Fabio Mora “Un Respiro” per la SLA

Fabio Mora “Un Respiro” per la SLA
Condividi su

Un Respiro” è il singolo che Fabio Mora ha scritto per i malati di SLA, il cui ricavato sarà devoluto all’associazione Aisla di Reggio Emilia (Associazione Italiana Sclerosi Laterale Amiotrofica), e all’Ambulatorio SLA condiviso Pneumologico e Neurologico dell’ospedale Santa Maria Nuova di Reggio Emilia.

Il cd sarà in vendita dall’8 dicembre, al prezzo di 5 euro. Già da adesso si può prenotare contattando Aisla al numero 331-4102040 o via e-mail aisla.re@gmail.com.

Li abbiamo incontrati per voi all’ospedale Santa Maria Nuova di Reggio Emilia. Perché ho detto incontrati?

Perché di questo progetto fanno parte altre tre persone, un po’ come fosse una band, tanto per rimanere in tema musicale: Fabio, il frontman, e le altre tre componenti che dopo andremo a conoscere.

Iniziamo la nostra chiacchierata con Fabio.

Fabio, come è nato questo progetto?

Ho dovuto fare una semplice visita di controllo, perché sono asmatico da sempre. Gloria Montanari, medico pneumologo, a fine visita mi ha riconosciuto e abbiamo iniziato a parlare un po’ di spettacolo un po’ di ospedale e di come la pandemia aveva colpito le diverse categorie lavorative.

Alla fine di questa chiacchierata, in realtà molto veloce perché comunque qui in ospedale c’è da lavorare, Gloria mi ha detto: “sarebbe bello fare qualcosa insieme”.

Io già da tempo avevo l’intenzione di fare un qualcosa in più, che non fosse solo scrivere una canzone, e così gliel’ho buttata lì “potremo fare una canzone a doc”. Continua Fabio sorridendo, “come se poi scrivere le canzoni fosse all’ordine del giorno, una cosa normale”. Per te lo è, gli dico io. E lui molto umilmente mi risponde “sai sembra una cosa normale, ma poi si innescano un sacco di meccanismi, di paure, di timori, speri di dire una cosa giusta poi magari dici una cosa banale e viceversa. Non hai mai la sicurezza di fare una cosa fatta bene, almeno per quanto riguarda attraverso i miei occhi.”

Il tutto è finito lì, in quella breve conversazione, poi – fatalità – succede che a distanza di un mese circa, mia moglie debba fare anche lei una visita. Così le dico “se trovi Gloria dille che sei mia moglie“, e lei l’ha fatto. Quando Gloria le ha detto “Fabio è stato così carino che ci ha promesso una canzone” ho capito che non potevo più tornare indietro.

Fabio continua, raccontando di come tutto poi, trovata la linea da seguire per la canzone, sia nato in poco tempo, causa anche di forze maggiori.

Come il poco tempo in sala d’incisione da “Bronski” (Fabio Ferraboschi musicista e produttore discografico, amico e collaboratore da sempre di Mora, ne “I rio” e “Mora&Bronski”) per impegni personali dello stesso Bronski.

“Io sono un matto, mi piace quando mi trovo davanti alle sfide” mi racconta Fabio, “ma partire proprio da niente o da un paio di strofe che avevo, ad avere già il pezzo scritto cambia”.

Da lì, complice forse anche la tensione, l’artista finisce il testo, e in tre giorni il brano viene registrato.

Il pezzo abbiamo avuto il piacere di ascoltarlo in anteprima. Nel testo si avverte la sensibilità di Mora nel descrivere l’abbandono del corpo ormai diventato una gabbia, per volare lontano con la mente, come un soffio, come un respiro.

Fabio spiega anche che per, dare concretezza al brano e allo scopo della sua realizzazione, si sia preferito creare un cd fisico, piuttosto che lanciarlo sulla rete, per aver un riscontro concreto da poter donare all’Ambulatorio SLA dell’ospedale Santa Maria Nuova di Reggio Emilia.

Scrivere una canzone per questo scopo è appagante come salire sul palco e cantare davanti al tuo pubblico?

