Ireland’s Call, musica e colori
Ci sono colori che certificano il carattere di un popolo, il connubio tra l’impatto ottico e quello caratteriale lega molte tifoserie, cosi come molte popolazioni. Viene automatica la correlazione, come un tratto distintivo imprescindibile e riconoscibile dalla distanza.
Nello sport, sopratutto per le grandi rassegne capita che una popolazione intera si trasformi in tifoseria e viceversa, quando questo accade si innesca un prodigio che esorta un cavalcante senso d’appartenenza, la magia dei colori diventa leggenda, la leggenda diventa mito, la voce di un popolo intero diviene un canto unitario assordante.
Oggi parliamo del verde…
Oggi parliamo del colore verde, di Irlanda, di Scozia e del quartiere East End di Glasgow, di tifo che diventa una componente sociale determinante, parliamo delle lacrime di Rod Stewart e di tradizioni antiche, di pinte di Guinness che si scontrano in un brindisi e di come l’orgoglio nazionale non sempre sfocia in eccessi e violenze.
La musica incontra magiche sfumature celtiche tra palle ovali, santi e maglie bianco-verdi a strisce orizzontali.
Questa è l’anima d’Irlanda, quella che ha fatto innamorare mezzo mondo, l’altra metà gira voce sia quella dei cattivi.
San Patrizio
Possiamo partire dal 17 marzo, giorno in cui si festeggia San Patrizio, patrono d’Irlanda. Festa di origine cristiana, conosciuta anche come Paddy’s Day. Il vero nome di San Patrizio era Maewyin Succat, visse tra il 385 e il 461 ed era di origini scozzesi. A sedici anni fu rapito dai pirati irlandesi e venduto come schiavo a re Dalriada, sovrano di un regno che allora comprendeva parte della Scozia e dell’Irlanda.
Il trifoglio
San Patrizio è strettamente correlato al simbolo d’Irlanda, il trifoglio. Leggenda narra che per spiegare agli irlandesi la trinità (un unico dio, in tre persone e non tre dio) adottò appunto lo shamrock.
Si dice che non vi siano serpenti nell’isola verde perché il patrono scagliò una campana da una montagna facendo sparire tutti i rettili per sempre. La scienza indica però l’assenza dei serpenti come una conseguenza dell’ultima era glaciale datata 12.000 anni fa anche se fossili di rettili non ne sono mai stati ritrovati.
Un’altra vicenda leggendaria vuole che che nel Donegal in una caverna profonda nell’isola lacustre di Lough Derg vi fosse l’ingresso per l’inferno, questa porta tra i due mondi è chiamata Pozzo di San Patrizio e spinse nei secoli molti esploratori a ricercarla.
Inoltre, tra costumi, usanze e una fitta rete di domande irrisolte, il fascino misterioso dell’isola inizia a destare interesse con sempre più marcata costanza.
Calcio, rugby e vecchie canzoni
Nel panorama sportivo i tifosi irlandesi sono quelli che si riconoscono per l’esubero di rumore e goliardia ma sopratutto per componenti genuine quale l’educazione e la condivisione. Nelle ultime rassegne sportive internazionali ricordiamo uno spirito di convivialità estremo, facendo da collante e dando allo sport una sfumatura paradossale di rispetto delle parti.
La preponderante accondiscendenza ad accogliere e lo smisurato umorismo fanno sì che incontrare la tifoseria irlandese per le strade della città sia come entrare in un’improvvisata parata di St. Patrick, un’adozione naturale che come una miccia fa esplodere una serenità sportiva e, perché no, artistica.
Nel 2003, il 21 maggio per la finale di Coppa Uefa, i tifosi dei Celtic Glasgow invasero in 80.000 le strade di Siviglia, a dimostrazione che anche il sangue d’Irlanda trapiantato altrove non perde mai di “densità”, anzi la distanza, il ricordo e il pensiero alla culla primordiale amplificano i battiti dell’appartenenza.
Ci sono molte canzoni che corredano le pareti del pensiero irlandese, quelle più di spicco e che a me personalmente emozionano di più sono senza dubbio quelle legate alle vecchie memorie, quando l’occupazione inglese e la tremenda carestia avevano messo drasticamente in ginocchio tutta l’isola.
Fields of Athenry
La si può ascoltare in ogni pub d’Irlanda come si ascolta Romagna e Sangiovese dalle mie parti, la si può ascoltare a Glasgow, nel tempio, al Celtic Park quando le note esasperate dei 60.000 presenti fanno intendere perché questo stadio è soprannominato The Paradise. Le note riecheggiano assordanti a Crock Park, che si tratti di Rugby, di Calcio Gaelico, Camogie o Hurling non conta, il sentimento che lega al nodo dell’orgoglio è sempre lo stesso.
Fields of Athenry (i campi di Athenry) commemora la grande carestia che andò dal 1845 al 1850, divenuta inno non ufficiale di diverse squadre e associazioni sportive è stata rivisitata in più versioni. Quella che consiglio è quella dei Dropckick Murphys dall’album Blackout.
