Accadeva oggi: Černobyl′, un’esplosione di sofferenza

Accadeva oggi: Černobyl′, un’esplosione di sofferenza
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Il 26 aprile 1986 – con il disastro di Černobyl’ – l’Ucraina scriveva una delle pagine più catastrofiche del libro della Storia contemporanea. Ripercorriamo – attraverso le testimonianze – l’inferno del reattore numero 4.

foto sarcofago
Il “New Safe Confinement” (NSC) di Chernobyl, 29 novembre 2016 (foto de Il Post)
Contesto

Unione delle Repubbliche Sovietiche Socialiste, seconda metà degli anni ’80. Michail Gorbačëv è stato eletto segretario generale del PCUS e sta per ridisegnare definitivamente il quadro della geopolitica globale. Il rivoluzionario segretario dell’Unione dovrà gestire una delle emergenze più delicate della storia – l’esplosione del reattore numero 4 della centrale nucleare di Černobyl’ – che lo metterà di fronte alla dolorosa realtà che l’Unione Sovietica è congelata in uno stato di arretratezza ed esige un cambiamento, una perestrojka.

L’esplosione

Nella notte tra il 25 e il 26 aprile 1986 gli ingegneri della centrale nucleare ucraina di Černobyl’ stanno effettuando dei test di sicurezza con l’obiettivo di valutare se il sistema di raffreddamento del reattore avrebbe funzionato anche in situazioni di emergenza. L’URSS è ancora impegnata, infatti, nel conflitto Freddo con gli USA – sebbene in fase di conclusiva -, e la guardia rimane sempre alta cercando la prontezza più efficace ad eventuali conflitti armati.

Ore 01:23, l’acqua necessaria al raffreddamento del reattore evapora. I tecnici perdono il controllo del reattore che aumentando la sua potenza arriva all’esplosione. Poco dopo, una seconda esplosione.
Le detonazioni uccidono all’istante 30 operai impegnati all’interno della centrale, ma il peggio doveva ancora arrivare. Circa 50 tonnellate di carburante nucleare vengono sprigionate nell’atmosfera e causeranno l’avvelenamento e (spesso) la conseguente morte di centinaia di persone tra pompieri, liquidatori e innocenti civili.

L’emergenza minimizzata

«I moscoviti avevano nascosto tutto. C’era la possibilità di ridurre i danni causati dall’incidente […] ma si rifiutarono continuando a sostenere che era stato un semplice incendio. Nessuno sapeva dell’incendio alla centrale nucleare, o meglio, solo gli abitanti di Pripyat erano a conoscenza dell’incendio, ma nessuno era al corrente della [sua] natura.»

Nataliya, emigrata dall’Ucraina anni fa, mi racconta come la sua popolazione si è trovata ad affrontare il silenzio del Politburo.
Non era niente di importante. E intanto la centrale bruciava tossine. Non c’era nulla di cui preoccuparsi. E intanto i liquidatori morivano in agonia. Era un semplice incendio, e intanto la nube tossica raggiungeva Ucraina, Bielorussia ed Europa settentrionale.

«Io all’epoca frequentavo la 5° elementare […] spesso quando stavamo per tornare a casa e il cielo era nuvoloso, io e i miei compagni iniziamo a correre verso casa per paura di ritrovarci in un temporale […] a scuola iniziarono a darci una serie di direttive da seguire in caso di particolari condizioni meteorologiche, poiché poteva esserci una piccola percentuale di radioattività.»

Le conseguenze del disastro

La storia ci insegna che poi, col passare del tempo, la verità è venuta a galla in maniera sofferta, e quella nube tossica ha continuato e continua a gettare un’ombra sulla salute dei cittadini. Tra le più note conseguenze del disastro (malattie croniche, tumori tiroidei, malformazioni…), Cristian Molinari ci tiene ad evidenziarmi le meno note conseguenze sulla salute mentale delle vittime dell’incendio.

Ho avuto il piacere di raccogliere la testimonianza di Cristian, il sindaco di Rogno che ha collaborato per anni come volontario al fianco di quei bambini ucraini e bielorussi a cui è stato sottratto un futuro. Ricorda ancora i loro volti nei sovraffollati orfanotrofi ucraini, la loro spasmodica ricerca di attenzioni, il loro sguardo spento.

Se ne parla poco, ma il numero di morti per suicidio nelle zone del disastro è elevatissimo. Un’economia al collasso, la necessità di affacciarsi al mercato nero e alla prostituzione, l’alcolismo, la solitudine, le violenze e gli abusi; nella sua esperienza di volontariato Cristian ha dovuto fare esperienza di questo dramma sociale:

«Una cosa che mi ha scioccato davvero è stato vedere delle comunità di recupero per tossicodipendenza e alcolismo per minori […] perché quei figli di madri alcoliste o tossicomani si affacciavano all’abuso di sostanze già ai 9/10 anni […]»

Oggi

Cristian e diverse associazioni italiane hanno prestato il loro soccorso. Dall’organizzazione delle cosiddette “vacanze salute” per tentare di migliorare le condizioni sanitarie dei ragazzi fino a degli aiuti pratici per migliorare le condizioni degli orfanotrofi bielorussi e ucraini.

29 novembre 2016

Un’enorme struttura in acciaio metafora di un sarcofago (New Safe Confinement) sorge sui resti della centrale di Černobyl′ coprendo interamente il reattore 4 con l’obiettivo di eliminare in sicurezza le macerie.

Tra problemi socio-economici, sanitari e politici, l’Ucraina cerca di rialzarsi dopo i duri colpi che la tragedia e la dipendenza dall’URSS hanno per anni penalizzato lo Stato.

La storia attuale, invece, ci ricorda che l’Ucraina è ancora una volta punita.

«Speriamo la situazione possa migliorare» chiudo l’intervista con Cristian.
«No. Speriamo l’Ucraina possa finalmente trovare la sua pace» risponde lui.

a cura di
Enzo Celani

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Enzo Celani

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