La bellezza di scrivere una canzone, e vederla cantata dagli altri, è una cosa meravigliosa. Qui però non si è trattato solo di scrivere una canzone, ma di scrivere qualcosa che rimanesse e che avesse importanza per qualcuno.

Anche in una canzone d’amore qualcuno ci trova qualcosa, ma questa canzone nasceva proprio con l’intento di aiutare qualcuno. Per un progetto. La mia paura era quella di non essere all’altezza, ma per fortuna a loro (le altre partecipanti del progetto) è piaciuta tanto. Sentendo la loro reazione ho capito di aver fatto la cosa giusta.

Come mai ha scelto come copertina l’immagine del soffione?

Volevo un’immagine che si riferisse al respiro, al soffio, e così mi è venuta in mente l’immagine del Tarassaco. Il seme che si stacca e vola nell’aria e trasporta con se anche la fantasia. Che poi è quello che mi ha dato l’idea per il testo della canzone.

Cerchiamo di capirne di più sulla malattia, con la Dottoressa Elena Canali Medico – Neurologo
Dottoressa Elena Canali Medico Neurologo
Dottoressa Canali, la SLA è conosciuta come la malattia degli sportivi, colpisce solo loro? E di cosa si tratta?

La SLA è nota come malattia degli sportivi perché ha colpito alcune persone sportive famose, come giocatori di baseball americani o giocatori di calcio italiani. In realtà, nonostante sia stato studiato il nesso tra una pratica di attività sportiva intensa, anche traumatica, relazioni significative non ci sono.

Sappiamo che la SLA colpisce ogni genere di persona, indipendentemente dal fatto che abbia fatto più o meno sport.

Purtroppo la causa della SLA non si sa. Sono stati studiati anche fattori ambientali, ad oggi noti anche di cause genetiche, però la SLA sporadica può colpire casualmente, senza nessuna relazione con lo sport.

Si tratta di una malattia che colpisce sia i motoneuroni, che sono i neuroni motori, quelli che servono per il movimento, che innervano la muscolatura volontaria, sia quelli della corteccia cerebrale, quelli del midollo spinale che porta ad un’atrofia dei muscoli e alla incapacità di movimento graduale, progressiva in una malattia che ha una prognosi che va dai 2 ai 5 anni di vita massima nella forma classica.

Ecco perché la relazione col respiro. Perché purtroppo, più o meno rapidamente, viene colpito anche il muscolo diaframma, i muscoli accessori respiratori della gabbia toracica. Vengono colpite le funzioni vitali del respirare ma anche del deglutire e via via tutti i muscoli che servono per le funzioni vitali.

Il respiro poi, o meglio la mancanza del respiro, è quello che porta via i pazienti alla fine.

Ci sono sintomi per riconoscere l’inizio della malattia?

I primi sintomi sono focali e molto minimi. Ad esempio la debolezza di qualche muscolo che può essere anche quello di una mano, piuttosto che magari gli arti inferiori a cui magari ognuno di noi darebbe più importanza. Diventa quindi difficile riconoscere all’inizio di essere stati colpiti dalla malattia, perché vengono male interpretati.

Se la malattia viene riconosciuta all’inizio, ci sono possibilità di bloccarla sul nascere?

Ci sono farmaci che rallentano la malattia, ma non hanno un’efficacia significativa. Invece per quanto riguarda la qualità della vita certi interventi precoci fanno stare meglio, o meno peggio, il paziente e sopravvivere un po’ di più.

La Dottoressa Gloria Montanari Medico – Pneumologo
Dottoressa Gloria Montanari Medico Pneumologo

Quando Fabio ha deciso di donare una canzone all’Ospedale abbiamo pensato ai pazienti affetti da Sla per vari motivi.

La Sla può colpire varie fasce di età, abbiamo anche ragazzi giovani oltre a pazienti adulti, è una malattia che può colpire tutti.

Quando la Dottoressa Elena Canali fa una diagnosi sla, ha un impatto molto forte sulla vita del malato, ma anche su quella dei suoi familiari.