The Boys of the old Brigade
Il brano descrive un veterano della Rivolta di Pasqua che narra a un ragazzo dei suoi vecchi compagni dell’esercito repubblicano irlandese. Ogni ritornello si conclude con la frase in lingua irlandese “a ghrá mo chroí (amore del mio cuore), desidero vedere, i ragazzi della vecchia brigata”.
Degna di controversie, questa canzone è stata vittima di diffide da diversi tribunali e addirittura è stata bandita in alcuni contesti sportivi e sociali, in quanto sostenitrice del vecchio movimento dell’I.R.A. (Irish Republican Army).
In realtà è niente più che un coro di ribellione dettato dall’occupazione indiscriminata della corona britannica verso il popolo irlandese, un canto presso chè “partigiano” se vogliamo rapportarlo ai ranghi di casa nostra.
Ireland’s call
La nazionale della Repubblica d’Irlanda prima di ogni gara ha la strana abitudine di ascoltare due brani, oltre all’inno nazionale Amhràn na bhFiann (canzone del soldato) viene proposta Ireland’s call a ruota. Quest’ultima è stata scritta in rappresentanza dei giocatori del sud, ma anche del nord.
Col tempo, questo brano è riuscito laddove la politica ha drasticamente fallito: unire, anche se in maniera più simbolica che altro, le due compagini isolane.
Per questo l’E.I.R.E. è l’unico team ad avere un doppio inno, una rarità mossa da nobili propositi che scatena da Dublino a Belfast sempre una tangibile emozione, tenendo accesa una piccola fiamma di speranza e di fratellanza remota da ritrovare.
L’OLD FIRM: più di un derby
Cosa hanno in comune il popolo irlandese, il quartiere East End di Glasgow, il settarismo più marcato e la politica catapultata in un campo da calcio? Potrebbe sembrare una cozzaglia di situazioni messe assieme per errore ed invece la guerra sportiva e sociale tra i Celtic Glasgow e Glasgow Rangers va ben oltre i 90 minuti, oltre l’avvicendarsi di un’altalenante e periodica leadership sportiva. Lo sport che si trasforma in politica, una trama sociale e spesso violenta che rende il derby di Glasgow tra i più accesi e seguiti al mondo.
Old Firm che in italiano significa “vecchia azienda”, data la longevità dei due club in questione, è divenuta col tempo una “guerra” d’altri tempi. La compagine dell’est di Glasgow, quella dei “Celts”, cattolica e indipendentista, fondata da immigrati irlandesi contro quella unionista dei Rangers, protestante e legata fedelmente alla corona britannica.
Tra le due guerre…
La divisione tra le due parti si fa più tangibile a cavallo fra le due guerre mondiali. La classe sociale dominante, quella protestante, innesca una serie di ingiustizie nella distribuzione dei posti di lavoro, soffocando la minoranza cattolica, stesso discorso per l’assegnazione delle case popolari.
Gli Hoops (soprannome tutt’ora utilizzato per i Celitc) diventano così molto più di semplici atleti da tifare. Per i cattolici assumono un ruolo di rivendicazione sociale e propositi di un futuro diverso da quello del settarismo preventivo. Un futuro separatista con velature socialiste.
E Glasgow?
La sponda privilegiata di Glasgow invece comprende i conservatori protestanti e unionisti. A metà anni ’70 le vicende legate al conflitto in Ulster sfociano negli spalti degli stadi. A Celtic Park sventolano bandiere e vessilli irlandesi e del vaticano, si intonano canti a favore dell’ l’I.R.A.
Ad Ibrox invece, sponda Rangers, si celebrano i Billy Boys, la banda organizzata che agli inizi del 1900 terrorizzava la comunità cattolica.
Più di un semplice avvicendamento calcistico, la storia o la “battaglia” di Glasgow è un pozzo ricco di politica e dolore, di colore e rivendicazione, sostegno e denigrazione. Esaminandola porta a credere che il posto giusto dove nascere in questo mondo forse è un grandissimo colpo di fortuna.
La musica è un tratto somatico essenziale in questa lotta e gli spalti dello stadio sono il teatro o il palco perfetto per esporre ed esasperare in maniera genuina la propria idea e il proprio amore.
La magia regna sovrana a Celtic Park quando vengono lanciati al cielo i versi di “You’ll never walk alone”, “Fields of Athenry” e la più attuale e irriverente “I just can’t enough” dei Depeche Mode.
L’Old Firm indubbiamente insegna a percepire i segni e gli incastri che l’universo riversa in questa vita terrena tramite la necessità di farsi sentire con la voce e la forza dell’ideale.
Le lacrime di Rod Stewart
Il mondo della musica e il mondo dello sport sono correlati da volti che spesso intrecciano le due arti in maniera speculare, una compensa l’altra e viceversa in una danza senza tempo che si sorregge sulla passione più pura.
