“Suerte” è il disco d’esordio di Banadisa

“Suerte” è il disco d’esordio di Banadisa
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“Suerte” è un progetto musicale in cui la cumbia elettronica incontra le rive del fiume Po, dando vita a una sperimentazione sonora che fonde ritmi e atmosfere del Sud America con la matrice cantautorale italiana.

La cover di “Suerte”
Banadisa esordisce con “Suerte”

Parte della crew ‘Istituto italiano di Cumbia’ nata sotto la guida di Davide Toffolo, Banadisa è il progetto artistico di Diego Franchini. Polesano classe 1990, ha debuttato lo scorso giugno con una prima doppia release di brani – “Riva del Rio” e “Vita” – seguita dal terzo estratto “2121”. Singoli che hanno anticipato il suo lavoro discografico d’esordio, “Suerte”, uscito l’8 ottobre per La Tempesta.

Quella di Banadisa è una ricerca umana e artistica che approda a un sound fatto di cumbia elettronica e surrealismo polesano, dando vita a un disco autentico ed eclettico.

Con “Suerte” Banadisa ci prende per mano e ci guida in un viaggio affascinante e coinvolgente, tra le rive del Po e quelle del Rio. Ecco a voi la nostra intervista.

Ciao Diego, innanzitutto complimenti per il tuo primo album. Mostra un’anima variegata e piena di bellissime sfumature. Vorrei infatti chiederti quali sono state per te le influenze più significative che ti hanno aiutato a dar vita a questo progetto?

Le influenze che mi hanno portato a “Suerte” sono state molteplici. Andrei a sintetizzare dicendo che ci sono molte influenze di cumbia elettronica, in particolare rispetto ad artisti che ruotano attorno ad etichette come ZZK Records e Wonderwheel Recordings; influenze di cantautorato indie italiano contemporaneo che mi accompagna ormai da una decina di anni; infine direi un acerbo ma crescente interesse per quelli che sono i canti tradizionali e di folklore locale (nel mio caso del nord-est italico).

Ascolta “Suerte” su Spotify
Diego, il tuo è un progetto musicale che parte da lontano, nel 2016. Da allora hai portato avanti un’interessantissima ricerca sui suoni, coadiuvata da uno studio della cultura dei paesi che hai visitato. Quanto è stato importante per te questo viaggio musicale e culturale, e quanto ha contribuito a generare il tuo sound?

Ci tengo a precisare che non sono mai stato in Sudamerica, e sinceramente spero di rimediare quanto prima a questa (ormai incolmabile) mancanza. Magari coniugando il viaggio con qualche data dal vivo…sarebbe un sogno. Se può essere utile per salvarmi in corner posso dirti che il mio avamposto “ispanofono” ce l’ho a Barcellona, che è una città che frequento abbastanza di frequente, essendo la mia compagna originaria di questa bellissima città.

Il viaggio che mi ha condotto verso questi suoni è stato più che altro virtuale, nel senso che ho ascoltato tantissima musica e man mano gli ascolti si accompagnavano con i primi tentativi di sperimentazione su strumenti tradizionali, tamburi, shaker, e cose così. Questa fase ha contribuito in maniera fondamentale alla definizione del mio sound.

Banadisa
Il tuo album “Suerte” fonde insieme due elementi principali: una vena più cantautorale da un lato, e una forte sperimentazione dall’altro. Quale di questi due aspetti è stato per te il principale punto di partenza per la realizzazione di questo progetto musicale? La ricerca del nuovo o il legame con la tua terra?

Direi senza dubbio il secondo. Anche in passato in ogni mio testo c’era sempre sullo sfondo il Polesine, luogo un po’ surreale del nord-est italico nel quale sono nato e cresciuto, solo che prima lo urlavo (e un po’ lo detestavo) dentro un microfono, strimpellando una chitarra distorta, perché è da lì che vengo, dai Nirvana, ai Sonic Youth, Mudhoney.

Poi però scatta qualcosa che mi suggerisce che forse è giunto il momento di appoggiare quei testi su un altro tappeto sonoro, e che forse un certo tipo di cumbia più scura e malinconica, ruvida e legnosa era il luogo adatto ad ospitare quei testi, che io definisco di fatto cantautorali. Da questa intuizione è partito un po’ tutto, e si è aperta una pista di lavoro. Secondo me si parte sempre dalle radici.

Diego, parliamo delle collaborazioni presenti all’interno di “Suerte”. Una di queste è con il Coro delle Mondine di Porporana, mentre un’altra è con la sassofonista colombiana Maria Mange Valencia. Come sono nate queste due collaborazioni e quanto è stato divertente e affascinante realizzarle?

Due esperienze bellissime e per me inedite fino a quel momento, per modalità ed approccio con le quali sono state fatte. Maria suona in un gruppo fighissimo di Bogotà che si chiama Meridian Brothers. L’ho incontrata un po’ imbarazzato e di sfuggita nel post concerto che fecero all’Hana-Bi di Ravenna durante il loro ultimo tour europeo.

A distanza di circa un anno e mezzo, quasi in piena pandemia, le scrissi semplicemente su Facebook dicendole che mi sarebbe piaciuto fare una collaborazione con lei e le chiesi se le fosse andato di suonare dei sassofoni sopra il brano “Campo”. Tutto si sviluppò a distanza, virtualmente, tra video che ci scambiavamo e mail che rimbalzavano da Ferrara a Bogotà. Strano, ma allo stesso tempo naturale, nulla di forzato. Non vedo l’ora di poterla incontrare di nuovo di persona.

Di tutt’altro genere invece la collaborazione con il Coro delle Mondine di Porporana, alle quali chiesi di performare il mio testo “Popà son tanto stanco”. Il loro è un gruppo canoro composto da tutte donne, alcune delle quali piuttosto anziane, ma tutte con una carica ed un’energia incredibile. Ricordo che erano molto contente che “un giovane” si fosse avvicinato al loro mondo musicale fatto di canti tradizionali di monda. E’ stata soprattutto una bella esperienza umana (oltre che artistica) che voglio trovare il modo e il tempo di approfondire ulteriormente.

Ascoltare il tuo album è stato come partire per un viaggio, coinvolgente ed emozionante, che non vediamo l’ora di proseguire. Cosa ci dobbiamo aspettare dai tuoi prossimi progetti?

Io avrei continuato all’infinito questo viaggio, perché sento di essere solo all’inizio di un percorso che lascia aperte tante piste, tante possibilità di sperimentazione, tante possibilità di indagare quasi a livello etnografico culture popolari e musicali sia locali che lontane.

Con “Suerte” ho messo un punto. Ho molte idee che sto già sviluppando, ma per ora la priorità è quella di performare dal vivo il più possibile questo album. Sono convinto che portarlo live di fronte ad un pubblico (in piedi!) mi servirà per accrescere consapevolezza e autocoscienza del progetto, due aspetti necessari per poter procedere il cammino che condurrà ad un futuro secondo disco.

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a cura di
Alessandro Michelozzi

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Alessandro Michelozzi

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