“Ci vediamo in agosto”: l’opera postuma di Gabriel Garcìa Màrquez

“Ci vediamo in agosto”: l’opera postuma di Gabriel Garcìa Màrquez
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Il sei marzo scorso, a quasi dieci anni dalla sua scomparsa (17 aprile 2014), è uscito per Mondadori Ci vediamo in agosto, l’opera postuma del genio G.G. Màrquez.

Il romanzo, in realtà, galleggiava già da anni nelle intenzioni del suo autore che ne aggiungeva sempre nuove versioni. Se ne contano almeno cinque complete, insieme con un numero altissimo di bozze! In ultimo, però, dopo tutto quel lunghissimo e ripensato lavoro, in punto di morte fece promettere ai suoi figli di non pubblicare mai quelle pagine.

«Mi ha detto che il romanzo doveva essere distrutto», ha detto Gonzalo García Barcha, il figlio più piccolo di Márquez, in un’intervista data al New York Times.

La ragione alla base di tale ferma decisione di Gabo risiedeva nel suo stato di salute, ormai più che precario. Da anni, infatti, il romanziere Premio Nobel per la letteratura nel 1982, soffriva di demenza senile. Si rendeva conto di non essere più lucido e, rileggendo le innumerevoli bozze, non riusciva più a ritrovarsi nei suoi stessi lampi di genio.

Nel prologo al libro, i suoi figli spiegano come la perdita della memoria, che aveva afflitto il padre, gli impediva di scrivere come aveva sempre fatto e questo costituiva per lui una fonte di profonda frustrazione.

“La memoria è allo stesso tempo la mia materia prima e il mio strumento. Senza di lei, non c’è nulla”

Dopo quasi dieci anni dalla sua scomparsa, i figli di Gabriel hanno deciso di disobbedire al monito paterno e portare a tutti i suoi lettori questa storia.

fonte Pinterest

Pur ammettendo che si tratti di un’opera minore, rispetto alle sue grandi opere, ritenevano che il piglio e le intuizioni del padre fossero ben visibili anche in queste righe più scarne e malferme. Il romanticismo magico sprigionato accarezza allo stesso modo i suoi affezionati lettori che lo riconoscono nelle descrizioni della natura umana e nella serpeggiante malinconia che impregna il racconto.

La trama

L’opera descrive una parentesi, lunga qualche anno, della vita di una donna di mezza età.

Ana Magdalena Bach è una signora di quasi cinquant’anni, con due figli e un marito che ama e da cui viene amata. Il matrimonio è il suo porto sicuro che sta sfociando però in un amore quasi fraterno.

“Con i figli e i cambiamenti di orario persero il buon passo, ma lo recuperavano ogni volta che potevano, e fu sempre un amore allegro in cui era ammissibile perfino la follia. Anche nei tempi meno propizi si ingegnarono per rinnovarsi, finché non fecero il giro completo e tornarono alla routine”

Ogni anno Ana, da sola, prende sempre lo stesso traghetto, il 16 agosto, per raggiungere l’isoletta caraibica in cui era stata sepolta sua madre.  Compra sempre lo stesso mazzo di gadioli da poggiare sulla lapide e alloggia sempre allo stesso hotel, per poi ripartire la mattina dopo.

fonte Pi
nterest

Queste gite alla tomba della genitrice diventeranno occasione per la protagonista di lasciare per una sera la gabbia dorata della sua vita perfetta e abbandonarsi ai più sordidi desideri.

“Lei si prestò al gioco, non come se stessa, ma come protagonista del proprio ruolo”

Infatti, Ana riscoprirà il piacere di una notte di sesso con uno sconosciuto, viandante e albergatore come lei. Da quell’agosto in poi, ad ogni gita giocherà con la sua personalità e con gli uomini che le si presentano, prendendo sempre più consapevolezza di sé e della vita che stava vivendo senza accorgersene.

“Tuttavia, le ci vollero diversi giorni per prendere coscienza che i cambiamenti non erano del mondo ma di lei stessa, che era sempre andata per la vita senza guardarla, e solo quell’anno al ritorno dall’isola aveva iniziato a vederla con gli occhi della lezione appresa”

L’opera

Di certo il merito primario dell’opera non è la sua trama. Le vicende di Ana possono riassumersi in poche righe, tanti quanti sono i suoi sedici agosto passati sull’isola.

Quello che sicuramente porta alla memoria il vecchio Gabo sono le dissonanze e le irrazionalità, proprio a descrizione della natura umana.

Un’occasione di lutto e tristezza diventa allo stesso tempo espediente di fuga e di desiderio libidinoso. La passione di Ana nell’amare per una notte gli avventori si scontra con il tranquillo amore materno al ritorno a casa. Toccare carni sconosciute le dà consapevolezza del proprio corpo e di come sta attraversando sopito la vita, senza accorgersene.

Ma ciò che sicuramente mi ha colpito di più leggendo è stato immaginare quello che non c’era. Immaginavo Marquez alle prese con la sua memoria ballerina. I lampi di genio seguiti subito da bui frustranti. La tenerezza che ho provato immaginando un grande scrittore, acclamato in tutto il mondo, amato e odiato per la sua profondità alle prese con il dolore di non poter più scrivere: come non poter più respirare

Ho immaginato la vicinanza della sua famiglia negli anni del suo declino. La scoperta postuma e dolce da parte dei figli di tutte le sue bozze. Il voler riportare alla “vita” il padre attraverso una storia malinconica e magica.

Non credo si sia trattato di mera avidità, come gran parte della critica ha insinuato. Credo sia stato un ultimo dispettuccio filiale. Come i bambini fanno per attirare l’attenzione amorevole dei genitori. Un atto di ribellione sana a quel monito: “Non pubblicate quel romanzo!”

a cura di
Rossana Dori

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