Quella di Rod Stewart è una storia che affascina sin dal lontano 1978, quando scrisse il singolo “Ole Ola” per la nazionale scozzese ai mondiali di Argentina. Un inno che auspicava il rientro della nazionale delle Highlands da campioni.
Per questo, dopo l’ovvio e pronosticabile epilogo, la stampa inglese cercò di affossarlo schernendolo con ogni metodo, ma Rod insegnò a tutti la passione pura, quella che non aveva paura di esporsi nonostante la sua popolarità come artista fosse già garantita.
Rod, quasi calciatore
Rod Stewart, tifosissimo dei Celtic, sfiorò una carriera da professionista prima di impegnarsi totalmente in ambito musicale.
Nonostante gli anni, dice nella sua autobiografia che il prato verde lo calca ancora con costanza assieme agli amici di sempre, pretesto genuino per arrivare a fine giornata tra brindisi e risate.
Rimarrà sempre impressa la sua reazione commossa dopo la vittoria dei “Bhoys” sul Barcellona stellare di Messi e co. Era il 7 novembre 2012 e si celebravano i 125 anni di storia del club, ricorrenza straordinaria per una delle imprese più incredibili degli ultimi anni marcata Celts.
Rod, vestito di tutto punto sfociò in un pianto che resta ancora nella memoria di quella indelebile serata, l’abbraccio al vicino di posto, l’umanità che a volte non sembra caratterizzare le star emerge nella sua innocenza, dopo una vita passata a tifare, ancorato a un modo di vivere più che a un semplice vessillo da idolatrare.
Insomma, una passione pulita, come quel volto scalfito dal tempo, rinfrescato dal desiderio di stupirsi ed emozionarsi ancora.
Conclusione
Lo stile e l’attitudine sono componenti insite nell’uomo che ha ancora il coraggio di appassionarsi. Ci sono influenze che sono un pass par tout diretto verso lo sviluppo di queste doti, avere la curiosità costante di scoprire e immaginare sono un’eredità che il sangue d’Irlanda mi ha trasmesso sin da piccolo. Le fiabe, i personaggi fantastici, le risate nei pub, la musica in ogni angolo delle strade, l’amore per le discipline e il geloso custodire una lingua antica e piena di concetto.
L’Irlanda ha avuto la duttilità di ambientarsi in luoghi lontani e cosi come in Scozia, come in America la lontananza invece di scarnificare gradualmente un sentimento lo ha amplificato, e le comunità che vivono quelle terre come “ospiti” e spesso sono viste male, non sono altro che l’effige di un mondo che deve necessariamente andare avanti senza spocchiosi pregiudizi.
Ci sono tanti intrecci stupefacenti di musica, sport e territorio ma nessuno prenderà slancio come la mistica presenza, la tangibile presenza che l’Irlanda sprigiona in ogni sua forma.
Cosi come per noi Romagnoli, prima di dormire ogni sangue d’Irlanda lontano da casa sa per certo che il suo cuore vive e cammina su quelle verdi colline che saranno per sempre viste come la casa dove un giorno tornare a respirare liberi.
FIELDS OF ATHENRY
By a lonely prison wall, I heard a young girl calling
Michael, they have taken you away,
For you stole Trevelyan’s corn,
So the young might see the morn.
Now a prison ship lies waiting in the bay.
Low lie the fields of Athenry
Where once we watched the small free birds fly
Our love was on the wing
We had dreams and songs to sing
It’s so lonely round the fields of Athenry.
By a lonely prison wall, I heard a young man calling
Nothing matters, Mary, when you’re free
Against the famine and the crown,
I rebelled, they cut me down.
Now you must raise our child with dignity.
By a lonely harbor wall, she watched the last star falling
As the prison ship sailed out against the sky
Sure she’ll wait and hope and pray, for her love in Botany Bay
It’s so lonely round the fields of Athenry.
(TRAD. ITALIANO)
Vicino
a un solitario muro di una prigione
Ho sentito una giovane ragazza
chiamare:
“Michael, ti hanno portato via,
perché hai
rubato il granoturco di Trevelyn
Perché i bambini potessero
vedere l’alba
Adesso una nave prigione attende nella baia”
Sono lontani i campi di Athenry
Dove una volta guardammo gli uccellini volare
Il nostro amore era “sull’ala”
Avevamo sogni e canzoni da cantare
È così solitario attorno ai campi di Athenry.
Vicino a un solitario muro di una prigione
Ho sentito un giovane uomo chiamare:
“Non importa, Mary, quando tu sei libera
Contro la tirannia e la corona
Mi sono ribellato, mi hanno fermato.
Adesso devi crescere i nostri bambini con dignità”
Vicino a un solitario muro di un porto
Guardava l’ultima stella cadere
Quando la nave prigione partì verso il cielo
Così visse sperando e pregando
Per il suo amore in Botany Bay (il posto dove portavano i prigionieri)
È così solitario attorno ai campi di Athenry.»
A cura di
Vasco Abbondanza