere più pensato e raccontato dagli altri“. Questa è la lezione di Franco Cassano.

“Sapere il passato ci aiuta a imparare il futuro”

Sentinella quanto resta della notte del pregiudizio?

Il pregiudizio è il giudizio della paura. Vendola a tal proposito racconta le difficoltà di dichiarare il suo orientamento sessuale, ma “dire la verità è stato il mio pride, una piccola grande rivoluzione che continua anche per altri“. Tra i suoi riferimenti intellettuali imprescindibili c’è Pasolini, “agnello sacrificale” della discriminazione sessuale fortemente presente ancora oggi:

“Lottiamo per una società in cui la diversità non sia ragione di martirio”

La notte è ancora fonda, ma l’amore ci tiene vivi e ci illumina il cammino

È ancora notte fonda – asserisce Vendola sul finale del monologo – nella vita quotidiana rimbombano parole malate“. Cosa fare se non “combattere contro la catastrofe delle parole, nominare il male per sortire il bene, senza dimenticare mai le battaglie vinte“. Consapevoli che quando ci sentiremo persi “in silenzio ad occhi chiusi ci coglierà il pensiero di tutto l’amore che ci tiene vivi“. Il monologo si conclude con la poesia dedicata al figlio Tobia che proprio domenica ha compiuto 6 anni.

Ringraziamenti

Vendola prima di congedarsi dal pubblico ci tiene a ringraziare quanti hanno reso possibile questa avventura e quindi il Comune di Bari, l’assessore Ines Pierucci, il Teatro Pubblico Pugliese, Giulia Dellisanti, Fidelio Produzione, Silvio Maselli, Corvino produzioni e distribuzioni.

E inoltre se alle parole corrediamo immagini altrettanto suggestive e toccanti come quelle di Mario Amura, le musiche ad hoc curate da Andrea Mangia alias Populous, le luci di Stefano Limone, i suoni di Fabio Cinicola, i montaggi di Sasha Mannish, i contributi dell’assistente alla regia Elena Serra e la consulenza amichevole di Valter Malosti “grande uomo di teatro”, il risultato non può che essere apprezzato dal pubblico presente, che ha abbracciato l’ex Presidente della Regione Puglia con un caloroso applauso.

a cura di
Mariangela Cuscito
foto di
Nicolò Colaianni e Ottavia Farchi
(fotografi dell’Accademia del Cinema Ragazzi di S. Pio)

Seguici anche su Instagram!
LEGGI ANCHE – Venditti e De Gregori finalmente in tour assieme
LEGGI ANCHE – Tiromancino – Senigallia (AN) – 26 febbraio 2022
Condividi su

Mariangela Cuscito

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *