Wanna: la recensione della docuserie Netflix che racconta l’Italia cresciuta a pane e televisione

Wanna: la recensione della docuserie Netflix che racconta l’Italia cresciuta a pane e televisione
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La docuserie Netflix su Wanna Marchi non è solo il racconto di una truffa, ma mostra la trasformazione antropologica e culturale del nostro paese con l’avvento delle televisioni private

Wanna è la docuserie Netflix, in streaming dal 21 settembre, che racconta la parabola di Wanna Marchi e sua figlia Stefania Nobile, partite dalla vendita di scioglipancia e cosmetici anticellulite in televisione e arrivate all’estorsione per milioni di lire. La serie ideata da Alessandro Garramone e diretta da Nicola Prosatore, composta da quattro episodi, raccoglie testimonianze e immagini d’archivio dell’epoca.

Tutto quello che so fare è vendere” esordisce Wanna Marchi in una delle prime scene del documentario, “dammi qualcosa e io te la vendo“. L’intervistatore allora le porge una penna e lei si inventa una storia per convincere chi ha di fronte che proprio quella penna è quello di cui ha bisogno. No, non è The Wolf of Wall Street, ma di lupi stiamo pur sempre parlando.

Wanna Marchi: la storia

Wanna Marchi è stata una delle più abili venditrici della televisione italiana, riconoscibile per la sua voce stridula e i suoi slogan, come il celebre “D’accordo?”.

Ma non si tratta solo di immaginario pop. Il suo anche uno dei casi mediatici, e giudiziari, più importanti degli ultimi vent’anni.

La storia di Wanna Marchi come teleimbonitrice inizia negli anni Ottanta, con la vendita di prodotti di bellezza. I famosi “scioglipancia”. A lei si unisce presto anche la figlia Stefania. Le due mettono insieme una vera e propria fortuna, facendo leva sul desiderio di rivalsa e di adeguamento a uno standard sociale – anche estetico – tipico di quel periodo storico.

All’inizio degli anni Novanta il loro impero si sgretola. Le Marchi però si rialzano e tornano in scena con un nuovo prodotto che nessuno prima di loro aveva mai provato a vendere: la fortuna. Insieme alle due donne, questa volta, c’è anche un brasiliano: il Maestro di vita Do Nascimento. È lui a benedire amuleti, fare carte e oroscopi e a dare i numeri del lotto. Si tratta ovviamente di un truffa senza precedenti che sfocia in veri e propri tentativi di estorsione.

Il deus ex machina di questa storia è la televisione. Sì, perché è grazie alla televisione che le Marchi ottengono successo e denaro, ma è sempre la televisione che glielo toglie. Lo scoperchiamento della truffa infatti avviene grazie a un’inchiesta avviata da Striscia la notizia che, in seguito alla telefonata della signora Fosca Marcon, dà il via alle indagini.

L’intero sistema delle televendite saltò in aria. Le persone non si fidavano più di tutti quei volti che entravano silenziosamente nelle case degli italiani, diventando quasi familiari. Wanna Marchi e sua figlia hanno piantato il seme della sindrome del sospetto che ancora caratterizza la nostra società.

Il documentario

Le prime due puntate di Wanna raccontano la vita di Wanna Marchi, il contesto in cui cresce e il suo ingresso nel mondo televisivo, contrassegnato immediatamente da un grande successo. Sono gli anni Ottanta, egotici e vanitosi, dove il senso di realizzazione personale è l’unico credo. Dal manager alla casalinga tutti ne sono schiavi, nessuno escluso.

Forse non era ancora evidente la potenza che avrebbe avuto la televisione e di come avrebbe influenzato le nostre vite, ma sarebbe stata chiara da lì a poco, con la celebre discesa in campo di Silvio Berlusconi.

Nelle ultime due puntate invece si mostra la parabola delle due Marchi insieme al maestro di vita Do Nascimento, con testimonianze di ex collaboratori, centralinisti e giornalisti, fino ad arrivare al processo pubblico. Le due donne infatti hanno talmente tanta fiducia nella loro influenza sul pubblico e nella capacità di dominare il mezzo televisivo, da decidere di non patteggiare e affrontare l’intero processo sotto alle telecamere, pensando che questo le avrebbe favorite. Il processo, loro malgrado, si conclude con una condanna di nove anni.

“Wanna” non è solo la storia di Wanna Marchi

La docuserie non racconta solo la storia dell’ascesa e del declino di Wanna Marchi e di sua figlia, ma spiega anche qual è stata la trasformazione culturale che l’Italia ha subito attraverso il sistema delle televisioni private. Alla fine degli anni Ottanta la RAI non aveva più il monopolio televisivo e iniziavano ad affacciarsi tante piccole emittenti pronte a tutto per ottenere soldi e successo. Wanna e Stefania Marchi sono il prodotto perfetto della cultura consumistica di quegli anni. Poca vergogna e zero scrupoli.

Nel documentario non viene data la possibilità alle Marchi di riabilitarsi, né loro – a dirla tutta – sembrano avere voglia di mostrare alcun pentimento o empatia nei confronti delle persone raggirate. Infatti, nonostante siano passati più di dieci anni, le due sono ancora convinte di non aver truffato nessuno. Ma l’unica verità che conta in Wanna è quella processuale. Non vengono tagliati i commenti delle Marchi verso le vittime, considerati degli idioti da fregare, né verso altri personaggi della vicenda. Le due non vengono esaltate in alcun modo. L’intento è però quello di mostrare l’aspetto più nero della faccenda. Quello che incuriosisce e spaventa perché nessuno può dirsi al sicuro di fronte a chi manipola facendo leva su debolezze e vulnerabilità, ieri come oggi.

a cura di
Daniela Fabbri

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Daniela Fabbri

Sono nata nella ridente Rèmne, Riviera Romagnola, nel 1985. Copywriter. Leggo e scrivo da sempre. Ho divorato enormi quantità di libri, ma non solo: buona forchetta, amo i racconti brevi, i viaggi lunghi, le cartoline, gli ideali e chi ci crede. Nutro un amore, profondo e viscerale, per la musica, in tutte le sue forme. Sono fermamente convinta che ogni momento della vita debba avere una colonna sonora. Potendo scegliere, vorrei che la mia esistenza fosse vissuta lentamente, come un blues, e invece sono sempre di corsa. Mi piacciono gli animali. Cani, gatti, procioni. Tutti.

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