È vero che il corpo di un malato sla è paralizzato, però la coscienza, i pensieri, i sentimenti, le emozioni dei pazienti sono intatti. Come canta Fabio nella canzone: “non c’è gabbia né prigione che mi possa trattenere”. Ed è vero, perché la musica per l’anima è un respiro, è vita soprattutto per questi pazienti.

E poi, per ultimo ma non per importanza, credo molto nel progetto che abbiamo creato insieme io e la Dottoressa Elena Canali, “collega e amica”. Quello dell’ambulatorio SLA condiviso Pneumologico e Neurologico, attivo dal gennaio 2019 presso l’Ospedale Santa Maria Nuova di Reggio Emilia. Qui avviene un approccio multidisciplinare, per affrontare la malattia in maniera globale.

L’Ambulatorio Condiviso

Durante le ore di ambulatorio è sempre presente la presidente dell’ Aisla Loretta Pavarini, per sostenere, supportare i pazienti ma anche i familiari, e per far conoscere l’attività che viene svolta dall’associazione Aisla.

L’ambulatorio è dedicato principalmente ai pazienti in ventilazione meccanica non invasiva, quindi in fase avanzata di malattia. Sono pazienti che non solo possono presentare problemi di respirazione, ma anche di deglutizione, o di comunicazione.

La visita svolta in maniera congiunta è molto importante per fare in modo che il Pneumologo e il Neurologo abbiano una visione unica del malato.

Si tratta di pazienti con severe difficoltà di spostamento, quindi si rende indispensabile ridurre e ottimizzare anche l’accesso ospedaliero.

Questo ambulatorio si integra con l’attività già svolta a domicilio dai Pneuomologi di Correggio che sono il Dottor Lusvuardi e la Dottoressa Massobrio, e anche dall’altra parte con il percorso fisiatrico coordinato dalla Dottoressa Fiocchi.

Questo servizio rientra nel percorso diagnostico terapeutico assistenziale per la SLA che è attivo in provincia e vede coinvolti numerosi professionisti tra i vari ospedali del territorio. Ci sono nutrizionisti, logopedisti, psicologi, medici curanti, palliativisti. C’è un equipe multidisciplinare.

È molto importante la valutazione funzionale respiratoria, sia per valutare l’eventuale insufficienza respiratoria, ma anche perché abbiamo la possibilità di capire se il paziente necessita, attraverso esami spirometrici, di supporti meccanici invasivi o non invasivi, che possono migliorare la qualità della vita e la sopravvivenza dei malati affetti da un fenotipo non bulbare. In questo modo si allontana il momento di un’eventuale tracheotomia e si aumenta la sopravvivenza di molto tempo. Ma è una scelta molto importante che deve essere fatta dal paziente.

Abbiamo ascoltato dalle voci di Elena e Gloria, la parte scientifica, e in che modo le loro specializzazioni vanno ad agire sulla malattia. Adesso con Loretta Pavarini parleremo del fattore umano e di quello che la sua associazione svolge per i malati affetti dalla SLA e le loro famiglie.
Loretta Pavarini presidente AISLA ONLUS – SEZIONE REGGIO EMILIA
Loretta Pavarini presidente AISLA Reggio Emilia

Ho avuto una grossa disgrazia: mio fratello è scomparso a 47 anni a causa della SLA. Io non conoscevo nulla di questa malattia, è stata una grossa perdita per me. Questo però mi ha permesso di conoscere la SLA, i bisogni che hanno gli ammalati, i bisogni che ha la famiglia.

Le famiglie dei pazienti sono sole, con un peso enorme a casa “oddio se adesso si sente male? Cosa faccio? Che cosa succede?”. Loro hanno il mio numero di cellulare e mi possono chiamare quando vogliono, giorno e notte, perché magari anche chiamare un medico alle volte, si ha paura di disturbare.

Io invece vado a domicilio dalle persone, “Io ci vado proprio” li vado a trovare, vado a portargli le mie impressioni, “vado a portargli soprattutto il mio sorriso e credo che per loro valga tanto, io li bacio, io li stringo, se sono uomini o donne non mi interessa io gli voglio bene”.

Mentre ascolto le parole di Loretta mi rendo conto di quanto, carezze o sorrisi siano cose alle quali noi fortunati che siamo sani, non diamo ormai nemmeno più importanza.

Loretta continua con “io alla fine non posso fare niente perché non sono un medico” ma forse penso io quel sorriso, aiuta di più di una puntura.

Durante la visita al paziente la sua esperienza la porta a vedere anche se c’è qualcosa che non va, come ci dice lei stessa, “magari una poltrona scomoda, il paziente con le gambe giù piuttosto che su, o se un paziente fa fatica a respirare perché magari i familiari che lo hanno lì tutto il giorno, non se ne rendono conto”.

La SLA dice è una malattia famigliare, che prende come ansia, e come angoscia, come disperazione tutta la famiglia “perché proprio a me? Cos’ho fatto di male? Abbiamo lavorato tutta una vita e adesso siamo ammalati, potevamo goderci la vita”.

Queste sono tutte sfumature, alle quali un pochino riesco a rispondere, forse perché ci sono passata, bisogna condividere, condividere il loro dolore, non solo la gioia.

“Ho anche pianto con gli ammalati, se loro piangono io non posso dire che loro hanno delle balle, hanno ragione, ed è giusto che io condivida anche le loro preoccupazioni, è questo quello che conta!”

“Perché loro sono persone, non sono barattoli, sono persone da considerare sempre”.

“Durante il lockdown, quando non potevo andare, facevo le videochiamate con l’aiuto dei familiari, le nostre con pazienti che ormai non parlano più, erano videochiamate di sguardi, ho sempre capito però che a loro facesse sempre piacere”

Il tono della voce di Loretta e le sue parole non lasciano indifferenti. Mi arrivano dritte al cuore e mi dico quante persone ci vorrebbero come te, che pensano e amano gli altri e che fanno del bene. Sicuramente anche se sembra una frase fatta, il mondo sarebbe migliore.

Il ruolo di Loretta Pavarini nell’Ambulatorio.

In ambulatorio ricevo gli ammalati, loro sono sempre in angoscia, “come andrà? Cosa mi diranno? Mi devono fare l’emogasanalisi, andrà bene? Andrà male? Quale sarà il risultato?”

Se tu ammalato arrivi e trovi una persona, anche se non la conosci che fa amicizia subito, ti da quei dieci minuti di leggerezza, prima della visita.

Può succedere anche di trovare pazienti ancora nel pieno della rabbia che mi allontanano girandosi dall’altra parte, o anche di asciugare una lacrima, si fa quello che c’è da fare.

“Si cerca in quei dieci minuti di migliorargli la qualità di vita, con il mio cuore, che è bello grande e ce n’è per tutti, loro hanno bisogno di queste cose.”

Loro non hanno niente, si accontentano di poco, sapere che nonostante tutto ci sono persone che si ricordano di loro, perché loro sono ammalati, ma hanno un cuore, hanno un’anima, hanno un cervello che funziona.

Questo è un po’ quello che faccio, è il mio impegno, e abbiamo bisogno anche di voi, di te, che ci sosteniate per dare modo a queste persone sfortunate, di migliorargli la qualità della vita.

Conclusioni

La SLA è una brutta bestia, una malattia subdola che non da speranza. Può colpire chiunque, non guarda in faccia nessuno. Per fortuna ci sono persone come Gloria, Elena, Loretta, che ci fanno stare meglio. Che ci aiutano.

Adesso tocca a noi aiutarle. Fabio Mora lo ha già fatto. Facciamoci e facciamo un bel regalo di Natale, compriamo buona musica (quella di Fabio lo è) e aiuteremo gli altri, ma anche noi stessi.

Aisla Tel. 331-4102040 o via e-mail aisla.re@gmail.com

a cura di
Enrico Ballestrazzi

Seguici anche su Instagram!
LEGGI ANCHE – Harvey Milk: 43 anni fa l’omicidio che scioccò un’intera nazione e aprì gli occhi del mondo
LEGGI ANCHE – Affossato il DDL Zan, ma non le piazze

Condividi su

Enrico Ballestrazzi

Fotografo per passione

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *